Se questo è un uomo

Primo Levi (Torino, 31 luglio 1919 - Torino, 11 aprile 1987), deportato e sopravvissuto ad Auschwitz.

Se questo è un uomo
Primo Levi. Foto di Renzo Levi, primolevi.it

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.

Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

Primo Levi

 

"Sono un uomo normale di buona memoria che è incappato in un vortice, che ne è uscito più per fortuna che per virtù, e che da allora conserva una certa curiosità per i vortici, grandi e piccoli, metaforici e materiali."
Primo Levi, 1986

Primo Levi nasce a Torino il 31 luglio del 1919, nella casa dove abiterà poi tutta la vita. I suoi antenati sono degli ebrei piemontesi provenienti dalla Spagna e dalla Provenza. Levi ne ha descritto le abitudini, lo stile di vita e il gergo nel capitolo iniziale del Sistema periodico, ma non ne ha conservato una memoria personale al di là di quella dei nonni. Il nonno paterno era un ingegnere civile che abitava a Bene Vagienna, dove possedeva una casa e un piccolo podere; morì verso il 1885. Il nonno materno era un mercante di stoffe, e morì nel 1941. Il padre, Cesare, nato nel 1878, si era laureato in ingegneria elettrotecnica nel 1901. Dopo vari soggiorni di lavoro all'estero (Belgio, Francia, Ungheria), nel 1918 si sposò con Ester Luzzati, nata nel 1895 (morirà nel 1991). Levi ricorda il padre come un uomo estroverso, moderno per i suoi tempi, amante del buon vivere e delle buone letture, poco curante delle cose di famiglia. [...]

1938  

Il governo fascista emana le prime leggi razziali: è fatto divieto agli ebrei di frequentare le scuole pubbliche, tuttavia a chi è già iscritto all'Università è consentito di proseguire gli studi. Levi frequenta circoli di studenti antifascisti, ebrei e non; stringe amicizia con i fratelli Artom. Legge Thomas Mann, Aldous Huxley, Sterne, Werfel, Darwin, Tolstoj.

«Ho letto molto perché appartenevo a una famiglia in cui leggere era un vizio innocente e tradizionale, un'abitudine gratificante, una ginnastica mentale, un modo obbligatorio e compulsivo di riempire i vuoti di tempo, e una sorta di fata morgana nella direzione della sapienza. Mio padre aveva sempre in lettura tre libri contemporaneamente; leggeva "stando in casa, andando per via, coricandosi e alzandosi" (Deut. 6.7); si faceva cucire dal sarto giacche con tasche larghe e profonde, che potessero contenere un libro ciascuna. Aveva due fratelli altrettanto avidi di letture indiscriminate» (Levi, 1981)

«Le leggi razziali furono provvidenziali per me, ma anche per gli altri: costituirono la dimostrazione per assurdo della stupidità del fascismo. Si era ormai dimenticato il volto criminale del fascismo (quello del delitto Matteotti, per intenderci); rimaneva da vederne quello sciocco... Nella mia famiglia si accettava, con qualche insofferenza, il fascismo. Mio padre si era iscritto al Partito di malavoglia, ma si era pur messo la camicia nera. Ed io fui balilla e poi avanguardista. Potrei dire che le leggi razziali restituirono a me, come ad altri, il libero arbitrio»

1941  

In luglio, Levi si laurea con pieni voti e lode. Il suo diploma reca la menzione «di razza ebraica».

Levi cerca affannosamente un lavoro, perché la famiglia è a corto di mezzi, e il padre è morente per un tumore. Trova un impiego semilegale in una cava d'amianto presso Lanzo: ufficialmente non figura nei libri-paga, ma lavora in un laboratorio chimico. Il problema che gli viene proposto e a cui si dedica con entusiasmo è quello di isolare il nichel che si rinviene in piccole quantità nel materiale di discarica (vedi il capitolo Nichel nel Sistema periodico).

1942  

Trova una sistemazione economicamente migliore a Milano, presso la Wander, una fabbrica svizzera di medicinali, dove è incaricato di studiare nuovi farmaci contro il diabete: questa esperienza di lavoro è raccontata nel capitolo Fosforo del Sistema periodico.
Levi trasferisce a Milano le poche cose che sente indispensabili: «la bicicletta, Rabelais, le MacaroneaeMoby Dick tradotto da Pavese ed altri pochi libri, la piccozza, la corda da roccia, il regolo logaritmico e un flauto dolce».

In novembre, gli alleati sbarcano in Nord Africa. A dicembre, i russi difendono vittoriosamente Stalingrado. Levi e i suoi amici prendono contatto con alcuni esponenti dell'antifascismo militante, e compiono la loro rapida maturazione politica. Levi entra nel Partito d'Azione clandestino.

1943  

Nel luglio cade il governo fascista e Mussolini viene arrestato. Levi è attivo nella rete di contatti fra i partiti del futuro Cln.
L'otto settembre il governo Badoglio annuncia l'armistizio, ma «la guerra continua». Le forze armate tedesche occupano il Nord e Centro Italia. Levi si unisce a un gruppo partigiano operante in Val d'Aosta, ma all'alba del 13 dicembre è arrestato presso Brusson con altri due compagni. Molti anni piú tardi, nel 1980, Levi scriverà a Paolo Momigliano, presidente dell'Istituto storico della Resistenza in Valle d'Aosta:

«Il mio periodo di partigiano in Valle d'Aosta è stato senza dubbio il piú opaco della mia carriera, e non Io racconterei volentieri: è una storia di giovani ben intenzionati ma sciocchi, e sta bene fra le cose dimenticate. Bastano e avanzano i cenni contenuti nel Sistema periodico...».

Levi viene avviato nel campo di concentramento di Carpi-Fòssoli.

«I fascisti non ci trattavano male, ci lasciavano scrivere, lasciavano che ci arrivassero pacchi, ci giuravano sulla loro "fede fascista" che ci avrebbero tenuti là fino alla fine della guerra».

1944  

Nel febbraio il campo di Fòssoli viene preso in gestione dai tedeschi, i quali avviano Levi e altri prigionieri, tra cui vecchi, donne e bambini, su un convoglio ferroviario con destinazione Auschwitz.
Il viaggio dura cinque giorni. All'arrivo gli uomini vengono divisi dalle donne e dai bambini, e avviati alla baracca n. 30.

«Non c'era un campo di Auschwitz, ce n'erano 39. C'era Auschwitz città e dentro c'era un Lager, ed era Auschwitz propriamente detto, ossia la capitale del sistema: piú sotto c'era a 2 km Birkenau, cioè Auschwitz secondo: qui c'era la camera a gas. Era un enorme Lager, diviso in 4-6 Lager confinanti. Più in alto invece c'era la fabbrica, e presso la fabbrica c'era Monowitz, o Auschwitz terzo: io ero lì, questo Lager apparteneva alla fabbrica, era stato finanziato da essa. In tutt'intorno, c'erano altri 30-35 Lager piccoli (miniere, fabbriche di armi, aziende agricole ecc.). Nel mio Lager eravamo in circa 10.000, però l'amministrazione era per tutti Auschwitz uno, e il campo di sterminio era Birkenau» 

Levi attribuisce la sua sopravvivenza a una serie di circostanze fortunate. La sua conoscenza sufficientemente estesa del tedesco gli permette di comprendere gli ordini dei suoi aguzzini. Inoltre dalla fine del 1943, dopo Stalingrado, la carenza di manodopera in Germania è tale che diventa indispensabile utilizzare anche gli ebrei, serbatoio di manodopera a prezzo nullo.

«I primi giorni furono terribili, per chiunque. Si verifica una sorta di shock, un trauma legato all'ingresso in un campo di concentramento, che può durare cinque, dieci, venti giorni. Quasi tutte le persone che morirono, soccombettero in quella prima fase. Il nostro modo di vivere era cambiato completamente nel giro di pochi giorni, in particolare nel caso di noi ebrei occidentali. Gli ebrei polacchi e russi avevano già fatto nei ghetti un duro tirocinio per Auschwitz, e per loro il trauma fu meno violento. Noi ebrei italiani, francesi e olandesi, fummo come strappati alle nostre case e rinchiusi nel campo di concentramento. Potevo sentire però, insieme con la paura, la fame e lo sfinimento, un desiderio estremamente intenso di comprendere il mondo circostante. La lingua, in primo luogo. Sapevo un po' di tedesco, ma capii che dovevo impararlo molto meglio. Arrivai al punto di prendere lezioni, pagandole con una parte della mia razione di pane. Non sapevo che stavo imparando una forma di tedesco molto rozzo»

«La cosa più difficile da rendere era appunto la "noia", la noia totale, la monotonia, la mancanza di avvenimenti, i giorni tutti uguali. È questa l'esperienza di chi sta in prigione, e genera un curioso effetto, per cui i giorni sembrano lunghissimi mentre sono vissuti, ma appena finiti diventano cortissimi, perché non c'è niente dentro»

«Perdonare non è un verbo mio. Mi viene inflitto, perché tutte le lettere che ricevo, specie da lettori giovani e specie cattolici, hanno questo tema. Mi si chiede se ho perdonato. Io credo di essere a mio modo un uomo giusto. Posso perdonare un uomo e non un altro; mi sento di dare un giudizio solo caso per caso. Se avessi avuto davanti a me Eichmann, lo avrei condannato a morte. Il perdono a forfait, come mi si chiede, non mi va» 

«Sono diventato ebreo in Auschwitz. La coscienza di sentirmi diverso mi è stata imposta. Qualcuno, senza nessuna ragione al mondo, stabilì che io ero diverso e inferiore: per naturale reazione io mi sentii in quegli anni diverso e superiore... In questo senso Auschwitz mi ha dato qualcosa che è rimasto. Facendomi sentire ebreo, mi ha sollecitato a recuperare, dopo, un patrimonio culturale che prima non possedevo»

Nel giugno Levi viene mandato a fare il manovale in una squadra di muratori che devono erigere un muro. Conosce un muratore di Fossano, Lorenzo Perrone, che lavora per un'impresa italiana trasferita d'ufficio ad Auschwitz, e ha una certa libertà di movimento. Perrone prende sotto la sua tutela Levi, e ogni volta che può riesce a fargli avere una gavetta di zuppa, raccolta tra gli avanzi del suo campo. Per i suoi precedenti di chimico, Levi viene poi trasferito in un laboratorio.

«I disagi materiali, la fatica, la fame, il freddo, la sete, tormentando il nostro corpo, paradossalmente riuscivano a distrarci dalla infelicità grandissima del nostro spirito. Non si poteva essere perfettamente infelici. Lo dimostra il fatto che in Lager il suicidio era un fatto assai raro. Il suicidio è un fatto filosofico, è determinato da una facoltà di pensiero. Le urgenze quotidiane ci distraevano dal pensiero: potevamo desiderare la morte, ma non potevamo pensare di darci la morte. Io sono stato vicino al suicidio, all'idea del suicidio, prima e dopo il Lager, mai dentro il Lager»

«Avevo un quaderno, ma questi appunti non erano piú di venti righe. Avevo troppa paura. Era pericolosissimo scrivere. Il fatto stesso di scrivere era sospetto. Quindi era la voglia di tenere appunti, avendo in mano la matita e la carta; era il desiderio, la voglia di trasmettere a mia madre, a mia sorella, ai miei, questa esperienza disumana che stavo vivendo... Non c'era modo di conservare nulla, se non nella memoria.
Ho saputo molto dopo che anche a Monowitz c'era una organizzazione di resistenza.
Sul posto ne ho avuto solo due sospetti... Un comunista francese-ebreo che era a Monowitz mi ha detto che c'era un reticolo di resistenza, di preparazione alla resistenza, che però aveva potere in qualche caso di vita o di morte, e che era in grado di mettere le mani sui fascicoli dell'anagrafe del campo e togliere un nome e metterne un altro» 

Per tutta la durata della permanenza nel Lager, Levi riesce a non ammalarsi, ma contrae la scarlattina proprio quando nel gennaio 1945 i tedeschi, sotto l'avvicinarsi delle truppe russe, evacuano il campo, abbandonando gli ammalati al loro destino. Gli altri prigionieri vengono rideportati verso Buchenwald e Mauthausen e muoiono quasi tutti.
Nella notte «terribile e decisiva» in cui i tedeschi esitano tra l'uccidere i prigionieri e il fuggire, decidendo per la fuga, Levi si vede accidentalmente capitare tra mano un libro che avrà poi un qualche significato nella sua attività di scrittore: Remorques di Roger Vercel (Albin Michel, Parigi 1935). Vi si descrivono le avventure di un rimorchiatore d'alto mare, e del suo capitano Renaud. Levi vi scopre un tema attuale, «eppure stranamente poco sfruttato: l'avventura umana nel mondo della tecnologia». Scriverà nell'antologia personale La ricerca delle radici:

«Questo libro fa vedere che l'avventura c'è ancora, e non agli antipodi; che l'uomo può mostrarsi valente e ingegnoso anche in imprese di pace; che il rapporto uomo macchina non è necessariamente alienante, ed anzi può arricchire o integrare il vecchio rapporto uomo-natura [...]. La ricerca della paternità è sempre un'impresa incerta, ma non mi stupirei se nel mio Libertino Faussone [il protagonista di La chiave a stella] si trovasse trapiantato qualche gene del capitano Renaud».

«Ricordo di aver vissuto il mio anno di Auschwitz in una condizione di spirito eccezionalmente viva. Non so se questo dipenda dalla mia formazione professionale, o da una mia insospettata vitalità, o da un istinto salutare: di fatto, non ho mai smesso di registrare il mondo e gli uomini intorno a me, tanto da serbarne ancora oggi un'immagine incredibilmente dettagliata. Avevo un desiderio intenso di capire, ero costantemente invaso da una curiosità che ad alcuni è parsa addirittura cinica, quella del naturalista che si trova trasportato in un ambiente mostruoso ma nuovo, mostruosamente nuovo.
Devo dire che l'esperienza di Auschwitz è stata tale per me da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto... C'è Auschwitz, quindi non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo» 

1945  

Levi vive per qualche mese a Katowice, in un campo sovietico di transito: lavora come infermiere. Nel giugno inizia il viaggio di rimpatrio, che si protrarrà assurdamente fino all'ottobre. Levi e i suoi compagni percorrono un itinerario labirintico, che li conduce dapprima in Russia Bianca e poi finalmente in patria (il 19 ottobre) attraverso l'Ucraina, la Romania, l'Ungheria, l'Austria. E questa l'esperienza che Levi racconterà ne La tregua.

1946-47  

Difficile reinserimento nell'Italia disastrata del dopoguerra. Levi trova lavoro presso la fabbrica di vernici Duco-Montecatini, in Avigliana, nei pressi di Torino. E ossessionato dalle traversie subite e scrive febbrilmente Se questo è un uomo. Riesce tuttavia a trovare sollievo in questa esperienza di scrittura.

1952-55  

Su invito di Paolo Boringhieri, collabora alle Edizioni Scientifiche Einaudi con traduzioni, revisioni, letture di bozze e pareri editoriali. La collaborazione prosegue sino al 1957, anno in cui Boringhieri rileva il catalogo delle Edizioni Scientifiche e inizia una attività editoriale con il proprio nome.
Nella riunione del 16 luglio 1952 Boringhieri propone al consiglio editoriale una nuova edizione di Se questo è un uomo, ma di fronte alle perplessità di Giulio Einaudi («il bel libro di Primo Levi [è] già passato per le mani di due editori», cioè De Silva, e La Nuova Italia, che nel 1949 ha assorbito la piccola editrice torinese) la proposta non trova seguito.
Nel 1955 Levi torna a insistere, anche in occasione di una mostra sulla deportazione, tenutasi a Palazzo Madama in Torino, che ha suscitato molto interesse, specie tra i giovani. Questa volta trova un interlocutore sensibile in Luciano Foà, allora Segretario generale della casa.
L' 11 luglio 1955 firma con Einaudi un contratto per la nuova edizione di Se questo è un uomo, per un compenso a forfait di 2.000 lire. La collana prevista è la «Piccola Biblioteca Scientifico-letteraria», di prezzo medio economico, e quindi destinata a piú ampia diffusione presso un pubblico prevalentemente giovanile. Le difficoltà finanziarie che in quegli anni la casa attraversa, e i conseguenti tagli alla programmazione, rimandano la pubblicazione sino al 1958.

1957-61  

Nasce il figlio Renzo. A partire da quello stesso anno, Levi prende a scrivere sistematicamente il racconto del ritorno, che diventerà La tregua: un capitolo al mese, a partire da un appunto dell'itinerario steso all'epoca del ritorno. I primi due capitoli, per dichiarazione dell'autore (Paladini, 1987) erano stati scritti tra il 1947 e il 1948, quasi come proseguimento della stesura di Se questo è un uomo, anche per incoraggiamento di Franco Antonicelli e di Alessandro Galante Garrone, che nel dicembre 1961 lo aveva ulteriormente spronato a mettere su carte i racconti orali tante volte e così efficacemente resi agli amici.
Levi compone metodicamente, scrivendo alla sera, nei giorni festivi, durante le ferie; non sottrae neppure un'ora al suo impegno professionale. La sua vita è nettamente divisa in tre settori: la famiglia, la fabbrica, lo scrivere. L'attività di chimico lo occupa a fondo. Compie ripetuti viaggi di lavoro in Germania e in Inghilterra.

Nel 1958 la nuova edizione aumentata di Se questo è un uomo esce nei «Saggi» Einaudi con una sovracoperta di Bruno Munari. La tiratura iniziale è di 2.000 copie, cui fa seguito una ristampa della stessa entità. Nel 1959, il libro viene tradotto in Inghilterra e negli Stati Uniti, con esito modesto. Nel 1961 escono le traduzioni francese (Levi lamenterà la pessima qualità della traduzione) e tedesca.
Intanto, parallelamente a La tregua, Levi scrive i racconti che confluiranno poi in Storie naturali e prova a saggiare le reazioni dei lettori pubblicandoli su vari periodici e quotidiani, tra cui «Il Giorno». Ne sottopone alcuni a Italo Calvino.

1963  

Aprile. Einaudi pubblica La tregua, nella collana «I coralli». Il "risvolto" di copertina è scritto da Italo Calvino; per l'illustrazione di sovraccoperta Giulio Bollati ha scelto un disegno di Marc Chagall, in cui un omino sembra librarsi in volo sopra una casa. Molto favorevoli le accoglienze critiche: in particolare Franco Antonicelli («La Stampa»), Paolo Milano («L'Espresso») e Giancarlo Vigorelli («Tempo illustrato») riconoscono la sapienza narrativa di questo scrittore che si autodefinisce d'occasione, e che sembra maturo per prove svincolate dalla pura memorialistica.
Al Premio Strega, il candidato ufficiale di Einaudi è Lessico famigliare di Natalia Ginzburg, che si affermerà su Tommaso Landolfi, ma i consensi spontanei di molti "amici della domenica" assicurano a La tregua un brillante terzo posto.

Intanto a Venezia la giuria del neonato Premio Campiello (tra cui B. Tecchi, G. Comisso, P. A. Quarantotti Gambini, G. A. Cibotto, M. Prisco) ha selezionato il libro per la cinquina che viene sottoposta al giudizio di trecento lettori. Il 3 settembre alla Fondazione Cini nell'isola di San Giorgio La tregua vince con largo margine di vantaggio. Nelle interviste che seguono, Levi dichiara che vorrebbe «scrivere un romanzo sulla condizione del chimico, che ha un suo lato avventuroso, di scoperta, di caccia, specialmente quando si intraprendono nuove ricerche. Una condizione connaturale all'uomo, non molto dissimile da quella dei primitivi, con la differenza che allora si andava a caccia di bisonti... Ma tutto è ancora alla fase di progetto, il grande problema è trovare il tempo per realizzarlo. Cerco sempre di non tradire né il dirigente né lo scrittore».
 

1964  

Lavorando su idee che gli vengono suggerite dal lavoro in laboratorio e in fabbrica, continua a scrivere vari racconti a sfondo tecnologico, che vengono pubblicati su «Il Giorno» e altrove.

1965  

Torna ad Auschwitz per una cerimonia commemorativa polacca.

«Il ritorno fu meno drammatico di quanto possa sembrare. Troppo frastuono, poco raccoglimento, tutto rimesso bene in ordine, facciate pulite, tanti discorsi ufficiali» Da un'intervista del 1984

 

1966  

Levi raccoglie i racconti in un volume intitolato Storie naturali, e adotta lo pseudonimo di Damiano Malabaila.

1971  

Levi raccoglie una seconda serie di racconti, Vizio di forma, e questa volta la pubblica col suo nome.

1978  

Pubblica La chiave a stella, storia di un operaio montatore piemontese che gira il mondo a costruire tralicci, ponti, trivelle petrolifere, e racconta incontri, avventure, difficoltà quotidiane del proprio mestiere.

1980  

Esce l'edizione francese di La chiave a stella. Claude Lévi-Strauss scrive: «L'ho letto con estremo piacere perché non v'è nulla che ami quanto l'ascoltare i discorsi di lavoro. Sotto questo profilo Primo Levi è una sorta di grande etnografo. Inoltre il libro è davvero divertente».
In aprile, visita la piattaforma petrolifera «Castoro sei», al largo delle coste siciliane: «un dono raro per un uomo di terra quale io sono» (vedi Trenta ore sul «Castoro sei», in L'altrui mestiere).
 

1981  

Su idea di Giulio Bollati, prepara per Einaudi un'antologia personale, cioè una scelta di autori che hanno contato particolarmente per la sua formazione culturale, o che più semplicemente ha sentito come affini. Il volume esce con il titolo La ricerca delle radici.

1982  

Aprile. Esce Se non ora, quando?, con immediato successo.
A giugno il romanzo vince il Premio Viareggio, a settembre il Campiello. 

Seconda visita ad Auschwitz.

1985  

Gennaio. Raccoglie in volume, con il titolo L'altrui mestiere, una cinquantina di scritti apparsi principalmente su «La Stampa», che «rispondono alla sua vena d'enciclopedista dalle curiosità agili e minuziose e di moralista d'una morale che parte sempre dall'osservazione [...]. Tra gli oggetti dell'attenzione enciclopedica di Levi, i più rappresentati nel volume sono le parole e gli animali. (Qualche volta si direbbe che egli tenda a fondere le due passioni in una glottologia zoologica o in una etologia del linguaggio). Nelle sue divagazioni linguistiche dominano le amene ricostruzioni di come le parole si deformano con l'uso, nell'attrito tra la dubbia razionalità etimologica e la sbrigativa razionalità dei parlanti» (Calvino, 1985). 

Febbraio. Scrive l'introduzione per la nuova edizione tascabile di Comandante ad Auschwitz. Memoriale autobiografico di Rudolf Höss.

Aprile. Si reca negli Stati Uniti (New York, il Claremont College presso Los Angeles, Bloomington, Boston) per una serie di incontri e conferenze in varie sedi universitarie, e in occasione della traduzione di Se non ora, quando?, che porta una introduzione di Irving Howe. Le impressioni del viaggio sono descritte nell'articolo Tra le vette di Manhattan («La Stampa», 23 giugno 1985).
Durante il soggiorno americano, vengono presentate a Levi soltanto comunità ebraiche e l'enfasi cade sulla sua ebraicità.

1986  

Aprile. Pubblica I sommersi e i salvati, che rappresenta la summa delle sue riflessioni suggerite dall'esperienza del Lager.
Escono negli Stati Uniti le traduzioni di La chiave a stella e una scelta di racconti da Lilít, con il titolo Moments of Reprieve. Traduzione tedesca di Se non ora, quando?
Levi si reca a Londra (dove incontra Philip Roth) e a Stoccolma.

Settembre. Riceve a Torino la visita di Roth, con cui ha concordato una lunga intervista scritta da pubblicare su «The New York Review of Books». L'intervista esce in ottobre, e a novembre appare tradotta su «La Stampa». 

Il 21 settembre Levi interviene sulla questione della responsabilità degli scienziati:

«Che tu sia o no un credente, che tu sia o no un "patriota", se ti è concessa una scelta non lasciarti sedurre dall'interesse materiale o intellettuale, ma scegli entro il campo che può rendere meno doloroso e meno pericoloso l'itinerario dei tuoi coetanei e dei tuoi posteri. Non nasconderti dietro l'ipocrisia della scienza neutrale: sei abbastanza dotto da saper valutare se dall'uovo che stai covando sguscerà una colomba o un cobra o una chimera o magari nulla»

Covare il cobra, in «La Stampa»

1987  

In Germania prende corpo la polemica sul revisionismo storico. Levi interviene con un articolo, Buco nero ad Auschwitz, pubblicato su «La Stampa» del 22 gennaio:

«La polemica in corso in Germania fra chi tende a banalizzare la strage nazista (Nolte, Hillgruber) e chi ne sostiene l'unicità (Habermas e molti altri) non può lasciare indifferenti. La tesi dei primi non è nuova: stragi ci sono state in tutti i secoli, in specie agli inizi del nostro, e soprattutto contro gli "avversari di classe" in Unione Sovietica, quindi presso i confini germanici. Noi tedeschi, nel corso della Seconda guerra mondiale, non abbiamo fatto che adeguarci ad una prassi orrenda, ma ormai invalsa: una prassi "asiatica" fatta di stragi, di deportazioni in massa, di relegazioni spietate in regioni ostili, di torture, di separazioni delle famiglie. La nostra unica innovazione è stata tecnologica: abbiamo inventato le camere a gas...»

​Levi non assolve i sovietici dalle loro colpe specifiche, ma giudica «fragile» la tesi che presenta le stragi hitleriane come una difesa preventiva contro una invasione «asiatica». E se è vero che «il Gulag fu prima di Auschwitz» non può dimenticare che gli scopi dei due inferni non erano gli stessi. Il primo era un «massacro tra eguali», il secondo si fondava su un'ideologia impregnata di razzismo. Neppure dalle pagine di Solženicyn «trapela niente di simile a Treblinka ed a Chelmno, che non fornivano lavoro, non erano campi di concentramento, ma "buchi neri" destinati a uomini, donne e bambini colpevoli solo di essere ebrei». Levi ricorda inoltre che le imitazioni asiatiche erano bene europee: «il gas veniva prodotto da illustri fabbriche chimiche tedesche; ed a fabbriche tedesche andavano i capelli delle donne massacrate; e alle banche tedesche l’oro dei denti estratti ai cadaveri. Tutto questo è specificamente tedesco, e nessun tedesco lo dovrebbe dimenticare; né dovrebbe dimenticare che nella Germania nazista, e solo in quella, sono stati condotti ad una morte atroce anche i bambini e i moribondi, in nome di un radicalismo astratto e feroce che non ha uguali nei tempi moderni». «Se la Germania d’oggi tiene al posto che le spetta fra le nazioni europee – conclude – non può e non deve sbiancare il suo passato».

Marzo. Escono le edizioni francese e tedesca del Sistema periodico. Levi subisce un’operazione chirurgica.

11 aprile. Muore suicida nella sua casa di Torino.

«Penso che chiunque, qualunque essere umano, possa fare un’opera fondamentale. Non necessariamente un libro… Anzi, sono un’esigua minoranza coloro che possono scrivere un libro, ma qualcosa pure sì, per esempio educare un figlio, risanare un malato, consolare un afflitto. Non ho vergogna o ritegno a ripetere frasi evangeliche».

(fonte primolevi.it)