Custodire il Creato attraverso la condivisione del pane nostrum

Si celebra oggi, 1° settembre, la 17ª Giornata Nazionale per la Custodia del Creato, un’iniziativa voluta dalla Conferenza Episcopale Italiana in sintonia con le altre Chiese europee, che consiste in una giornata annuale dedicata a riaffermare l’importanza, anche per la fede, dell’ambientalismo, con tutte le sue implicazioni etniche e sociali, in virtù dell’ecologia integrale, uno dei punti cardine del magistero di Papa Francesco.

Custodire il Creato attraverso la condivisione del pane nostrum
Caravaggio, un particolare della Cena in Emmaus

“Prese il pane, rese grazie (Lc 22,19). Il tutto nel frammento” è il tema scelto per la giornata di quest’anno, testo che accompagnerà anche il Tempo del Creato (1° settembre – 4 ottobre 2022). Quante cose sa dirci un pezzo di pane! Basta saperlo ascoltare. Purtroppo il pane ci sembra scontato: è talmente «quotidiano» da non attirare la nostra attenzione. Non si apprezza, si usa; non si guarda, si mangia. Lo consumiamo automaticamente e affannosamente, senza badarci accuratamente.

 

In un momento storico-politico nonché socio-economico così delicato, e insieme critico e allarmante, quale quello che stiamo vivendo su scala globale, in cui il grano viene usato come arma da guerra, non possiamo non lasciarci guidare nella nostra riflessione da quel “grandioso vagabondaggio del grano” – così lo definisce Erri De Luca nella postfazione – qual è “Pane nostro” di Predrag Matvejevic.

 

Pane nostro” è il frutto di vent’anni di lavoro dello scrittore e accademico jugoslavo con cittadinanza croata naturalizzato italiano che, nei lunghi anni trascorsi tra “asilo ed esilio”, ha approfondito le sue conoscenze sul tema del pane, che è prodotto della natura e della cultura.

La storia di questo libro sgorga dal ricordo del bambino Predrag che, su invito del padre e di nascosto dai vicini, portava metà della razione bisettimanale di pane dell’intera famiglia a tre prigionieri tedeschi. Quel pane, che il padre prigioniero aveva ricevuto in dono da un pastore tedesco durante i suoi lavori forzati, riemerge tra le mani innocenti di un bambino per essere a sua volta dono per l’affamato. Proprio come scrive Qohelet: “ Getta il tuo pane sulle acque, perché con il tempo lo ritroverai” (Qohelet 11,1).

 

Quel pane cui oggi rivolgiamo troppo spesso appena uno sguardo distratto e che, invece, dai poveri e dagli affamati di ogni tempo è sempre stato visto come il desiderio più lancinante: semplici uomini, come Vlamidir, lo zio di Predrag, o creatori di poesia eccelsa come Mandel’štam moriranno tra gli stenti invocando un pezzetto di pane.

 

Per lungo tempo il pane è stato il principale alimento dell’uomo. Quello che si mangiava insieme era un’aggiunta, un accessorio: il companatico. I ruoli sono mutati: il pane nei tempi nuovi è diventato sempre più un elemento di contorno. È questa una delle differenze principali che distingue, e separa, il mondo dei poveri da quello dei ricchi: i primi ne vogliono sempre di più; gli altri, particolarmente attenti alla forma e all’immagine, vi rinunciano volentieri.

Quella del pane è una grande affascinante storia, ricca di sapienza e di poesia, di arte e di fede.

 

Abbraccia l’intera storia dell’umanità, nella sua complessità: dal giorno lontano in cui i nostri antenati si stupirono per la simmetria dei chicchi sulla spiga, fino a oggi, quando miliardi di esseri umani ancora soffrono la fame e sognano il pane, mentre altri appunto lo consumano e lo sprecano nell’abbondanza. Sulle rive del Mediterraneo, dalla Mesopotamia alle tavole del mondo intero, il pane è stato il sigillo della cultura.

 

Ha accompagnato viaggiatori, pellegrini, marinai. Si è ritrovato al centro di dispute sanguinose e interminabili: le guerre per procacciarsi il cibo, ma anche le lunghe controversie sul pane - lievitato oppure azzimo - da usare per la comunione. Perché il pane è anche un simbolo, al centro del rito eucaristico, metafora del nutrimento spirituale. E lo si ritrova, nelle sue mille varietà, in molte opere d’arte, dall’antico Egitto alla pop art. Raccontando questa saga sul pane, come nel suo “Breviario mediterraneo”, Matvejevic ci parla di Dio e degli uomini, della storia e dell’antropologia, della fame e della ricchezza, della guerra e della pace, della violenza e dell’amore. Una saggezza spesso temprata nel dolore, ma sempre piena di speranza.

Resterà un mistero dove e quando germogliò la prima spiga di grano. La sua presenza richiamò lo sguardo dell’uomo e suscitò la sua attenzione. La collocazione dei chicchi, con il loro ordine all’interno della spiga, offriva un modello di armonia, di misura, forse anche di uguaglianza. Le molte specie e qualità dei cereali stimolarono il senso della diversità, della virtù, probabilmente anche della gerarchia. Uguaglianza e diversità, unità e pluralità, identità e molteplicità: la spiga di grano può educarci alla bellezza e alla ricchezza delle differenze, in un’apertura all’Altro vissuto come risorsa e non come limite.

 

Ciascuno di noi, anche grazie alle pagine di Matvejevic, dovrebbe affinare i propri sensi, materiali e interiori, per tornare ad “ascoltare” il pane e a coglierne la centralità nella nostra vita. La vista che contempla la crescita misteriosa suscitata da un pizzico di lievito nascosto e ammira l’indorarsi della superficie esposta al calore; l’udito che coglie il gemito della crosta che si spezza e la gioia che si sprigiona dalla condivisione avviata da quella frazione; il tatto delle dita capaci di stringersi a difesa delle poche briciole rimaste; l’olfatto che pregusta la fragranza della bontà o finge di ignorare la muffa dell’ultimo boccone rimasto; il gusto che assapora la libertà tra i denti o che sa rievocare l’abbondanza di un tempo anche nei giorni della fame.

 

Ciascuno di noi dovrebbe ritrovare la gioia della condivisione nel riscoprirsi “com-pagni”. Un nome bello e antico che non va lasciato in disuso: dal latino “cum panis”, coloro che mangiano insieme lo stesso pane. Coloro che lo fanno condividono anche l’esistenza, con tutto quello che essa comporta: gioia, dolore, lavoro, lotta e anche sofferenze.

Ciascuno di noi troverà pane per la sua fame: sia essa anelito di giustizia, di libertà, di verità; sia essa stupore per il seme che cresce misteriosamente oppure curiosità di ricerca o amore per la conoscenza.

 

Oggi che, come diceva Primo Levi, abbiamo una casa calda e il ventre sazio, ci sembra di aver risolto il problema dell’esistere e ci sediamo a sonnecchiare davanti alla televisione. Ma è proprio in quest’oggi che davanti a quella televisione, in cui vediamo ancora una volta e tragicamente milioni di persone muoversi dalla fame verso il pane perché noi non siamo capaci di far muovere il pane verso la fame, non possiamo sonnecchiare! Dobbiamo destarci immediatamente e agire!

 

Questa sapiente memoria del “pane nostro”, infatti, ricorda a tutti che il pane o è “nostro”, condiviso tra compagni, oppure cessa di essere pane.