Trattativa Stato-mafia: la «nota fantasma» e il mistero del cellulare in carcere di Riina

PROCESSO TRATTATIVA. Proseguono le udienze del processo d'Appello sulla Trattativa Stato-mafia. Lunedì 9 novembre, in videoconferenza, è stato ascoltato l'ex prefetto Luigi Rossi sugli appunti relativi alla nota del Sisde secondo cui il boss Totò Riina, mentre era in carcere a Rebibbia, comunicava con l'esterno grazie all'uso di un dispositivo cellulare in cella.

Trattativa Stato-mafia: la «nota fantasma» e il mistero del cellulare in carcere di Riina
Il prefetto Luigi Rossi

Dopo le dichiarazioni dell'ex agente di polizia penitenziaria e oggi collaboratore di giustizia Pietro Riggio, al processo d'appello sulla Trattativa Stato-mafia è stato ascoltato come teste l'ex prefetto Luigi Rossi, vice capo della polizia nel 1993. Nell'udienza di lunedì mattina, il sostituto procuratore generale Giuseppe Fici ha sottoposto a Rossi, oggi novantenne, il contenuto di una carpetta di lavoro con degli appunti su una nota del Sisde secondo la quale il boss Totò Riina, mentre era in stato di detenzione nel carcere di Rebibbia, utilizzasse un telefono cellulare in cella con la compiacenza di alcuni agenti.

La nota fa riferimento all'estate del 1993, quella delle bombe di Roma e di Milano. La Procura ne ha trovato traccia andando a scovare un appunto del Sisde negli archivi del Ministero degli Interni, del Capo della Polizia – che a quel tempo era Vincenzo Parisi – al Dipartimento di amministrazione penitenziaria e alla Procura di Roma. Ma negli archivi dei Servizi e del centro “Roma 2”, da dove la segnalazione sarebbe partita, della nota non c'è traccia.

A far emergere la vicenda era stato l'ex funzionario del Dap Andrea Calabria, che, ascoltato dai pm, aveva parlato per la prima volta dell'esistenza della nota: [Al Dap] era giunta una segnalazione riservata del ministero degli Interni con una nota del capo della Polizia in cui si ipotizzava che Riina, con l'ausilio di alcuni agenti penitenziari, avesse a disposizione un telefonino per parlare con l'esterno. Di Maggio [Francesco Di Maggio, vicedirettore del Dap] non c'era e quella pratica era giunta in segreteria da qualche giorno. Io e il consigliere Bucalo, che era mio superiore nell'ufficio, decidemmo di trasferire Riina al carcere di Firenze Sollicciano per procedere con gli accertamenti. Poi Di Maggio chiamò Bucalo per revocare il provvedimento e Riina rimase a Rebibbia. Magari aveva avuto delle informazioni rassicuranti sul punto, ma questo è quello che accadde”. E in effetti, il 30 luglio 1993, risulta esserci un trasferimento da Rebibbia a Firenze, poi sospeso il 3 agosto da Bucalo.

Sulla questione sono stati già ascoltati l'ex capocentro di Roma 2, Maurizio Navarra, che ha detto di non aver "mai appreso di una notizia simile", e l'ex agente dei servizi Franco Battaglini, considerato l'autore della nota, secondo cui però l'appunto poteva essere “informale”.

In ogni caso, a non essere chiare sono le modalità di trasmissione della notizia a livello istituzionale. “Quella nota – aveva spiegato il procuratore Ficidatata 24 ottobre e trasmessa il 12-15 novembre, riferisce che i primi di agosto Riina era stato visto telefonare servendosi di un apparecchio cellulare messo a disposizione da quattro agenti penitenziari che hanno ammesso di aver preso quaranta milioni a testa.”

Lo stesso Adalberto Capriotti, capo del Dap - che poi trasmise la nota alla Procura di Roma - chiese dei chiarimenti sulle modalità di trasmissione della segnalazione. Chiarimenti che, a leggere un appunto redatto proprio da lui, fu il prefetto Rossi a dare.

Sul punto, l'ex vice capo della Polizia, ha detto di non ricordare. “Bisognerebbe chiedere a Fera [suo collaboratore], lui ricorderà più di me. L'appunto è mio, ma di questa circostanza non ricordo nulla”.

Secondo il prefetto “c'era tutto un interesse di calcare la mano perché ci fosse massima attenzione, dato il peso del personaggio [Riina]. C'era una linea di massima severità da parte nostra”, ma nessun ricordo – seppure non escluso – di un eventuale colloquio con Parisi sulla vicenda. E nessun ricordo neppure su una conversazione con Di Maggio, nonostante la notazione con la sua firma “Dottor Fera al dottor Di Maggio”.

“Ho detto a Fera di contattare Di Maggio, cosa che poi vedo è stata fatta”. Di Maggio “l'ho incontrato qualche volta in occasione di Comitati nazionali per l'ordine e la sicurezza che si svolgevano al Viminale, in circostanze istituzionali”. Predisporre una nota indirizzata a lui era “un modo per dire mandiamola al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria”.

E ancora: “era un periodo in cui c'era tanto lavoro, Riina era un personaggio importante, l'appunto sarà passato senz'altro da me”.

Il mistero della “nota fantasma” del Sisde rimane, dunque, ancora aperto. Come pure resta senza risposta una domanda per nulla irrilevante e anzi piuttosto inquietante: nell'estate del 1993, mentre scoppiavano le bombe a Roma e Milano ed era in atto una vera e propria opera di destabilizzazione dello Stato, Totò Riina poteva comunicare con l'esterno dal carcere di Rebibbia?

 

 

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