«Il taglio dei parlamentari non migliorerà nulla e rafforzerà solo l’oligarchia»
SPECIALE REFERENDUM. LE RAGIONI DEL NO. Intervista al Prof. Enzo Di Salvatore dell’Università di Teramo.
Il referendum sulla riforma parlamentare che riduce il numero dei deputati e senatori, rinviato a causa dell'emergenza sanitaria, si svolgerà domenica 20 e lunedì 21 settembre. Il taglio dei parlamentari e i «costi della politica» sono un tema che infiamma e appassiona il dibattito pubblico da diversi anni, creando anche caos e confusione. Per cercare di fare chiarezza su alcuni punti fermi e sul merito della situazione, in vista della consultazione elettorale, Wordnews ha contattato i promotori delle due posizioni: in quest’articolo pubblichiamo l’intervista al prof. Enzo Di Salvatore, costituzionalista e docente dell’Università di Teramo, protagonista di molte vertenze ambientaliste (soprattutto sul fronte delle trivellazioni petrolifere) in Abruzzo e non solo, sostenitore del no al taglio dei parlamentari.
Questa consultazione ha una natura diversa rispetto ai referendum abrogativi ai quali siamo abituati, possiamo innanzitutto chiarire quest’aspetto?
Il referendum abrogativo è un istituto di democrazia diretta che punta, come dice anche il nome, all’abrogazione di determinate leggi ed è sottoposto ad un quorum per essere valido (al contrario del referendum costituzionale dove non c’è quorum da rispettare) e non tutte le leggi (per esempio quelle in materia fiscale e sui trattati internazionali no) possono esservi sottoposte. Quello costituzionale, definito impropriamente confermativo da alcuni, consente al corpo elettorale di partecipare al procedimento di revisione. Una possibilità eventuale perché se si raggiunge nella votazione parlamentare i 2/3 dei voti favorevoli non si può dar luogo alla consultazione.
Uno dei punti più conflittuali del dibattito sul taglio dei parlamentari è relativo al risparmio economico, è possibile chiarire la portata di questo aspetto e si potrebbe ottenere in altri modi?
Se si fosse voluto risparmiare sarebbe stato sufficiente ridurre ciò che i parlamentari percepiscono anziché il numero dei seggi. Il risparmio con il taglio sarà secondo alcuni calcoli all’incirca di un caffè all’anno. Personalmente sono comunque contrario ai risparmi che toccano gli istituti di democrazia, siamo partiti dalla questione della soppressione delle province che poi sono state solo riorganizzate e l’unico risultato che si è ottenuto è stato quello di toglierci la possibilità di sceglierne i membri, si voleva metter mano anche alle regioni considerate centri di spesa, ora siamo arrivati al numero di parlamentari. Se si vuole tagliare ci sono tanti altri settori sui quali si può intervenire, la democrazia no, non si può parlare di risparmio di fronte ad essa. Il taglio dei parlamentari agisce sulla quantità dei rappresentanti, non sulla qualità. E non può rendere più efficiente il Parlamento, giacché il funzionamento delle Assemblee sarà quello di sempre. In più, consegnare tutto nelle mani di pochi rafforzerà l’oligarchia. Se poi agendo sulla quantità dei parlamentari si pensa di migliorare la qualità è più che lecito dubitarne, non si capisce perché meno deputati e meno senatori dovrebbero per definizione essere migliori. Uno degli aspetti più importanti è quello degli organi di garanzia: meno persone parteciperanno all’elezione del Capo dello Stato e più aumenterà il peso dei delegati regionali.
Uno degli aspetti su cui ci si è più soffermati è quello della rappresentanza e l’aumento di fatto delle soglie elettorali al di sopra di quelle nominali. Sarà effettivamente così?
La legge elettorale, e tra l’altro sono ancora pendenti alcuni ricorsi contro il rosatellum bis, è auspicabile venga modificata se il taglio dei parlamentari dovesse essere confermato dal referendum. Altrimenti finiremmo per consolidare il potere di pochi. È necessario un chiarimento poi sulla questione del presunto numero di parlamentari più alto al mondo che avremmo in Italia. Molti citano il modello tedesco che, premesso che non è scontato siano per forza migliori gli altri Stati, risponde ad una logica diversa: in Germania la seconda Camera ha una funzione rappresentativa diversa (ovvero di rappresentare i Länder) mentre la prima non ha un numero fisso, ma variabile, come tra l’altro è stato in Italia fino al 1963: al momento vi siedono 709 deputati. Nelle prime legislature della Repubblica Italiana il numero dei parlamentari è sempre stato crescente, solo successivamente ci fu un consolidamento e si fissò il numero a 630. Se dovessimo realmente prendere quel modello il numero dei parlamentari (considerando che dal 1963 ad oggi la popolazione è aumentata) dovrebbe aumentare. Il numero di 400 deputati e senatori è stato tra l’altro fissato a caso, non si capisce in base a quale logica siano stati scelti questi numeri.
Dovremmo piuttosto ragionare sulla funzione di una delle due camere, così diventa irrazionale partire dall’aumentare o diminuire il numero dei componenti: ai fini del risparmio si ottiene poco, ai fini della funzionalità non garantisce praticamente nulla. La riforma Renzi-Boschi per esempio manteneva inalterato il numero della Camera e riduceva a cento il numero dei senatori, cambiandone apparentemente la funzione. Ma così non era perché, in realtà, i senatori erano delegati dei Consigli regionali e rappresentavano le forze politiche di provenienza, non le regioni: i delegati regionali (non gli assessori) avrebbero potuto iscriversi ai gruppi di riferimento del partito insieme a quelli delle altre regioni, facendo riferimento così ai primi e non ai territori.