Viktor Orbán, ritratto di un sovranstatista

Da posizioni liberali ed europeiste alla svolta sovranista. Il ritratto di Viktor Orbán, il leader che ha trasformato l'Ungheria e che piace tanto alle destre di casa nostra.

Viktor Orbán, ritratto di un sovranstatista
Ph. gds.it

Vispo, autoritario, diversamente umile. Il guru della destra nostrana, un po' populista, un po' ampolloso, per lo più sgraziato. È Viktor Orbán, il "talismano della destra mainstream dell'Europa". Mascella serrata, doppio mento invidiabile, figura possente.
Il Primo ministro ungherese, il più longevo dell'Unione europea dopo Angela Merkel, è sempre stato l'idolo di Matteo Salvini. Che infatti nel 2017, al grido "Mr Orbán tenga duro", fece un commosso discorso in difesa del leader ungherese al Parlamento europeo. Così, giusto per mostrare da che parte della democrazia si colloca.

Ma il maestro spirituale della destra sovranista ha ricevuto plausi in Italia non solo dal leader leghista. C'è tutta una pletora di accaniti sostenitori, da Fratelli d'Italia a certa stampa di destra che si spella le mani ad applaudire chiunque mostri il pugno fermo con i disgraziati e i diseredati. E poco importa se Orbán si stia opponendo con forza al Recovery Fund promesso dall'Europa, definendolo "un'idea tagliata su misura per le necessità dei Paesi del Sud". Quei poveracci. 

Quel che conta - e che basta - è che rappresenti la quintessenza di quell'ideologia anti-Europa, anti-migranti, anti-democrazia e anti-qualsiasi cosa, che fa accalorare tanti sovranisti da strapazzo.

Ma una domanda a questo puntoè lecita: chi è Viktor Orbán, il sovran-statista d'Ungheria?

Un promettente ragazzone che a trentacinque anni si è ritrovato per la prima volta il Paese tra le mani. E ha provato a plasmarlo a sua immagine e somiglianza. Inizialmente su posizioni liberali ed europeiste, l'inflessibile Primo ministro ha poi virato verso atteggiamenti più intransigenti.

Il decennio di Orbán ha condotto l'Ungheria attraverso una radicale e progressiva trasformazione. Il Premier dai toni duri e dal piglio autorevole, tutto imbottito di retorica populista e nazionalista, ha forgiato il Paese nel segno della "democrazia illiberale", ansioso di svincolarsi dai dogmi dell'ideologia occidentale ed europea.

Il suo volto starebbe bene su una maglietta da campagna elettorale di Salvini: tronfio, pomposo, pieno di sé. Ma la verità è che Orbán è un politico scaltro. Camaleontico, astuto, versatile.

Da quando c'è lui al potere, l'Ungheria ha perseguito politiche economiche in controtendenza rispetto ai parametri UE. Uno dei motivi per cui è tanto amato dalle nostre parti. Il suo governo esercita un controllo nei settori chiave dell'economia. Si è avvicinato sempre più a Mosca e Pechino, stipulando accordi commerciali da miliardi di euro. Ha provato a magiarizzare il capitalismo nazionale tentando di ingraziarsi la nuova borghesia imprenditoriale e ha operato una centralizzazione del potere che gli ha permesso di allargare a dismisura il proprio raggio d'azione.

Ha monopolizzato i media istituendo una Commissione di controllo televisivo, un modo garbato per dire che in tv passa solo quello che dice lui.

Ha messo mano alla Costituzione trascinandola nel solco del conservatorismo più retrogrado. Ha limitato i poteri della Corte costituzionale e riformato la Giustizia, creando un sistema speculare di tribunali alle dipendenze del governo. 

Nel dicembre 2018 la sua maggioranza ha votato una legge che, per la straordinaria attenzione alle tematiche del lavoro, hanno subito ribattezzato "legge sulla schiavitù": le ore di straordinario per i lavoratori sono aumentate, la contrattazione dei sindacati ha perso la sua forza.

Dopo le ultime elezioni, uno dei primi provvedimenti presi dal suo governo è stato la legge Stop Soros, che prevede una tassa del 25% per le donazioni straniere a organizzazioni non governative che supportano i migranti nel Paese.

Favorevole alla reintroduzione della pena di morte in Europa, lo statista Orbán ha fatto della lotta ai migranti il suo cavallo di battaglia. Fino al capolavoro assoluto del 2015: la costruzione della barriera alla frontiera con la Serbia. Quanto spirito liberale sgorga dalle acque del Danubio.

Il suo partito – Fidesz - non è mai sceso sotto la soglia del 44% dei consensi. Complice anche una riforma iper-maggioritaria del sistema elettorale. Alle ultime elezioni, Orbán ha ottenuto la maggioranza dei due terzi del Parlamento con il 49,27% dei voti ai seggi.

Con l'esplodere dell'emergenza Covid-19 però, l'illiberale Viktor è diventato ancora più illiberale.

A marzo il Parlamento ha votato una legge che gli ha conferito di fatto i “pieni poteri”. Il vecchio orbo si è riservato così la facoltà di governare per decreti, di cambiare o sospendere leggi già esistenti, di bloccare nuove elezioni e, soprattutto, di chiudere il Parlamento.

Ha poi tagliato fondi alle opposizioni, introdotto il carcere fino a 8 anni per chi avesse diffuso “false notizie” sulla pandemia o violato il lockdown, dato il via a perquisizioni e fermi in alcuni casi arbitrarie, inasprito le norme sulle espulsioni e – assolutamente prioritario per arginare l'emergenza sanitaria – introdotto il divieto di modificare il genere sui documenti d'identità dopo il cambio di sesso.

Naturalmente lodi e apprezzamenti sono arrivati dall'Italia, neanche a dirlo, da capitan Salvini e Giorgia Meloni. Che intanto occupavano piazze e dormivano in Senato per contrastare “la deriva autoritaria del governo Conte”. Che Paese straordinario.

Lo scorso 16 giugno, Fidesz ha revocato lo Stato di emergenza e, di conseguenza, anche i pieni poteri. Ma dall'Ungheria lanciano l'allarme: a Orbán non è stata tolta la prerogativa di dichiarare un'altra emergenza nazionale. E di riprendersi eventualmente tutti i poteri che vuole.

E il bello è che tutto ciò non accade in un remoto Paese dell'America latina, ma nella democratica Europa. Sotto gli occhi di tutti. 

Viktor Orbán è la dimostrazione di come il virus del sovranismo possa attecchire laddove la cultura democratica è in forte affanno. Ma per il momento non ci sono contromisure in programma.