OMICIDIO LEA GAROFALO, dopo il suicidio di Curcio parla l’avv. Staiano, il suo ex legale: «Uno sventurato, è stato coinvolto nell’omicidio. Non si è potuto rifiutare»

L’INTERVISTA INTERROTTA. Dopo aver riportato per primi la notizia del suicidio in carcere dell’ergastolano Rosario Curcio abbiamo sentito telefonicamente il suo ex legale, l’avvocato Salvatore Staiano, il difensore dei processi milanesi sulla tragica morte di Lea Garofalo, massacrata a Milano, uccisa prima in un appartamento in piazza Prealpi e poi bruciata in un bidone in un magazzino “a cielo aperto” a San Fruttuoso, un quartiere di Monza. L’orrendo omicidio commesso dal clan di ‘ndrangheta, capeggiato dai Cosco (in cui Curcio era parte integrante), nel novembre del 2009.

OMICIDIO LEA GAROFALO, dopo il suicidio di Curcio parla l’avv. Staiano, il suo ex legale: «Uno sventurato, è stato coinvolto nell’omicidio. Non si è potuto rifiutare»
L'avvocato Salvatore Staiano, da un fotogramma di una trasmissione della rete regionale LaCTv

«Rosario Curcio era innocente» aveva dichiarato il suo ex legale tre giorni fa. Lo avevamo contattato per avere un riscontro sulle insistenti voci che circolavano sul tentativo di suicidio registrato nella cella di Opera (Milano), dove era detenuto Rosario Curcio, il soggetto ritenuto colpevole e condannato all’ergastolo in primo, in secondo e in terzo grado dalla giustizia italiana.

Dopo aver riportato per primi la notizia del suicidio in carcere dell’ergastolano abbiamo risentito (qualche ora fa) telefonicamente il suo ex legale, l’avvocato Salvatore Staiano, il difensore dei processi milanesi sulla tragica morte di Lea Garofalo, massacrata a Milano, uccisa prima in un appartamento in piazza Prealpi e poi bruciata in un bidone nel magazzino “a cielo aperto” di San Fruttuoso, un quartiere di Monza. L’orrendo omicidio commesso dal clan di ‘ndrangheta, capeggiato dai Cosco (in cui Curcio era parte integrante), nel novembre del 2009.

«Sono pronto per qualsiasi domanda». Ha così esordito il legale calabrese. E noi lo abbiamo preso in parola. Siamo partiti proprio dalla sua affermazione per capire il suo ragionamento sulla sedicente innocenza del suo assistito. «Ci sono due episodi concreti di aggressione a questa donna sventurata, uno in un contesto fuori da Milano, dove questo sventurato di Rosario Curcio, che si è suicidato, ostinatamente si è rifiutato di andarci…

Lei si riferisce al tentato sequestro di Campobasso del 5 maggio del 2009?

«Forse sì. Questo è già un segnale preciso di dissociazione rispetto alle azioni poste in essere da altri che mi pare abbiano confessato. Ora non ricordo precisamente… (l’avvocato si riferisce all’unico collaboratore di giustizia: Carmine Venturino, l’ex fidanzatino di Denise, la figlia di Lea Garofalo, che dopo la condanna all’ergastolo in primo grado ha illustrato al PM Tatangelo il metodo utilizzato per uccidere e distruggere il corpo della fimmina calabrese e che ha fatto ritrovare, dopo tre anni, i 2.812 frammenti ossei della donna buttati in un tombino, nda).

Passiamo al secondo episodio…

«Il secondo episodio porta al decesso di questa sventurata. Egli continuò a rifiutarsi. Esiste una tabulazione che consente di ritenere, ad esempio l’aggancio delle celle, che egli stesse andando in posto diametralmente opposto rispetto a quello dove, forse, c’è stato un incontro. Io penso che per l’occultamento (distruzione del cadavere, nda) di questa sventurata il Curcio non poteva farne a meno…»

Non poteva rifiutarsi?

«Rifiutarsi significava consegnarsi alla morte. Questo ritengo io, come verosimile. Poi se sia o non sia la realtà lo sa solo Dio.»

Rosario Curcio: ergastolo

 

La sua partecipazione nella fase ultima del progetto è provata dai tabulati telefonici, dalle dichiarazioni di Venturino (in sua compagnia si reca a Cormano per incontrare Crivaro) e da quelle di Floreale (la consegna delle chiavi del box e la restituzione di quelle dell’appartamento di piazza Prealpi).

Dagli altri imputati viene indicato come compartecipe all’attività delittuosa successiva all’omicidio. Curcio, addirittura avvisato dalla sua ragazza con un SMS (“Fai quello che vuoi, stacci ancora un po’ così ti arrestano a me lì dentro non puoi vedermi”), non riesce e non vuole cambiare il suo destino. È, ormai, troppo compromesso con la famiglia Cosco.

Si tira indietro, come Venturino, per Campobasso, ma a Milano viene risucchiato nel vortice infernale. Consapevolmente.

È lui che si attiva in diverse circostanze per avvantaggiare le azioni criminali, partecipa anche alla riunione preparatoria per decidere le modalità esecutive del progetto criminoso.

«È fin troppo palese che l’esclusione di Curcio – così come di qualunque altro concorrente – è funzionale alla tesi del “raptus”, proposta da Carlo Cosco in dibattimento. Quanto a Venturino, la sua versione è talmente illogica ed incoerente da apparire insostenibile. Non si comprende, invero, perché mai Curcio, dopo aver prestato il proprio consenso, a distanza di pochi minuti avrebbe cambiato idea, cercando addirittura di indurre lo stesso Venturino a desistere».

            Il giudizio di colpevolezza della prima Corte viene confermato.

BRANO TRATTO da UNA FIMMINA CALABRESE, così Lea Garofalo sfidò la 'ndrangheta (Bonfirraro editore, novembre 2022)

 

Curcio è stato condannato all’ergastolo. Lei sta criticando l’operato dei giudici di Milano?

«I giudici di Milano sono stati magistrati di estrema correttezza, di estrema sapienza tecnica ma non è detto che un avvocato sempre riesce ad esplicitare le tesi difensive, a mantenerle ferme, a portarle a un traguardo positivo di conquista dell’assoluzione dei clienti.»

Chi era Curcio Rosario?

«Un uomo che, probabilmente, è stato coinvolto nelle attività delittuose. Aveva tanta voglia di redenzione, di recupero e di reinserirsi in un circuito di socialità.»

Lei parla di reinserimento nella società, di dissociazione. Ma perché non ha collaborato con lo Stato?

«No, che cazzo c’entra. Io ho commesso dieci reati e per reinserirmi nella società non devo collaborare. Inizio a rispettare le regole, inizio a rispettare le persone. Va bene?»

Un attimo avvocato, non abbiamo ancora terminato l’intervista. Lei, difendendo Curcio, ha approfondito anche la storia di Lea Garofalo, massacrata dal gruppo criminale di ‘ndrangheta in cui Curcio era parte integrante…

«Non ho approfondito la storia di Lea Garofalo. Non mi sono interessato di questi sviluppi.»

Ma chi era, per lei, Lea Garofalo?

«Processualmente una vittima. È morta, è stata ammazzata. Più vittima di così. Una sventurata, una vittima. Poi in qualche circuito fosse inserita, in zone cronologiche pregresse, se la sua collaborazione fosse stata totale non è un problema che riguarda me. Non esprimo valutazioni.»

A noi non risultano “circuiti” particolari per la fimmina calabrese massacrata dal clan calabrese dei Cosco. Però ci risulta che i suoi colleghi, i legali che difendevano gli imputati presenti nelle celle, durante le udienze milanesi non l’hanno ritenuta una vittima. Sparlavano di una donna fuggita all’estero, di una mamma che aveva abbandonato sua figlia…

«Tutti questi giudizi altalenanti non competono al difensore».

Avvocato, ritorniamo ai “circuiti”: lei, in passato, in alcune interviste ha dichiarato “avevo il terrore di essere arrestato, ora ho il terrore di essere ammazzato”. Ha ancora queste preoccupazioni? Queste dichiarazioni sono ancora attuali?

«Lei sta uscendo dal seminato e non le sarebbe consentito. Comunque non ho più paura di nulla.»

È stato lei, all’inizio, a dire: “sono pronto per qualsiasi domanda…”.

«In relazione al caso. Non che io non abbia la voglia di parlare, non ho paura di parlare…»

Ecco, mi volevo allargare…

«Non può allargarsi. Ci sono cose che non sono di sua competenza e non ho voglia di parlarne. Un abbraccio…»

Senta avvocato, il pentito Mantella, in passato, ha fatto delle dichiarazioni pesanti su di lei. Possiamo affrontare queste affermazioni?

«Lei si sta comportando in maniera scorretta, dovevamo parlare di Rosario Curcio e di Lea Garofalo. Non che me ne fotte un cazzo di affrontare, l’ho affrontato mille volte il tema. Io non le rispondo per un semplice motivo: lei esonda senza avermelo detto prima. Buona giornata.»

Avvocato… avvocato…

 

Ovviamente la drastica interruzione non la possiamo collegare ad una linea telefonica disturbata. La telefonata è stata bruscamente interrotta dal legale.

Noi non siamo abituati ad inviare prima le domande. Abbiamo un faro che si chiama “deontologia” della professione. Non le inviamo prima le domande (nemmeno facciamo copia e incolla degli altri articoli scritti da altri colleghi – anche se lo fanno con i nostri – e indichiamo sempre la fonte quando citiamo il lavoro altrui). Si chiama, lo ripetiamo ancora una volta, deontologia. Questa sconosciuta. La correttezza è indispensabile per fare questo bellissimo mestieraccio.

E, infine, noi non inviamo nemmeno le risposte agli interlocutori intervistati per dare la possibilità di rileggere (e magari correggere le risposte date).

Noi lavoriamo in questo modo.

 

 

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