Delitti di criminalità organizzata e collaboratori di giustizia: luci ed ombre del regime penitenziale premiale

IL LIBRO. Il testo è frutto di un lavoro impegnativo  e non a caso è stato in tempo reale ritenuto di pregio scientifico e preso in carico dal Dipartimento di scienze forensi dell’Università di Siena.

Delitti di criminalità organizzata e collaboratori di giustizia: luci ed ombre del regime penitenziale premiale

Delitti di criminalità organizzata e collaboratori di giustizia: luci ed ombre del regime penitenziale premiale scritto per la Collana scientifica di Diritto Penale (Penale.it) curata da Daniele Minotti e pubblicato nel 2017 rispondeva all’intento di dare della tematica una completezza che, nel pregio dell’attualità, tenesse conto non solamente della normativa e della giurisprudenza ma anche delle fenomenologie e delle problematiche connesse alla disciplina giuridica nella sua specialità. La ricerca compendiativa e i tanti spunti di analisi fecero del volume un testo corposo ma di dichiarato entusiastico interesse da parte del curatore e dell’editore.

Ciò incoraggiò la scelta di favorirne la diffusione attraverso il formato editoriale più accessibile.

Il testo ottenne immediatamente uno sbalorditivo successo di pubblico sia in ambito accademico che in contesti socioculturali. Successo culminato nel conseguimento del Premio internazionale giuridico-scientifico 'Giovanni Falcone-Paolo Borsellino'. Il riconoscimento, assegnato venerdì 22 febbraio 2019 nella prestigiosa cornice della sala del Refettorio della Camera dei Deputati, alla presenza di autorità accademiche e personalità del mondo del giornalismo, della cultura e delle istituzioni, ha potenziato, per l’eco prodotta nei media, la sua fortuna editoriale

(https://www.adnkronos.com/premio-falcone-borsellino-a-antonia-giordano-e-ilaria-leccese_3GRw1brwXjXVG40uZ0xklt).

La premiazione nel Camera dei Deputati alla presenza delle autorità istituzionali e accademiche

"L'opera selezionata per la nomination ha conquistato la vittoria -dichiarò pubblicamente il presidente del premio Alfredo Bassioni - non solo per la puntuale analisi scientifica del fenomeno mafioso e del connesso regime punitivo ma anche per la chiarezza espositiva che ne fa un'opera di facile ed interessante lettura".

“Dopo un’attenta disamina delle dinamiche comportamentali delittuose della criminalità organizzata, condotta analizzando le tecniche di penetrazione dei sodalizi criminali nel tessuto sociale, istituzionale, politico ed economico per sovvertirne le regole, il volume di Giordano e Leccese si incentra sulle criticità del cosiddetto doppio binario dell’attuale regime penitenziario ponendo l'accento, in particolare, sulla controversa condizione dei collaboratori di giustizia. Nel lavoro - si legge nella motivazione - viene analizzato con compiuta proprietà espositiva il trattamento differenziato - il sistema definito come “doppio binario” perché imperniato sulla previsione di circuiti trattamentali diversi a seconda del titolo di reato su cui si fonda la detenzione- che il diritto carcerario riserva ai detenuti per delitti di criminalità organizzata, rispetto agli altri detenuti. Tutta l’opera, scritta con proprietà di linguaggio, denota una competenza notevole in materia e una capacità di descrivere in modo chiaro e puntuale ma al contempo scorrevole la complessa tematica rendendo comprensibile e piacevole la lettura del contenuto anche ai non addetti ai lavori".

A cinque anni dalla prima edizione la seconda, pubblicata in questi giorni da Di Carlo Editore, è improntata non soltanto al necessario aggiornamento normativo, dottrinale e giurisprudenziale del testo ma anche ad una decisiva revisione di alcune parti, nelle quali l’evoluzione legislativa ha inciso in maniera significativa in modo da presentare al lettore un’opera aderente alle sue esigenze di formazione o di informazione. L’aggiornamento critico di un testo scientifico rappresenta un’occasione stimolante per gli studiosi ma anche un impegno personale gravoso ed è per questo che le autrici si sono cimentate valorizzando i suggerimenti di  tutti coloro che in questi anni hanno sostenuto il loro lavoro con  preziosi fonti  documentali e testimoniali incoraggiandole ad affidare alle stampe questo testo in versione rinnovata.

Il testo è frutto di un lavoro impegnativo  e non a caso è stato in tempo reale ritenuto di pregio scientifico e preso in carico dal Dipartimento di scienze forensi dell’Università di Siena.

La criminalità organizzata -di cui il fenomeno mafioso rappresenta l’espressione più qualificante- presenta caratteristiche identificative e strutturali molteplici e di non sempre facile indicizzazione, ma contrassegnate tutte dal comune denominatore del tradursi in dinamiche comportamentali che si snodano in diacroniche temporali imprevedibili con una capacità di capillare penetrazione nel tessuto sociale, istituzionale, politico ed economico, per sovvertirne regole e contenuti.

A tale potenziale destabilizzante, configurabile di fatto come una sorta di contropotere, l’ordinamento giuridico ha opposto un articolato regime preventivo- repressivo che involge il diritto penale, il diritto processuale e il diritto penitenziario. Il testo focalizza, in particolare, i mezzi di contrasto al crimine organizzato predisposti in ambito penitenziario.

Il diritto penitenziario proietta nella controversa realtà del carcere, l’istituzione deputata ad assolvere una duplice, ambivalente funzione: privare della libertà il soggetto che ha violato le regole della convivenza sociale (funzione manifestamente punitiva) e, nel medesimo tempo, rendere la punizione degna di uno Stato civile e democratico, facendo sì che non sia fine a sé stessa, ma diventi strumento per un obiettivo più alto, quale la rieducazione ed il reinserimento sociale del reo (funzione rieducativa). Questa doppia funzione, derivante dalla irrisolta dicotomia di fini attribuiti alla pena retribuzione-castigo- riparazione del delitto, da una parte, ed emenda-rieducazione-risocializzazione del reo, dall’altra, viene esplicata all’interno di strutture, pratiche, ruoli, rapporti in cui si sostanzia la realtà della detenzione che, in una visione d’insieme, costituiscono il carcere-apparato.

Il contemperamento di questi opposti interessi, entrambi di valore rilevante, è particolarmente difficile quando la detenzione riguardi un soggetto appartenente ad un’organizzazione criminale di stampo mafioso perché il forte allarme sociale, che desta il modus operandi che caratterizza questa categoria di criminalità, induce il legislatore ad elaborare un sistema detentivo che persegue, prevalentemente, una finalità general-preventiva, tralasciando quel fine rieducativo che, secondo il dettato costituzionale, dovrebbe essere proprio della pena.

Nel lavoro viene analizzato il trattamento differenziato -il sistema definito come  “doppio binario” perché imperniato sulla previsione di circuiti trattamentali diversi a seconda del titolo di reato su cui si fonda la detenzione- che il diritto carcerario riserva ai detenuti per delitti di criminalità organizzata, rispetto agli altri detenuti.

Il regime penitenziario nei delitti di criminalità organizzata è, infatti, costituito da una serie di inasprimenti della disciplina che influiscono, non solo sul trattamento intramurario, ma anche sulle possibilità di fruire di strumenti di detenzione extramuraria, che l’ordinamento penitenziario prevede.

Il combinato disposto degli artt. 4 bis, 41 bis e 58 ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (c.d. ordinamento penitenziario) delinea un trattamento detentivo particolarmente afflittivo nei confronti dei detenuti per delitti di criminalità organizzata, che può essere evitato solo in presenza di una condotta collaborativa. Attorno alla collaborazione processuale, infatti, ruota tutto il regime penitenziario di tali detenuti, dal momento che il legislatore si basa su una presunzione legale di pericolosità sociale derivante dal tipo di reato commesso, superabile solo in presenza di una condotta di cooperazione con l’autorità giudiziaria, utile al raggiungimento di obiettivi investigativi e processuali.

Infatti, in assenza delle rivelazioni dei collaboratori di giustizia che, agendo all’interno dell’organizzazione mafiosa ne conoscono ogni dettaglio, la Mafia sarebbe rimasto un fenomeno oscuro e impermeabile.

Per tale ragione il legislatore ha incentivato la collaborazione con la giustizia, subordinando a questa scelta la concessione di benefici penitenziari, da una parte, e dall’altra, implementando misure idonee ad evitare che i vertici dei sodalizi criminali in detenzione possano comunicare con gli ambienti criminali di appartenenza.

Il regime penitenziario che ne deriva è fortemente afflittivo e presenta molti aspetti di dubbia compatibilità sia con la Costituzione, che con le Carte sovranazionali poste a tutela dei diritti umani.

Per una maggiore comprensione della ratio sottesa a questi interventi, nel capitolo I viene descritta l’evoluzione storica del fenomeno delle Mafie e le principali risposte del legislatore nel contrasto al crimine organizzato.

Nel capitolo II e III sono riportati i principi su cui l’intero sistema carcerario si fonda e, in particolare, il trattamento detentivo riservato agli autori di delitti di criminalità organizzata, sia sotto il profilo extra murario, che intramurario.

Il regime delineato dall’art. 41 bis, il cosiddetto “carcere duro”, viene descritto nel capitolo IV, dove sono affrontati gli aspetti più critici che hanno alimentato  diatribe non solo in ambienti accademici, ma anche politici, sociali e religiosi, sia in ambito nazionale che internazionale.

Nel capitolo V viene esposta la tematica della collaborazione processuale evidenziandone, nella sua evoluzione storica, il rilievo che riveste ai fini della lotta al fenomeno mafioso e che sorregge tutto il regime normativo premiale.