'NDRANGHETA STRAGISTA: il pm Lombardo sta mettendo insieme tutti i pezzi del puzzle

PROSEGUE LA REQUISITORIA. Giuseppe Lombardo sta per tirare i fili della stagione delle bombe e degli attentati ai Carabinieri del '93-'94. Tra 'Ndrangheta, Cosa nostra, massoneria, "uomini di mezzo", pezzi deviati dei servizi e il progetto politico di Forza Italia, il processo di Reggio Calabria è ormai agli sgoccioli.

'NDRANGHETA STRAGISTA: il pm Lombardo sta mettendo insieme tutti i pezzi del puzzle

Prosegue la requisitoria del pm Giuseppe Lombardo al processo 'Ndrangheta stragista, che vede sul banco degli imputati i boss Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, accusati di aver commissionato gli attentati contro i carabinieri in Calabria tra il dicembre del 1993 e l'inizio del 1994.

Prosegue nel silenzio generale, lontana dai riflettori dei grandi media, assente nei dibattiti politici del Paese. Quasi come se fosse un interesse di nicchia, un ghiribizzo di pochi squilibrati che si scandalizzano per fatti accaduti quasi trent'anni fa. Fatti che, tuttavia, hanno scandito la nascita della Seconda Repubblica e che dovrebbero far impallidire per la loro portata assolutamente devastante.

Ma andiamo con ordine.

L'udienza del 7 luglio si è aperta con l'intervento del sostituto procuratore Walter Ignazzitto, che ha illustrato alla Corte i risultati delle analisi di alcuni tabulati telefonici.

Analisi che si sono scontrate con difficoltà tecniche evidenti - le celle del '93-'94 avevano un raggio d'azione molto più ampio di quelle attuali, perché il traffico telefonico era notevolmente inferiore a quello odierno, per cui la localizzazione (che si poteva effettuare solo sulle chiamate in uscita) risultava molto meno precisa e accurata rispetto ad oggi - ma che hanno fatto emergere particolari di assoluto rilievo.

Come quello relativo all'utenza di Graviano, che il 17 dicembre si spostava dalla Calabria alla Sicilia, proprio nel periodo a cavallo tra il primo e il secondo attentato ai Carabinieri. O come quello riguardante i contatti di stragisti e soggetti a loro collegati che si agganciavano alle celle calabresi nella stagione delle bombe.

La requisitoria di Lombardo si è invece soffermata sui collaboratori di giustizia, sul ruolo di vertice rivestito da Rocco Santo Filippone e sulla collaborazione di Consolato Villani, Nino Lo Giudice e su quella "pilotata" di Giuseppe Calabrò

È tornato il nome di Giovanni Aiello, faccia da mostro, l'ex poliziotto che ha operato in Sicilia al fianco di Bruno Contrada e che, secondo vari testimoni, avrebbe avuto un ruolo in stragi, delitti e misteri di mafia - e non solo di mafia. Nino Lo Giudice ricorda di averlo incontrato varie volte a Reggio Calabria e anche Giuseppe Calabrò ha riferito di averlo visto nel negozio di Demetrio Lo Giudice.

Ed è tornata anche la consapevolezza, sempre più lampante, che quando si parla di 'Ndrangheta e mafia siciliana non ci si riferisce a due entità estranee, ma ad un "sistema criminale integrato". Nelle scorse udienze, Lombardo ha ricordato: "non c'è solo un contatto ideologico (tra Cosa nostra e 'Ndrangheta), ma anche affari di alto livello che vengono gestiti insieme, per creare le premesse di un sistema che si autoalimenta e gestisce capitali di rilievo".

Cosa nostra e 'Ndrangheta sono dunque una cosa sola e gli uomini che operavano nel milanese (i Papalia, Franco Coco Trovato, ecc) contribuirono a rinsaldare questo legame di collaborazione, che vede nella Fininvest di Silvio Berlusconi un interesse comune.

Ma le convergenze di interessi della mafia si incrociano anche con il sistema massonico gelliano, di cui hanno parlato, tra gli altri, il collaboratore Cosimo Virgiglio di Rosarno e Giuliano Di Bernardo, secondo cui "voi avete sciolto solo una sigla" mentre la P2 si è spostata sotto una nuova insegna e continua a esistere. 

"Nella storia d'Italia - ha constatato Lombardo - ci sono una serie di figure che sembrano apparire ciclicamente sullo scenario giudiziario", quasi come "componenti fisse di un determinato sistema che la ciclica presenza in più processi, invece di averne rafforzato il ruolo, lo ha lentamente svalutato". E questo è un approccio sbagliatissimo perché "va in linea con quello che quei soggetti hanno per lungo tempo desiderato: essere costantemente presenti, per trasformare la loro presenza in qualcosa che non ha rilievo penale".

Il quadro che il pm ha pazientemente tracciato ci parla di una 'Ndrangheta visibile e di una 'Ndrangheta sommersa, una realtà in cui i cosiddetti "uomini di mezzo" si muovono a metà tra il "sovramondo" e il "sottomondo".

Ed è proprio il sovramondo, di cui fanno parte elementi come Graviano e Filippone, che all'inizio spinge per il disegno autonomista che porta alla nascita di leghe e movimenti separatisti quali Sicilia Libera e, prima ancora, Calabria Libera.

Il pm fa poi riferimento all'indagine "Sistemi criminali" di cui si sono occupati i colleghi di Palermo, dalla quale è venuto fuori un piano di eversione messo in atto da Cosa nostra, massoneria, eversione nera e pezzi deviati delle Istituzioni e dei servizi. Questo processo non riguarda solo due imputati, ma un'intera stagione, nella quale le mafie non si mossero per rovesciare il sistema, ma per "mantenere lo status quo" in uno scenario politico totalmente mutato. 

È il "fare la guerra per fare la pace" che rappresenta alla perfezione la linea politica di Totò Riina.

Dopo la vittoria del PDS alle amministrative del '93, lo scenario autonomista viene abbandonato e si vira su Forza Italia, progetto politico che gli "uomini di mezzo" conoscevano da tempo. C'è infatti una "imbarazzante coincidenza organizzativa tra le sedi di Sicilia Libera e le prime sedi di Forza Italia". Il "voteremo Berlusconi! Voteremo Berlusconi!" pronunciato nel Tribunale di Palmi da don Peppino Piromalli, risale al 24 febbraio 1994. Quello stesso Piromalli di Gioia Tauro che fu "la prima persona che Dell'Utri contattò per la formazione di Forza Italia", come è emerso da un'intercettazione del 2018 dell'avvocato Giancarlo Pittelli.

Per Lombardo "c'è stata una piena coerenza fra strategia stragista e strategia politica di Forza Italia". La stagione delle bombe è stata "una partita con più giocatori e innumerevoli interlocutori".

La rabbia di oggi di Graviano (per i patti non rispettati) e la fretta di allora (per velocizzare l'attentato all'Olimpico e gli attacchi ai carabinieri in Calabria) dimostrano, secondo l'accusa, che un accordo e delle trattative sicuramente ci furono.

E un altro particolare che non può certo essere derubricato a semplice coincidenza è la presenza di personaggi calabresi e siciliani all'Hotel Majestic di Roma, negli stessi giorni in cui proprio lì si stava progettando la discesa in campo di Berlusconi. Hotel che curiosamente si trovava a 120 metri dal Bar Doney in cui Graviano avrebbe detto a Spatuzza "ci hanno messo il Paese nelle mani".