Adelina, sfruttata dalla mafia e abbandonata dallo Stato

Una storia di ingiustizia, disumanità, mafie, sfruttamento su cui l'Italia si è voltata dall'altra parte chiudendo complice e vigliacco gli occhi.

Adelina, sfruttata dalla mafia e abbandonata dallo Stato
Adelina, fonte: sito web Resistenza Femminista

«Siamo profondamente addolorate per la scomparsa della nostra sorella Adelina, il vuoto che ha lasciato è grande ma non possiamo non raccogliere il suo grido e portarlo dappertutto:  “Diventate la mia voce, date voce a quello che è successo a me perché tutte le Adeline possano avere quello che non ho avuto io, che queste cose non possano accadere più”».

Così inizia il ricordo di Adelina pubblicato da Resistenza Femminista lo scorso 18 novembre, morta nei giorni precedenti. Sfruttata dai sistemi criminali mafiosi dello stupro a pagamento, Adelina aveva denunciato e fatto arrestare i suoi aguzzini ed era stata abbandonata dallo Stato di cui voleva essere cittadina e alla quale aveva donato il suo coraggio, isolata, attaccata e disprezzata anche da alcune che avrebbero dovuto essere al suo fianco per il coraggio e la forza della sua denuncia contro la tratta e lo sfruttamento perverso, maschile, patriarcale di una delle più turpi ed immonde realtà criminali della società odierna e di tutti i tempi. 

«Il giorno prima della sua scomparsa ci aveva rassicurate, voleva continuare a lottare nonostante fosse stata abbandonata dalle istituzioni e lo ha fatto fino alla fine per chiedere giustizia non solo per se stessa, ma per tutte le donne vittime del sistema prostituente per le quali si era spesa da sempre fin da quando si era ribellata ai suoi sfruttatori mandando in carcere 40 persone e facendo liberare 10 ragazze schiave (di cui la più piccola appena quattordicenne) come lei dei trafficanti, sottoposte ad ogni genere di torture non solo dei criminali che le tenevano in schiavitù ma anche degli stupratori a pagamento sulle strade italianeha ricordato Resistenza Femminista - Adelina era un’attivista abolizionista.

Non si è mai risparmiata per la lotta a favore delle donne prostituite e perfino quando si era ammalata di cancro aveva voluto comunque rilasciare la sua testimonianza in Senato per chiedere ai nostri politici di approvare una legge abolizionista: “C’è chi parla di legalizzare i bordelli e le cosiddette zone rosse. Se oggi fossi ancora schiava, avrei paura che qualcuno potesse buttare una bomba contro i miei familiari. Io starei dentro al bordello, così i miei sfruttatori prenderebbero i soldi, mentre lo Stato incasserebbe le tasse. Io, come qualsiasi donna (parlo da ex schiava del racket della prostituzione), mi aspetto da chi rappresenta lo Stato – mi riferisco alle istituzioni, al Governo e a chi ha i poteri – di offrirmi opportunità dignitose. […] Se sono qui oggi è per dirvi che personalmente ho subito tutti i tipi di torture e quelle che ho subito io le stanno subendo tutte le ragazze. Fate qualcosa per queste ragazze, non permettete che venga legalizzata la schiavitù della prostituzione e vengano aperti i bordelli. Se domani il mio medico mi dovesse dire che sto per morire e mi chiedesse di esprimere un ultimo desiderio, direi che il mio desiderio è fermare la domanda sul tema della tratta di esseri umani. Non lo dico tanto per dire, ma lo penso veramente. Bisogna fermare la domanda con multe ai clienti, perchè sono consapevoli”».

L’impegno di Adelina è proseguito instancabile almeno fino al 2019 «anno in cui ha scoperto di essere affetta da un cancro diagnosticato in ritardo a causa della sua impossibilità a curarsi: Adelina era una donna povera che non aveva ricevuto alcun sostegno dallo Stato che però aveva servito per molti anni diventando come le dicevano “un esempio da seguire” per le ragazze schiave del racket».

Il mese precedente è stato il decimo anniversario della morte, assassinata di fatto dal racket dello stupro a pagamento, di Lilian Solomon.

«Una ragazza nigeriana che avrà per sempre 23 anni, morta dopo essere stata sfruttata fino all’ultimo giorno malata e sofferente di atroci dolori  in Abruzzo – abbiamo ricordato varie volte nei mesi scorsi insieme ad Associazione Antimafie Rita Atria e PeaceLink Abruzzo - sfruttata prima sulle strade della Lombardia e poi sulla famigerata bonifica del tronto, costretta con violenza ad abortire ingerendo alcolici e medicinali.

 

Per mesi e mesi continuò ad essere preda degli schifosi appetiti dei suoi quotidiani aguzzini (quelli che vengono definiti “clienti”) nonostante soffrisse dolori lancinanti, insopportabili quotidianamente. E proprio perché troppo vittima di questi dolori, proprio perché le stavano letteralmente impedendo di vivere, troppo spaventata dal loro persistere e aumentare, decise di sfidare la paura e i suoi sfruttatori. Denunciò e si affidò a On the Road. Quando gli operatori di On the road la incontrano per la prima volta Lilian soffriva da tempo di fortissimi dolori. Erano i sintomi dell’avanzata di un linfoma. Ricoverata nel reparto di Oncologia dell’Ospedale di Pescara è morta il 1° ottobre 2011. Per un tempo infinito Lilian ogni notte continuò ad essere violentata, sfruttata, a dover nascondere una sofferenza inumana».