Il massacro di Attilio Manca: la relazione (di maggioranza) sulla morte dell'urologo siciliano

DI SICURO C'E' SOLO CHE E' MORTO. Ma come è morto Attilio Manca, l'urologo di Barcellona Pozzo di Gotto? Ha operato e riconosciuto il latitante (di Stato) Bernardo Provenzano? E' stato massacrato - come affermano diversi collaboratori di giustizia - dall'ex poliziotto legato ai più grossi delitti siciliani degli anni'80 e '90? Chi è Stato ad eliminare un testimone scomodo?

Il massacro di Attilio Manca: la relazione (di maggioranza) sulla morte dell'urologo siciliano
Attilio Manca (dal profilo della signora Angela Manca)

«Si può cercare di nascondere la verità, coprendola con una montagna di menzogne; si può cercare di costruirsi un'immagine di finto perbenismo, ma alla fine, con il tempo, la montagna si sgretola e la maschera di finto perbenismo cade. Non dimenticatelo mai!»

Angela Manca

Le abbiamo messe a confronto le due Relazioni della Commissione Antimafia. In quella di minoranza, già pubblicata, si trovano elementi, ipotesi, fatti e dettagli completamenti diversi da quelli che si riscontrano nella Relazione di maggioranza.

Perchè questa asimmetria? Perchè in una relazione (quella di minoranza) l'urologo Manca viene definito una vittima del sistema mafioso e di potere e nell'altra si persegue la strada dell'overdose di eroina e, quindi, di un Manca tossico? 

In questa brutta storia chi non ha fatto fino in fondo il proprio dovere? Manca deve essere etichettato semplicemente come un assuntore di eroina? Tutto si deve ridurre a questo, indipendentemente dalle innumerevoli dichiarazioni dei collaboratori di giustizia? In questa Relazione, e non se ne capisce il motivo, nemmeno sono state riportate.  

«Deve tuttavia segnalarsi che le indagini svolte dalla procura della Repubblica di Viterbo, pur addivenendo a una ricostruzione aderente alle complesse risultanze investigative, furono svolte in maniera superficiale – tanto che le istanze degli inquirenti sono state oggetto di diversi rigetti e di sollecitazioni probatorie del giudice – né si conclusero, specie dopo le varie opposizioni della difesa e l'esplosione mediatica del «caso Manca», con un provvedimento articolato contenente una lettura organica e ragionata di tutto il materiale probatorio sì da fugare ogni dubbio.» Questo passaggio lo si può leggere nelle conclusioni della Relazione di maggioranza. E perchè «furono svolte in maniera superficiale»? E come è possibile, in una Relazione, avvalorare una tesi superficiale? 

«Allo stesso modo, la consulenza del medico legale, che, sin dall'inizio, avrebbe dovuto essere dirimente, è stata caratterizzata da gravi lacune e superficialità, che sono peraltro state confermate dalla stessa procura della Repubblica di Viterbo dinanzi alla Commissione e che hanno reso necessario richiedere integrazioni e delucidazioni e che hanno certamente contribuito ad alimentare incertezze e ipotesi alternative

Bastano queste parole per spiegare una storia così torbida? Perchè diversi personaggi (come "faccia da Mostro", l'ex presidente della Repubblica Napolitano, Rosario Pio Cattafi ed altri) non compaiono? 

E' tanto pretendere Verità e Giustizia per la morte violenta (di mafia e di Stato) riservata ad un medico siciliano?    

Il volto massacrato dell'urologo di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina)

 

«...battendo sempre sullo stesso chiodo può persino crollare una casa.»

Pier Paolo Pasolini

 

Per questa volta non aggiungiamo altro. Ognuno può, dopo un'attenta lettura, trarre le proprie conclusioni. Per noi questa storia non finisce qui

 

 

RELAZIONE SULLA MORTE DI ATTILIO MANCA

Relatrice: on. Rosy Bindi, Approvata dalla Commissione nella seduta del 21 febbraio 2018

LA MORTE DI ATTILIO MANCA

 

1.1 – Premessa.

La morte di Attilio Manca è, da anni, al centro di una campagna mediatica secondo la quale il giovane urologo di Barcellona Pozzo di Gotto sarebbe stato vittima di un omicidio maturato in contesti criminali del Messinese collegati all'allora latitante Bernardo Provenzano.

 

Tra i vari argomenti riportati dalla stampa a sostegno di tale tesi vi è, in particolare, una fotografia della salma di Attilio Manca da cui sembrerebbe che egli, in occasione del suo decesso, abbia subito la frattura del setto nasale, circostanza questa che si porrebbe in termini di incompatibilità con le conclusioni della magistratura che ha sempre ricondotto la morte a una volontaria assunzione di eroina. Da più parti e da diverso tempo, pertanto, si chiede con forza che venga finalmente accertata la verità e sia fatta giustizia.
 

La Commissione ha inteso cogliere le numerose sollecitazioni in tal senso per offrire il proprio contributo alla ricostruzione dei fatti che, per come rappresentati dalla stampa, e in virtù della diffusione di quella foto, apparivano particolarmente gravi, non solo con riguardo al presunto assassinio in sé, ma soprattutto per il suo scenario complessivo in cui, stando a tali ipotesi, si sarebbero mosse le gerarchie mafiose e si sarebbero ottenuti depistaggi con la complicità delle stesse istituzioni.

 

«Sin dal ritrovamento del cadavere di Attilio Manca, avvenuto la mattina del 12 febbraio 2004, nella sua abitazione di Viterbo, vi sono stati episodi tali da sollevare ragionevoli dubbi circa la causa accidentale della sua morte e delle lacune investigative di cui si darà conto nel seguito della relazione.

Particolare rilievo meritano le circostanze attraverso le quali i genitori e il fratello di Attilio vennero a sapere della sua improvvisa morte e riuscirono ad arrivare a Viterbo per vedere la salma.

La morte del medico venne comunicata dallo zio, Gaetano Manca, padre di Ugo Manca, al fratello di Attilio, Gianluca Manca intorno all'ora di pranzo del 12 febbraio 2004. Comunicò subito che, all'interno dell'appartamento di Attilio erano state trovate due siringhe, una in bagno e l'altra nella pattumiera della cucina. Stando alle sue parole, la comunicazione gli pervenne da una collega di Attilio, l'anestesista Giuseppina Genovese. Ugo Manca, il cugino della vittima, darà invece un'altra versione: a informarli sarebbe stato il primario dell'ospedale Belcolle di Viterbo, Antonio Rizzotto.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

 

Si sono svolte, quindi, diverse audizioni (come quella, in occasione della missione a Messina del 27-28 ottobre 2014, dei genitori del dottor Manca e del loro difensore avvocato Fabio Repici; quelle del procuratore della Repubblica di Viterbo, sentito il 13 gennaio 2015 e il 9 aprile 2015; quella di un altro avvocato della famiglia Manca, Antonio Ingroia, avvenuta in data 8 aprile 2015) e si è acquisita tutta la documentazione dei procedimenti penali che, poi, è stata oggetto di minuziosa analisi e di approfondimento.


Con la consapevolezza che non spetta alla Commissione parlamentare antimafia accertare le responsabilità penali, si riporteranno, di seguito, una serie di dati e di valutazioni che possono concorrere a fare chiarezza in un caso così travagliato e dibattuto.

 

1.2 – Il procedimento della procura di Viterbo sul decesso di Attilio Manca

 

1.2.1 – L’iter del procedimento

Il 12 febbraio del 2004, Attilio Manca, nato il 20 febbraio 1969, veniva rinvenuto cadavere nella sua abitazione di Viterbo.
La competente procura della Repubblica, in base alle prime risultanze, iscriveva un procedimento penale, inizialmente a carico di ignoti, ipotizzando – non il suicidio e non, dunque, il relativo reato di istigazione al suicidio – ma i delitti di cui all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n.
309 (cessione di stupefacenti), nonché quelli di cui agli articoli 586-589 del codice penale (morte come conseguenza non voluta del delitto di cessione di stupefacenti).


Dopo gli esiti dell'esame autoptico (eseguito dalla dottoressa Ranalletta) e di quello tossicologico (eseguito dal dottor Centini), la medesima procura, in data 23 ottobre 2004, chiedeva l'archiviazione del procedimento per essere rimasti ignoti gli autori dei reati ipotizzati.

 

«…le indagini della procura di Viterbo e della locale squadra mobile (al tempo guidata dal dottor Salvatore Gava, già indagato – e poi condannato definitivamente – per falso ideologico con abuso delle funzioni in relazione ai fatti del G8 di Genova) furono mirate a documentare i rapporti tra Attilio Manca e una donna romana con precedenti per droga, tale Monica Mileti che, nel pomeriggio del 10 febbraio 2004, aveva effettivamente incontrato Manca a Roma. Tuttavia la Mileti non venne nemmeno iscritta sul registro degli indagati

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

La difesa dei familiari di Attilio Manca, rappresentati dall'avvocato Repici, proponeva opposizione, che, in data 13 maggio 2005, veniva accolta dal giudice per le indagini preliminari, il quale ha disposto lo svolgimento di ulteriori indagini (tra cui l'acquisizione del traffico telefonico e la redazione di note integrative da parte del medico legale e del tossicologo).
Effettuati questi approfondimenti, la procura della Repubblica di Viterbo, in data 24 gennaio 2006, chiedeva di nuovo l'archiviazione sia dell'originario procedimento a carico di ignoti sia di quello poi iscritto a carico di noti (tra cui Ugo Manca, cugino della vittima, quale possibile cedente dello stupefacente ad Attilio Manca).
Il GIP, tuttavia, accoglieva ancora una volta l'opposizione della difesa e disponeva altre indagini (riguardanti, stavolta, l'esame del DNA sulle cicche di sigarette e sugli strumenti di lavoro ritrovati nell'abitazione del dottor Manca), poi svolte nella forma dell'incidente probatorio.
Nelle more, il pubblico ministero, sollecitato in tal senso dall'avvocato Repici, avviava un altro incidente probatorio (volto a comparare le impronte rilevate nella casa del Manca con quelle degli indagati e delle parti offese), tramite cui si accertava, tra l'altro, che un frammento palmare era attribuibile al suddetto Ugo Manca.

 

«…la procura di Viterbo in tutto questo lasso di tempo, anche a seguito di ufficiali sollecitazioni, si rifiutò di sentire i genitori di Attilio Manca e di verbalizzarne le dichiarazioni

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

Ultimate queste nuove indagini, la procura, il 20 novembre 2009, avanzava ancora richiesta di archiviazione.
In seguito a un'ulteriore opposizione dell'avvocato Repici, il GIP, il 30 novembre 2011, ordinava l'archiviazione del procedimento nei confronti di alcuni degli indagati evidenziando che: «tutti gli elementi ad oggi acquisiti, anche a seguito degli accertamenti disposti dal GIP sulla scorta delle precedenti opposizioni alle richieste di archiviazione, convergono a confermare l'ipotesi che Manca Attilio sia deceduto per volontaria assunzione di sostanze stupefacenti (..) (mentre) l'ipotesi omicidiaria ad opera di appartenenti alla mafia in collegamento con Bernardo Provenzano (..) si fonda su elementi di mera supposizione». Con riferimento, invece, alla posizione dei restanti indagati, il medesimo GIP disponeva di procedere ad altri accertamenti (cioè, stavolta, l'evidenziazione e la comparazione di eventuali impronte papillari sulle siringhe rinvenute nell'abitazione dell'urologo).
Concluse le ulteriori investigazioni, il pubblico ministero richiedeva l'archiviazione del residuo procedimento che il GIP accoglieva con decreto del 26 luglio 2013 ove, ribadendo le precedenti conclusioni, sottolineava che, in base alle risultanze probatorie acquisite, «gli spunti investigativi prospettati (dalla difesa, ndr), per quanto suggestivi, (appaiono) sostanzialmente fondati su illazioni e congetture».

 

1.2.2 – Le tesi della difesa

I familiari di Attilio Manca, pur convenendo sulla causa della morte, hanno da sempre sostenuto – come si evince sia dagli atti di opposizione all'archiviazione sia dal contenuto delle audizioni rese alla Commissione in occasione della missione a Messina – che l’overdose di eroina sia tutt'altro che volontaria ma sia, invece, l'effetto di un'azione di costrizione da parte di terzi. Più in particolare, l’overdose sarebbe l’escamotage usato per celare l'omicidio dell'urologo, voluto e realizzato da ambienti mafiosi e per motivazioni collegate alla latitanza di Bernardo Provenzano.
 

I principali elementi, offerti a sostegno di tale impostazione, sono i seguenti:
la foto – diffusa dalla stampa e anche in note trasmissioni televisive, e offerta in visione alla Commissione in occasione della missione a Messina – che ritrae il volto del Manca, già cadavere, insanguinato e con il «setto nasale» deviato (così descritta dalla stampa);
i segni delle punture di eroina rinvenute nel braccio sinistro, incompatibili con il mancinismo del Manca;
le siringhe trovate perfettamente chiuse, con il tappo di protezione;
l'assenza di propositi suicidari in capo al Manca e, di converso, la capacità della vittima, in quanto medico, di dosare l'eroina per evitarne quantità fatali;
l'assenza di materiale per la preparazione dell'eroina e del laccio emostatico per l'endovenosa;
la possibilità che il Manca, prima di morire fosse stato vittima di un tranello e comunque tenuto in ostaggio come dimostrerebbero: l'assenza di residui di cibo della cena; l'assenza di biancheria intima sul corpo della vittima; la porta di casa non chiusa a chiave e le chiavi appoggiate su un mobile anziché inserite nella toppa;

il cambiamento di umore, manifestato da Attilio Manca, nel corso della telefonata intercorsa con il barcellonese Fugazzotto Salvatore, il 10 febbraio pomeriggio, mentre l'urologo era a casa dell'infermiera Mandoloni Loredana, così come poi avrebbe riferito quest'ultima al fratello del Manca;
le strane telefonate effettuate dal Manca, il tardo pomeriggio del 10 febbraio, al suo collega Candidi per chiedere l'indicazione di strade di Roma – che, invece, Attilio avrebbe dovuto ben conoscere – e che, dunque, celavano una richiesta di aiuto;
la strana mancata partecipazione del Manca a un incontro conviviale del reparto di urologia organizzato per la sera del 10 febbraio;
la altrettanto strana telefonata intercorsa con la madre la mattina dell'11 febbraio, quando il giovane chiedeva alla donna di far riparare una moto – che però non necessitava di riparazioni – da utilizzare l'estate prossima, custodita nei pressi di un luogo ove Provenzano avrebbe trascorso la latitanza, come se il medico avesse voluto dare indicazioni su ciò che gli stava accadendo;
la mancata presentazione, la sera dell'11 febbraio, dal dottor Ronzoni a Roma ove era atteso per questioni lavorative;
l'assenza di impronte in una delle siringhe usate per iniettare l'eroina, come se taluno le avesse cancellate;
la presenza dell'impronta, nel bagno, del cugino «mafioso» Ugo Manca. Infatti, sebbene questi fosse stato ospite del cugino Attilio nei primi di dicembre 2003, alla fine dello stesso mese, la madre del Manca aveva effettuato le pulizie di quell'appartamento. Inoltre, l'assenza di impronte di altri soggetti, tra amici e parenti, che anche di recente erano stati nell'abitazione viterbese dell'urologo, poteva far pensare che qualcuno avesse tentato di cancellare le proprie tracce all'interno dell'abitazione.

 

«Tonnarella è una contrada messinese a metà fra i comuni di Terme Vigliatore e di Furnari, in provincia di Messina. A fare riferimento a quel territorio furono le parole registrate da un'intercettazione ambientale del 13 gennaio 2007 (confluita nell'operazione antimafia di Messina denominata «Vivaio»), di Vincenza Bisognano, sorella del boss barcellonese Carmelo Bisognano (oggi collaboratore di giustizia), mentre si trova in auto assieme al suo convivente Sebastiano Genovese e a una coppia di amici.

I quattro iniziarono a parlare della vicenda di Attilio Manca, collegandola alla presenza di Provenzano a Barcellona Pozzo di Gotto. Uno degli uomini in macchina, Massimo Biondo, affermò con estrema certezza che il capo di cosa nostra si nascose per un periodo proprio nella cittadina messinese e, riferendosi ad Attilio Manca, aggiunse: «Però sinceramente, stu figghiolu era a Roma a cu ci avia a dari fastidio? (questo ragazzo era a Roma, a chi doveva dare fastidio?)». A quel punto, Vincenza Bisognano rispose: «Perché l'aveva riconosciuto».

Il soggetto a cui si sta facendo riferimento era evidentemente il boss Bernardo Provenzano, tanto che Biondo subito dopo incalzò: «Lo sanno pure le panchine del parco che Provenzano era latitante a Portorosa... cioè lo sanno tutti».
[…] Questa intercettazione ambientale ha fatto parte di una delle opposizioni alle richieste di archiviazione della procura di Viterbo ma la stessa procura ha omesso di trasmettere gli atti alla direzione distrettuale antimafia di Roma.

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

Circa il movente dell'omicidio si è sostenuto che il Manca, essendo l'unico urologo italiano a operare la prostata in laparoscopia, era certamente stato uno degli operatori a Marsiglia di Bernardo Provenzano. Ma poiché costui aveva intuito di essere stato riconosciuto, aveva poi disposto l'eliminazione del giovane medico.
 

A conferma di ciò vi sarebbe una telefonata del Manca alla madre nel corso della quale, nello stesso periodo in cui venne operato Provenzano, il figlio comunicava di trovarsi in Francia. Tuttavia, il dirigente della squadra mobile, incaricato delle indagini sul caso Manca, aveva attestato, contrariamente al vero, che Manca in quei giorni era in servizio in ospedale, circostanza questa poi smentita dalla trasmissione Chi l'ha visto?.
 

Sempre a livello di ipotesi si è anche sostenuto che il Manca potrebbe aver visitato – e non operato – Provenzano e che la sua eliminazione potrebbe essere stata disposta, non dal latitante, ma dalla borghesia mafiosa barcellonese che temeva di essere collegata, dall'urologo, al noto corleonese.

In ogni caso, l'uccisione di Attilio Manca sarebbe stata resa possibile con la fattiva partecipazione del cugino Ugo Manca, legato alla mafia barcellonese, e del suo entourage.

 

1.2.3 – Il ritrovamento del cadavere e lo stato dei luoghi

Attilio Manca, originario di Barcellona Pozzo di Gotto (ME), era un giovane urologo, laureatosi all'università Cattolica di Roma, il quale, secondo diverse dichiarazioni, aveva anche appreso la tecnica della laparoscopia in Francia. Dopo avere lavorato per qualche tempo a Roma, da meno di un paio di anni prestava servizio presso l'ospedale Belcolle di Viterbo. Inoltre, saltuariamente – di solito nei giorni di mercoledì –, collaborava con una clinica romana e con lo studio medico, anch'esso sito a Roma, del dottor Gerardo Ronzoni.


Nella tarda mattinata – dopo le ore 11 circa – del giovedì 12 febbraio 2004, alcuni infermieri dell'ospedale predetto – Fabio Riccardi, Loredana Mandoloni, Maria Rita Mencarelli – e un medico del medesimo nosocomio – Maurizio Candidi –, insospettiti dal fatto che l'urologo non si era presentato al lavoro e non avendo avuto sue notizie nemmeno il giorno prima, si recarono a cercarlo nella sua abitazione viterbese e qui, anche con l'ausilio del personale delle volanti della polizia, lo trovarono morto nel suo letto rilevandone la rigidità cadaverica (cfr. sommarie informazioni testimoniali Riccardi).


Nell'abitazione intervenivano anche:
il medico del 118, subito accorso, che constatava il decesso e ipotizzava, come riferito de relato dalla polizia giudiziaria, che la morte fosse sopraggiunta circa 12 ore prima rispetto al ritrovamento di quel 12 febbraio intorno alle ore 11.30 circa (cfr. annotazione di servizio dell'ufficio prevenzione generale – squadra volante – della questura di Viterbo);
il personale della squadra mobile, incaricato delle indagini;
il personale della polizia scientifica, al fine di procedere, nell'immediatezza, ai rilievi tecnici.

  

Intorno alle ore 14, giungeva anche il medico legale che, procedendo all'ispezione cadaverica esterna, evidenziava:
una rigidità cadaverica già risolta;
ipostasi violacee fisse e non improntabili;
abbondante sangue nel cavo orale e nelle fosse nasali;
un segno di agopuntura nel terzo inferiore dell'avambraccio di sinistra.

 

In ogni caso, il cadavere non presentava evidenti segni evidenti di aggressione. Nulla, in proposito, veniva rilevato dal medico del 118 né dal medico legale, né altri segni saranno evidenziati con il successivo esame autoptico. Neanche dalle fotografie dei rilievi tecnici effettuati dalla polizia scientifica, acquisite agli atti della Commissione, si notano lesioni di sorta.

Infatti, diversamente da come si legge dalla stampa:
non sembra possano ravvisarsi segni di legatura alle mani e/o ai piedi;
nelle immagini in cui il cadavere giaceva sul letto, lo scroto non appare anomalo. Solo il giorno dopo, nel corso dell'esame autoptico, è stato possibile rilevare un postumo ingrossamento, spiegabile con fenomeni post mortem;
pure il volto del Manca, fotografato dopo che il corpo dell'urologo era stato girato rispetto alla posizione prona, non presenta palesi lesioni. In particolare, la foto (diffusa in note trasmissioni televisive e offerta in visione alla Commissione durante la missione a Messina) che ritrarrebbe il volto del Manca con il «setto» (rectius piramide) nasale deviato, in realtà, già da sola consente di pervenire ad altre conclusioni.

 

«A causa dei mancati accertamenti e di determinate lacune investigative di seguito evidenziate, si sono creati dei veri e propri buchi neri nella ricostruzione dei fatti che hanno prodotto probabilmente irreparabili danni alla doverosa ricerca di verità.
Vi sono, tuttavia, alcuni dati certi, occultati da vere e proprie campagne negazioniste, delle quali non si comprende la genesi.

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

Un'analisi attenta della fotografia tratta dagli atti processuali, anche attraverso un ingrandimento e guardata tenendo conto che ritrae un viso in orizzontale, consente di notare, attraverso il posizionamento delle narici, che la piramide nasale è perfettamente in asse.
È soltanto un effetto ottico, causato dalle macchie di sangue e dal loro coagulo – sangue collegato, come si dirà, a edema polmonare –, che può fare pensare, a prima vista, che vi sia una frattura, fermo restando che l'eventuale deformità della piramide potrebbe, in ipotesi, essere giustificata con la compressione del naso, per diverse ore, sul materasso (Manca, infatti, è stato trovato, riverso sul materasso).

 

Tuttavia, ciò che più rileva è che, se si guardano, in sequenza, le altre fotografie scattate sia nell'appartamento, sia l'indomani, durante l'esame autoptico quando il cadavere era stato ripulito dal sangue, si può osservare, nitidamente, che il naso del de cuius è assolutamente integro.
Probabilmente è proprio per questo che, in sede processuale, nessuno ha sollevato alcuna specifica questione sul punto, né è stato mai ipotizzato che il naso, al momento dell'autopsia, fosse stato abilmente «ricomposto» (circostanza altamente improbabile perché avrebbe dovuto richiedere la complicità e il silenzio dei numerosi soggetti intervenuti nell'abitazione dell'urologo prima di ogni possibile manomissione, quali infermieri e medici amici del Manca, il medico del 118, il medico legale, il personale della polizia scientifica, il personale delle volanti e quello della squadra mobile).


Nemmeno l'abitazione presentava segni di intrusione o di anomalie di sorta.
Accedendo, si constatava che la porta di ingresso era chiusa, ma non a chiave, che il riscaldamento era in funzione, che le luci della casa erano spente, eccetto quella della camera da letto ove anche la televisione era accesa ma senza volume.
In tale stanza giaceva il corpo dell'urologo, vestito di una sola maglietta e privo di biancheria intima, riverso sul letto, a pancia in sotto, messo di traverso. Dal volto, compresso sul materasso, era uscita una notevole quantità di sostanza ematica che si era riversata anche sul pavimento.
Sul letto, perfettamente rifatto, vi erano un telecomando – su cui era poggiato il braccio sinistro del cadavere – e, poco distante da esso, un libroMaus»).
Ai piedi del letto, si trovavano un paio di pantofole in simmetrica corrispondenza con i piedi del cadavere.
Nella stessa camera da letto si notavano i vestiti del Manca appoggiati in ordine sulla sedia; un comodino con un telefonino lasciato sotto carica, l'orologio da polso accanto, un posacenere sporco ma svuotato dalle cicche – poi rinvenute nel cestino della spazzatura; uno scrittoio con strumenti di lavoro.
Anche il resto della casa, ben tenuta, si presentava in perfetto ordine, e ciò secondo l'indole del Manca, definito dai suoi conoscenti metodico e preciso.
Pure la cucina appariva riassettata, con le stoviglie lavate, alcune messe a scolare. Nel lavabo vi era una caffettiera e nel cestino dei rifiuti una confezione di latte terminata. Osservando, in particolare, il secchio della spazzatura fotografato dall'alto, sembravano essere stati buttati, in ordine, dapprima una bottiglia d'acqua, poi una scatola di latte, poi tovaglioli di carta con le cicche di sigarette, una siringa da insulina usata, chiusa con il tappo di protezione, infine un flacone vuoto di Tranquirit, un tranquillante.
Nel corso del sopralluogo si evidenziava, inoltre, la presenza di:
un'altra siringa usata, uguale alla prima, anch'essa chiusa, trovata per terra, nel bagno;
altre tre identiche siringhe nuove, dentro la loro busta di plastica, rinvenute dentro una valigetta appoggiata su un mobile del soggiorno;
un'altra confezione del farmaco Tranquirit già usata e non terminata, posta all'interno della predetta valigetta.

 

1.2.4 – I risultati delle analisi scientifiche

 

1.2.4.1 – L'esame autoptico

Anche dall'esito dell'esame autoptico effettuato dal medico legale, dottoressa Dalila Ranalletta, in data 13 febbraio 2004, alle ore 11 circa, non si rilevavano tracce di aggressione. Si constatava, invece, la presenza di due segni di agopuntura: uno, definito «recente», al «terzo inferiore dell'avambraccio di sinistra» (già rilevato durante l'ispezione cadaverica esterna) e l'altro in prossimità di una vena del gomito sinistro.
Si dava atto che lo stomaco era «parzialmente occupato da materiale poltiglioso» e che era evidente un edema polmonare acuto con emorragie alveolari. Si concludeva, anche in base alle analisi tossicologiche, che il Manca era morto «in seguito ad assunzione per via endovenosa di un elevato quantitativo di eroina» e che il decesso era databile quello stesso 12 febbraio 2004, giorno del ritrovamento del cadavere.

 

«Quanto all'autopsia, è bene rilevare come la scelta da parte della procura quale proprio consulente della dottoressa Ranalletta si presentò fin da subito come massimamente inopportuna. Ella, infatti, conosceva personalmente il medico defunto, in quanto moglie del primario del reparto di urologia dell'ospedale viterbese, professor Antonio Rizzotto, il quale, al momento del conferimento dell'incarico alla moglie, era già stato sentito come testimone dagli inquirenti.

Inoltre è stato accertato che proprio a causa dell'operato negligente del suddetto medico legale non è stato possibile stabilire con certezza l'orario della morte del Manca.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

In seguito ai successivi approfondimenti disposti dal GIP, su sollecitazione della difesa, la stessa medico legale correggeva le precedenti conclusioni e affermava che la morte era avvenuta, in via orientativa, tra le 12 e le 48 ore prima del sopralluogo da lei effettuato alle ore 14 circa del 12 febbraio 2004.


Inoltre, integrando la prima relazione, la dottoressa Ranalletta specificava meglio che la fuoriuscita di sangue dalla bocca e dal naso dell'urologo, era dovuta all'edema polmonare; edema, a sua volta, tipico delle morti da overdose di eroina.

 

1.2.4.2 – L'esame tossicologico

Gli esami tossicologici – effettuati dal dottor Centini – sul materiale sequestrato nell'abitazione, lasciavano evidenziare che le due siringhe presentavano tracce di eroina e che il flacone del farmaco trovato nella spazzatura conteneva effettivamente il medicinale Tranquirit (principio attivo diazepam), utilizzato per gli stati d'ansia. Quelli svolti sui liquidi biologici del Manca (a opera, sempre, del dottor Centini), facevano emergere la presenza nel corpo del de cuius sia di eroina, in quantità da ritenersi letali, sia di diazepam (il Tranquirit) che di alcool etilico, ma entrambe tali ultime sostanze in quantità limitate, cioè prive da sole di causa letale ma idonee a potenziare l'effetto dell'eroina.
Attraverso i successivi approfondimenti sollecitati dal GIP, lo stesso dottor Centini specificava meglio che:
l'assunzione dell'ansiolitico, probabilmente, era avvenuta per via orale e non per via endovenosa;
le dosi dell'ansiolitico assunto potevano qualificarsi come «terapeutiche» e, dunque, non spropositate;
l'assunzione di eroina era avvenuta tra le due ore e mezzo e le tre ore e mezzo prima della morte.

 

Il dottor Centini, inoltre, nel corso delle note integrative, segnalava che «durante le operazioni di consulenza tecnica si sono ottenuti costanti esiti positivi del test tricologico eseguito sul materiale pilifero prelevato in sede autoptica (...) L'esito positivo del test tricologico, documentato nell'allegato n.1, va (...) interpretato come dimostrativo di un uso pregresso di eroina, unica responsabile del fatale evento».

 

«Il chimico-tossicologo, dottor Fabio Centini, incaricato dalla procura in ausilio alla dottoressa Ranalletta, è stato, poi, capace di dichiarare di aver effettuato un test tricologico su un reperto pilifero di Attilio Manca, senza averne mai avuto incarico, senza saper indicare le modalità di espletamento e senza poter esplicitare nemmeno la data nella quale il presunto test sarebbe stato realizzato. Tutto ciò in assenza di comunicazioni al legale della famiglia, che avrebbe potuto altrimenti nominare un secondo consulente all'atto del test. Ciò rileva poiché il test tricologico è un esame irripetibile, ovvero implica la distruzione del reperto analizzato.

Nulla di questo, però la certezza, da parte del consulente, che all'esito del test da lui autoassegnatosi, era risultato un pregresso uso di eroina da parte di Attilio Manca. Eppure, è noto a tutti che l'esame tricologico, quando realmente effettuato e quando praticato con modalità ortodosse, consente perfino la datazione della pregressa assunzione di sostanza stupefacente.
Invece, nel caso di Attilio Manca, connotato da tutte le anomalie sopra descritte, pure il presunto test tricologico deve essere incasellato nella forzosa costruzione virtuale di chi ha deciso che la morte dell'urologo barcellonese andasse liquidata come il banale decesso di un imprudente eroinomane.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

1.2.4.3 – Gli accertamenti genetici

Le indagini genetiche svolte sulle due siringhe, dimostravano che le tracce di materiale ematico lì presenti appartenevano al de cuius.
Quelle riguardanti le cicche di sigarette trovate nella spazzatura consentivano di affermare che esse presentavano sostanza biologica esclusivamente del dottor Manca.

Quelle eseguite sugli strumenti di lavoro rinvenuti nell'abitazione non davano alcun esito.

 

1.2.4.4 – Gli esami dattiloscopici

Le indagini dattiloscopiche inerenti all'appartamento del Manca, facevano rilevare la presenza di 18 frammenti utili per i confronti: 14 di essi appartenevano allo stesso urologo; altri tre (di cui due rilevati su una custodia di un dvd e uno su una porta smontata sita nel garage), di soggetti rimasti non identificati; un altro ancora, di tipo palmare, ritrovato nel bagno, appartenente a Ugo Manca, cugino di Attilio.
Sulla Mercedes del medico, si evidenziava un'impronta di Monica Mileti, una donna romana, inserita nei contesti degli spacciatori che, come si dirà, Manca era andato a trovare proprio il 10 febbraio, cioè in prossimità della sua morte.
Sulle siringhe, l'esame dattiloscopico, ordinato tempo dopo dal GIP, non consentiva di rilevare, su una di esse, alcuna impronta digitale, mentre evidenziava, sull'altra, un'impronta ma non utilizzabile, per le sue dimensioni, ai fini di una comparazione.

 

1.2.4.5 –La ricostruzione dei momenti antecedenti alla morte e la datazione dell’exitus

Agli atti del procedimento non si riscontrano dati chiari sulla data del decesso.
Il medico del 118 aveva ipotizzato che il dottor Manca fosse morto circa 12 ore prima del ritrovamento, avvenuto intorno alle 11.30 circa del 12 febbraio 2004.
La dottoressa Ranalletta, invece, nella sua prima consulenza, e pur facendo riferimento a una rigidità cadaverica risolta, riferiva che il decesso era avvenuto quello stesso 12 febbraio 2004. In seguito all'integrazione ordinata dal GIP, il medico legale modificava le sue precedenti conclusioni e affermava che la morte era avvenuta dalle 12 alle 48 ore prima delle ore 14 circa del 12 febbraio, quindi tra le ore 14 del 10 febbraio e le ore due della notte tra l'11 e il 12 febbraio.
Mancano in proposito approfondimenti più specifici mentre, d'altra parte, in nessuno dei provvedimenti si riscontra una ricostruzione di natura logica effettuata attraverso la comparazione dei dati medico-legali, seppur carenti, e le altre emergenze probatorie.

 

In questa sede, attraverso le dichiarazioni di persone informate sui fatti e i dati del traffico telefonico acquisiti, è possibile stabilire quanto segue.

Martedì 10 febbraio

Nella tarda mattinata del 10 febbraio, Attilio Manca si sentiva telefonicamente e scambiava messaggi con Loredana Mandoloni, un'infermiera del medesimo ospedale Belcolle, con la quale intratteneva una relazione sentimentale.
Avevano, quindi, modo di discutere della loro eventuale partecipazione alla cena del reparto, prevista per quella stessa sera e offerta da una casa farmaceutica. In particolare, la donna comunicava di essere impossibilitata a presenziare dovendo, in serata, rientrare a Roma dalla sua famiglia. A quel punto, anche Manca decideva di non andarvi, vista l'assenza di lei e del suo amico e collega Fattorini Massimo. Infine, i due decidevano di pranzare insieme, nella casa viterbese della donna, presso la quale Manca giungeva intorno alle 13.30.
Durante la permanenza dalla Mandoloni, Manca si sentiva telefonicamente sia con i genitori sia con l'amico barcellonese Salvatore Fugazzotto – chiamato dallo stesso Manca –, senza che la donna rilevasse nulla di particolare da quelle conversazioni.

 

«Va subito segnalato che il principale vuoto delle indagini riguarda le ultime 24 ore di vita di Attilio Manca. Le ultime sue tracce risalgono alla tarda sera del 10 febbraio 2004. Fino a oggi gli inquirenti non hanno mai saputo dire cosa abbia fatto e dove sia stato Attilio Manca nell'intera giornata dell'11 febbraio 2004…

Il 10 febbraio 2004 Attilio Manca era stato serenamente a pranzo dall'amica Loredana Mandoloni. Aveva sentito al telefono i propri genitori e aveva avuto con loro una conversazione affettuosa. Subito dopo pranzo aveva sentito al telefono il barcellonese Salvatore Fugazzotto, suo vecchio amico ma negli ultimi tempi soprattutto amico di Ugo Manca e – come raccontato da Loredana Mandoloni al fratello di Attilio, Gianluca Manca, che lo riferì agli inquirenti – a quel punto mostrò preoccupazione e fastidio, cambiando umore e sostenendo di dover incontrare a Roma persone che non aveva piacere di vedere

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)


Spiegherà lo stesso Fugazzotto che il suo amico Attilio gli aveva telefonato proprio quel giorno, non solo in ragione dei loro continui contatti, ma anche perché era il compleanno dello stesso Fugazzotto, effettivamente nato il 10 febbraio 1969.
Il clima tra Attilio e Loredana era disteso, tanto che il medico aveva scherzato inventandosi di avere un tumore al cervello al fine di apprezzare la reazione dell'infermiera.
Intorno alle 16, Manca decideva di andare via, con la scusa di fare una corsa con la Mercedes da poco acquistata, ma di fronte alla preoccupazione della donna, egli la rassicurava sostenendo che invece sarebbe andato a casa a dormire.
Dopo circa mezz'ora dall'allontanamento di Manca, la Mandoloni gli telefonava e lui riferiva che stava recandosi a Roma al fine di comprare un «film», suscitando lo stupore dell'infermiera la quale gli evidenziava che l'acquisto poteva essere compiuto comodamente a Viterbo senza che occorresse andare nella capitale.
In realtà, la telefonata della Mandoloni avvenne intorno alle ore 17 e, pertanto, se ne ricava che, probabilmente, Manca andò via dalla casa dell'infermiera verso le 16.30.
Da allora intercorrevano con la Mandoloni varie telefonate sino alle 18.45 circa – quando la cella telefonica impegnata dall'utenza di Attilio era quella di Roma- Prati –, e vari sms fino alle 23 circa.
Manca, giunto a Roma o nei suoi pressi, telefonava, alle ore 17.53, al collega Maurizio Candidi al quale, oltre a confermargli che non avrebbe partecipato alla cena del reparto, chiedeva indicazioni per arrivare in via dei serpenti, mentre alle ore 18.01, lo richiamava chiedendogli le strade da percorrere per arrivare a piazza del Popolo.

 

L'urologo, in realtà, si recava a Roma per incontrare una donna, Monica Mileti – memorizzata nel suo cellulare con il nome di Monique –, come si evince dalle diverse telefonate con lei – a partire dalle 17.20, cella di aggancio Ronciglione –, finalizzate a stabilire il luogo dell'imminente appuntamento.

 

«…non si può trascurare che il rapporto di Manca con la Mileti ha origine nell'ambiente barcellonese (di cui si dirà dopo), visto che a presentare la Mileti all'urologo fu Guido Ginebri, altro soggetto barcellonese vicino a Ugo Manca. Sennonché, Attilio Manca, che aveva vissuto a Roma per oltre dieci anni e che considerava la capitale come la propria città d'adozione, mentre si dirigeva a Roma ritenne di telefonare per due volte all'ospedale di Viterbo per chiedere a una infermiera e a un collega medico, entrambi per nulla pratici della città capitolina, indicazioni su due luoghi a lui per forza noti (in un caso addirittura piazza del Popolo), come a voler lasciare tracce dei suoi spostamenti

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

A dire della Mileti – ma si hanno riscontri con le celle telefoniche –, i due si incontravano intorno alle «17.30-18», sostavano circa 15 minuti in un bar e, subito dopo, Manca dava un passaggio alla Mileti – tanto che una sua impronta veniva poi ritrovata sulla Mercedes dell'urologo – la quale doveva recarsi presso un centro di fisioterapia per sottoporsi ad alcune cure. Si risentivano poi verso le 18.38 poiché, a dire della Mileti, Manca le chiedeva altre indicazioni stradali per raggiungere un bar.


La sera, verso le 20, l'urologo giungeva presso la sua abitazione. Qui incontrava l'infermiere Fabio Riccardi, amico e condomino, il quale stava uscendo per recarsi alla cena del reparto. I due scambiavano qualche parola e il Manca riferiva di essere appena rientrato da Roma e che, sentendosi stanco, non intendeva partecipare all'incontro conviviale.

 

A partire dalle 20 circa fino alle 23 circa, Manca scambiava diversi sms con il collega Massimo Fattorini e con Loredana Mandoloni. In particolare, l'ultimo sms inviato dal Manca era quello di risposta alla Mandoloni che, sempre tramite messaggio, poco prima gli aveva augurato la buonanotte.

 

Mercoledì 11 febbraio

Per quel mercoledì nessuno lo attendeva presso l'ospedale di Viterbo: i suoi amici e colleghi, ma soprattutto la Mandoloni, sapevano che Manca si sarebbe dovuto recare a Roma dove, di solito, collaborava con il reparto di urologia di Villa Valeria e, dove, soprattutto, intorno alle 19, doveva prestare attività lavorativa presso lo studio del dottor Ronzoni ove era atteso.
Manca, però, non si recava in nessuno di questi posti e, soprattutto, contrariamente alle sue abitudini, non avvertiva il dottor Ronzoni della sua impossibilità a raggiungerlo.
La Mandoloni, conscia del fatto che Attilio Manca potesse essere impegnato a Roma, intorno alle ore 12 gli invia un sms chiedendo di essere richiamata.
Non avendo ricevuto risposta, nel primo pomeriggio iniziava a insistere, ma inutilmente, sia con telefonate che con sms, e ciò sino alle ore 23 circa, tanto da stizzirsi con l'uomo che continuava a non risponderle.
Anche i condomini, per tale data, non avevano sentito voci provenienti dall'appartamento del Manca né avevano avuto modo di notare comunque la presenza del medico.

 

Quel mercoledì 11 febbraio, dunque, non vi è alcun segno di vita dell'urologo a eccezione di due dichiarazioni alle quali però, ai fini di una possibile datazione del decesso, non può attribuirsi capacità probatoria risolutiva.
Una è della madre del Manca la quale sostiene di avere sentito telefonicamente il figlio intorno alle ore 11 dell'11 febbraio. Tuttavia, di tale telefonata non vi è traccia alcuna né nei tabulati del telefono del medico, né in quelli dei genitori, né nella lista delle telefonate dell'apparecchio telefonico del Manca ritrovato nel suo appartamento.

 

«La conversazione fra il medico e la madre durò pochissimo e vi fu la richiesta da parte di Attilio, davvero insolita e stravagante per la stagione, di far mettere a punto e di controllare la motocicletta, che si trovava nella casa di villeggiatura, affinché fosse pronta per agosto.
Questa telefonata non compare nei tabulati telefonici forniti dalle compagnie riferiti al medico e ai genitori, né nella lista delle telefonate del cellulare del Manca ritrovato nel suo appartamento.

Tuttavia, non può essere trascurato che sia Loredana Mandoloni (infermiera del reparto di urologia dell'ospedale Belcolle particolarmente legata a Manca) sia Maurizio Candidi (collega di reparto e amico di Attilio Manca) riferirono il 13 e il 14 febbraio 2004 alla Polizia di Stato di aver appreso dalla madre di Attilio Manca nella mattina del 13 febbraio che ella aveva sentito al telefono il proprio figlio giusto nella mattina dell'11 febbraio.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

L'altra dichiarazione è quella di Angela Riondino, abitante nello stesso pianerottolo del Manca, la quale affermava che verso le ore 22 della sera dell'11 febbraio, aveva sentito chiudere la porta di casa del Manca, riferendo dunque una mera sensazione (poiché la

donna ben può avere confuso il rumore o avere sentito la porta di un appartamento diverso).

 

«…c’è un ulteriore elemento di riscontro, fornito dalle dichiarazioni rese alla Polizia di Stato nell'immediatezza dalla vicina di casa di Attilio Manca, Angela Riondino, la quale, sentita lo stesso 12 febbraio 2004, riferì che «ieri sera verso le ore 22 – 22.15 ho udito chiudere la porta dell'appartamento del dottor Manca, preciso che io mi trovavo dentro il mio appartamento e non ho veduto se fosse rientrato lui o altri, o comunque lo stesso con altre persone» (cfr. verbale dichiarazioni rese da Angela Riondino). Ne deriva che gli inquirenti appresero che in orario concomitante con la morte di Attilio Manca, qualcuno aveva chiuso la porta della sua abitazione.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

In base alle risultanze finora indicate può dunque affermarsi che fino al 10 febbraio alle ore 23 Manca era in vita (e libero) e che il 12 successivo era morto da, almeno, 12 ore.


Restringere ulteriormente l'arco temporale non è certo facile in considerazione della scarsa affidabilità sul punto della consulenza medico legale.
Qualche ulteriore spunto di riflessione, però, può trarsi in primo luogo dal fascicolo fotografico dei rilievi tecnici effettuati in occasione del ritrovamento del corpo.
Ad esempio, lo stato di deshabillé di Manca, il letto rifatto, la presenza sul letto del telecomando e di un libro, l'unica luce accesa nella camera da letto, il posacenere svuotato, la collocazione nella spazzatura del flacone di Tranquirit sopra la scatola del latte e le cicche, il resto di materiale poltiglioso trovato nello stomaco del Manca (più compatibile, all'apparenza, con gli alimenti di una cena che non con una colazione a base di latte e caffè), possono far ritenere che l'urologo sia morto nella notte tra il 10 e l'11 febbraio, cioè quando si apprestava ad andare a letto e dopo avere inviato l'ultimo sms alla Mandoloni. Ciò è coerente sia con i tempi dell'acquisto di eroina che egli, come si dirà, aveva effettuato nel tardo pomeriggio del 10 febbraio, sia con l'assenza di qualunque risposta agli sms ricevuti già dall'indomani mattina.
In effetti tale ricostruzione ha trovato un particolare riscontro.

 

«Anche in riferimento all'ipotetica assunzione di eroina da parte del Manca, tutti i colleghi viterbesi smentivano la possibilità che l'urologo potesse essere un consumatore di droghe, dato che nessun foro era mai stato visibile sulle braccia dell'uomo da parte dei colleghi che operavano quotidianamente in sala operatoria con lui, né aveva mai manifestato alcun segnale di crisi di astinenza.

Diversamente gli amici di infanzia barcellonesi della vittima hanno fornito dichiarazioni incresciose circa l'utilizzo abituale di eroina da parte del Manca.
Addirittura uno di loro, Lelio Coppolino, in atto imputato di falsa testimonianza a Messina in relazione all'omicidio del giornalista barcellonese Beppe Alfano, ha reso alla polizia due versioni completamente antitetiche una rispetto all'altra…»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

La Commissione, ritenendo che la datazione della morte fosse di particolare rilievo, ha cercato di approfondire la questione. Attraverso l'esame del fascicolo processuale e le analisi scientifiche ivi contenute, si è riusciti, come da relazione depositata, a stabilire, con minore approssimazione, il momento del decesso, collocandolo «verso le ore 00.30 dell'11 febbraio 2004».

 

1.2.4.6 –Il rapporto di Attilio Manca con gli stupefacenti secondo le risultanze del procedimento

Nell'ambito lavorativo viterbese dove Attilio Manca si era da poco integrato, il giovane urologo era conosciuto come un bravo professionista e godeva dell'unanime stima del personale medico e paramedico. Per tale ragione, tutte le persone sentite in tale contesto, dichiaravano di non sapere se egli facesse uso di stupefacenti e, anzi, affermavano di non avere nemmeno mai maturato tale sospetto, anche perché Manca si dichiarava contrario persino all'uso dei farmaci.
 

Tuttavia, persone a lui molto vicine – come la ex fidanzata Eufrasia Frattarelli, il collega Massimo Fattorini e, soprattutto l'infermiera Loredana Mandoloni –, evidenziavano che l'urologo, nonostante fosse una persona brillante, era soggetto a sbalzi umorali e, talora, si mostrava ansioso e malinconico. Proprio per questo, a dire di un'altra conoscente, Manca, talora, faceva uso di tranquillanti (cfr. dichiarazioni di Roberta Chiaramonti).

Anche nel contesto di Barcellona Pozzo di Gotto, Attilio Manca veniva descritto dagli amici che lo conoscevano e lo frequentavano sin dall'infanzia – sentiti su delega dalla procura della Repubblica di Messina –, come persona in grado di eccellere in ogni campo e con «capacità intellettive sovraumane». Tuttavia, i medesimi amici, finivano per raccontare che, insieme ad Attilio, si erano avvicinati al mondo degli stupefacenti facendo uso, in età giovanile, di droghe leggere, sino poi a ricorrere, nel periodo universitario, all'eroina.

 

«Lo stesso Ugo Manca, sentito come testimone nel processo a carico di Monica Mileti, ha dichiarato che Attilio Manca fosse un consueto assuntore di eroina e di recente, intervistato da una nota trasmissione televisiva, «Le Iene», lo ha etichettato, senza appello, come «il drogato». Eppure Ugo Manca, mesi addietro, aveva scelto di intraprendere un viaggio di mille chilometri, dalla Sicilia a Viterbo, per farsi operare ad un testicolo dal cugino, pur sapendolo, da quanto da lui dichiarato, eroinomane. Si può dare credito, quindi, alle sue parole?

Non si comprendono pertanto i motivi per i quali sia stato dato più peso alle dichiarazioni degli amici di infanzia della vittima (tutti riconducibili al contesto barcellonese – di cui si dirà dopo), rispetto a quelle di chi frequentava il Manca quotidianamente negli anni precedenti la sua morte.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

In particolare, Salvatore Fugazzotto, riferiva che:
dopo avere assunto marijuana per qualche tempo, più tardi, insieme agli amici Attilio Manca, Lelio Coppolino e Guido Ginebri avevano iniziato ad assumere eroina, prima per via aerea e poi per via endovenosa;
ciò accadeva quando già sia Attilio che il medesimo Fugazzotto si erano trasferiti a Roma per iscriversi all'università, il primo alla facoltà di medicina, il secondo a quella di ingegneria;
intorno al 1992, quando Manca non era riuscito per mesi a sostenere gli esami universitari, i due avevano intensificato, a Roma, i loro rapporti – tanto che Attilio dormiva spesso da Fugazzotto – e, in tale stesso periodo, avevano aumentato l'uso di eroina di cui si rifornivano presso spacciatori occasionali;
intorno al 1994-95, Fugazzotto cessava di assumere droghe e rientrava a Barcellona Pozzo di Gotto, recandosi tuttavia in diverse occasioni a Roma ove veniva ospitato, anche per diversi giorni, dall'amico, avendo così modo di apprendere e di constatare che Attilio aveva continuato, almeno sino al 2000, a fare uso di eroina che, però, preferiva acquistare da tale Monique, poi identificata in Monica Mileti;
Attilio, comunque, era capace di evitare l'eroina per diverso tempo, così come era capace, di converso, «che si facesse più volte durante la stessa serata»;
egli si iniettava l'eroina con entrambe le mani indifferentemente e tendeva a bucarsi parti del braccio, come il polso, in cui il segno dell'agopuntura potesse essere meno evidente.

 

«Attilio Manca è morto per effetto di due iniezioni di eroina praticate al polso sinistro e nell'incavo del gomito sinistro. Nonostante una incresciosa «campagna» per cercare di occultare la verità, Attilio Manca era un mancino puro e, come riferito all'unanimità da tutti i suoi colleghi, del tutto inabile a compiere con la mano destra anche i gesti più banali. I suoi colleghi hanno riferito agli inquirenti di ritenere del tutto impossibile che Attilio Manca potesse essersi iniettato la droga nel braccio sinistro con la mano destra.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

Lelio Coppolino,

 

«…in atto imputato di falsa testimonianza a Messina in relazione all'omicidio del giornalista barcellonese Beppe Alfano, ha reso alla polizia due versioni completamente antitetiche una rispetto all'altra: una prima volta, disse che Attilio fosse del tutto estraneo alla droga e anzi ne avesse disprezzo; una seconda volta, allorché il cugino di Attilio, Ugo Manca, finì indagato, disse che Attilio era frequente assuntore di eroina.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

a sua volta, dichiarava che:
tra il 1986 e il 1990, il loro gruppo faceva uso di droghe leggere e, anzi, lo stesso Attilio Manca venne tratto in arresto dalla polizia spagnola perché, nel corso di una gita scolastica, fu trovato in possesso di alcuni grammi di hashish;
dal 1990, lo stesso gruppo, iniziò a fare uso di eroina, dapprima «sniffandola» e poi assumendola per endovena, e ciò quando Attilio rientrava temporaneamente a Barcellona dall'università romana ovvero quando lo stesso Coppolino andava a trovare l'amico nella capitale ove Manca si riforniva da tale Monique;
Attilio, per quanto a sua conoscenza, aveva usato l'eroina almeno sino al 1999, anno in cui Coppolino interruppe ogni rapporto con gli stupefacenti;

il loro uso era comunque saltuario, talvolta si iniettavano «l'eroina direttamente in vena», forse, con ciò intendendo, che non ricorrevano sempre al laccio emostatico; «Attilio, come la gran parte dei consumatori, tra i quali io stesso (...), utilizzava indifferentemente sia la mano destra che la mano sinistra»;

 

«…era un mancino puro. …faceva tutto con la sinistra. Ricordo benissimo un gesto buffo che ripeteva continuamente: era solito incrociare il braccio per prendere il telefono con la mano sinistra ma poi utilizzarlo all'orecchio destro, lo faceva sempre.»

Attilio non era un drogato: fra l'altro mi torna in mente un episodio, banale ma significativo. Un giorno Attilio lamentava un fortissimo mal di schiena, eravamo in ospedale e chiese un antidolorifico: ma quando arrivò l'infermiera con un voltaren da iniettare intramuscolo ricordo bene la sua riluttanza a fare l'iniezione e quel suo terrore per gli aghi: un piccolo particolare, ma che dice molto in merito.»

(Simone Maurelli, collega di Attilio Manca, WordNews.it, 30 agosto 2020)


era anche capitato che, durante una visita a Roma all'amico Attilio, quest'ultimo rischiò un’overdose di eroina e, nell'occasione, lo stesso Manca gli riferì che da diverso tempo non assumeva tale sostanza.

 

Guido Ginebri,

 

«…a presentare la Mileti all'urologo fu Guido Ginebri, altro soggetto barcellonese vicino a Ugo Manca.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

affermava che:
insieme ad Attilio Manca, Lelio Coppolino e Salvatore Fugazzotto avevano assunto sostanze stupefacenti;
negli anni dal 1995 al 1998 anche lui aveva vissuto a Roma dove sporadicamente si era incontrato con Manca insieme al quale aveva fatto uso di eroina;
era stato egli stesso, in tali anni, a presentare Monica Mileti ad Attilio Manca come persona presso la quale acquistare lo stupefacente;
non ricordava come Attilio Manca si iniettasse l'eroina, cioè se usasse o meno la mano destra, né come si preparasse l'eroina e cioè se, come lui, fosse solito, preparare più siringhe in una sola volta da consumare in momenti diversi; ricordava invece che Attilio, a differenza di tanti altri «era in grado di gestire in modo quasi scientifico l'assunzione di eroina (...) con cadenza sistematica».

Anche la madre di Manca, sentita nell'immediatezza dei fatti, confermava che il figlio, ma da giovanissimo, aveva fatto uso di stupefacenti seppure non specificandone la tipologia, probabilmente riferendosi alle droghe leggere. Orbene, come correttamente evidenziato dal GIP, nessun particolare rilievo va attribuito a queste dichiarazioni, perché sembrano riferirsi a esperienze giovanili e a un arco temporale molto datato rispetto ai fatti.
  

Le dichiarazioni dei tre amici barcellonesi si rivelano idonee a contribuire alla formazione del quadro probatorio in quanto convergenti tra loro e riscontrate dal materiale probatorio acquisito – presenza di siringhe nell'abitazione, morte per overdose da eroina, telefonate e contatti con Monique – e in quanto non in assoluto contrasto con quelle degli amici viterbesi, i quali avevano una conoscenza recente del Manca, tra l'altro maturata in un contesto in cui il medico certamente avrebbe celato la sua eventuale dipendenza. Tuttavia, secondo l'impostazione difensiva, tali propalazioni sarebbero inattendibili poiché rese da soggetti che, a vario titolo, potrebbero essere collegati, direttamente o indirettamente, ad ambienti mafiosi.
 

La questione posta dalla difesa non veniva affrontata nell'ambito del procedimento poiché ritenuta dal GIP sovrabbondante rispetto alle altre emergenze probatorie. Un'attenta analisi sul punto, invece, si rinviene nella successiva sentenza, di cui si parlerà più avanti, con la quale la Mileti è stata condannata per la cessione dell'eroina ad Attilio Manca e in cui si conclude, anche in ragione delle evenienze del traffico telefonico, per la credibilità dei barcellonesi.

 

«La procura di Viterbo, dopo aver fatto trascorrere ben dieci anni, ha promosso un processo a carico di Monica Mileti, imputandole la cessione delle dosi di eroina che avrebbero causato la morte di Attilio Manca (articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n.309 del 1990) e anche la morte come conseguenza di altro delitto (articolo 586 codice penale).

Ma proprio a causa del tempo fatto decorrere dalla procura di Viterbo, in udienza preliminare il GUP di Viterbo dovette dichiarare la prescrizione per la seconda delle imputazioni

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

Altre risultanze investigative hanno consentito all'autorità giudiziaria di Viterbo di ipotizzare che il dottor Manca facesse uso di stupefacenti, quantomeno in modo saltuario, modalità abbastanza diffusa tra gli assuntori e a cui si ricorre, talvolta secondo specifiche cadenze temporali, proprio per evitare stati di grave dipendenza. Del resto, l'analisi del traffico telefonico ha dimostrato che, di converso, anche i rapporti tra Manca e Monica Mileti – dovuti alla sola cessione dell'eroina e non a rapporti amicali –, erano saltuari: i due si sentivano circa ogni due mesi ma generando, nelle giornate di contatto, un rilevante numero di chiamate.
 

Tra le suddette risultanze vi è, certamente, il citato esito positivo del test tricologico che comprova la pregressa assunzione di eroina da parte dell'urologo, pregressa nel senso di antecedente rispetto a quella letale, anche se non sono stati determinati bene i tempi né si è riflettuto sulla possibilità di un'assunzione precedente anche per via aerea.

 

«…l'esame tricologico, quando realmente effettuato e quando praticato con modalità ortodosse, consente perfino la datazione della pregressa assunzione di stupefacente.
Invece, nel caso di Attilio Manca, connotato da tutte le anomalie sopra descritte, pure il presunto test tricologico deve essere incasellato nella forzosa costruzione virtuale di chi ha deciso che la morte dell'urologo barcellonese andasse liquidata come il banale decesso di un imprudente eroinomane. Sì, imprudente, e pure consapevolmente, se si considera che il medico, in concomitanza con la doppia iniezione di eroina, avrebbe assunto anche un flacone e mezzo di sedativo Tranquirit, contenente abbondantissima dose di benzodiazepina, sostanza che ha concorso a provocarne la morte.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)


Anche stavolta il dato è stato contestato. I familiari hanno affermato, infatti, l'inesistenza dell'esame tricologico mentre l'avvocato Repici, nel corso del procedimento, ha sollevato dubbi sulla sua formale utilizzabilità processuale (cfr. decreto di archiviazione del 26 luglio 2013). Bisogna prendere atto, tuttavia, che il risultato scientifico, sebbene portato a conoscenza dell'autorità giudiziaria solo nelle note integrative, è quello della positività all'eroina.


Inoltre, l'uso del predetto stupefacente da parte del dottor Manca, appare avvalorato dal fatto che il 10 febbraio – cioè, il giorno prima di morire o, addirittura, il giorno stesso della morte –, egli, spontaneamente, si recava a Roma per incontrare Monica Mileti al verosimile fine di acquisire eroina – presso la stessa donna o su indicazione di ella –, come è possibile desumere da alcuni elementi:
Monica Mileti aveva precedenti per stupefacenti e, comunque, era una eroinomane – come dalla stessa affermato e come confermato dagli esiti della perquisizione eseguita nella sua abitazione – la quale, conseguentemente, conosceva spacciatori presso cui rifornirsi;
Manca, pur intrattenendo con la Mandoloni un legame sentimentale, le mentiva sulle ragioni per cui si stava recando a Roma, adducendo come scusa l'acquisto di un film, tanto da fare irritare la donna;
Manca, sebbene conoscesse Monica Mileti da lungo tempo, non intratteneva con lei un rapporto di frequentazione che giustificasse quell'improvviso viaggio e del resto, la breve durata dell'incontro non spiega, anche per tale verso, la trasferta a Roma con la finalità di trascorrere un po’ di tempo con l'amica;
Monica Mileti, non avendo ancora appreso dell'avvenuta morte di Manca, gli inviava, post mortem, un sms da cui si coglie la preoccupazione della donna circa eventuali indagini della polizia («che mi hai combinato, mi ha cercato la questura chiedendo se ti conosco (...) fammi sapere eminenza grigia»); la Mileti, come si dirà, è stata condannata proprio per la cessione dell'eroina a Manca nelle circostanze prima indicate.

 

«Per la cessione di droga si è, invece, svolto un dibattimento che ha avuto un andamento davvero imbarazzante. Si è iniziato con l'esclusione dei familiari di Attilio Manca, che si erano costituiti parte civile, su richiesta del PM Petroselli, il quale ha sostenuto, confortato dalla decisione del giudice, che essi non avevano subito danni dalla cessione di droga della Mileti al figlio (contrastando quanto lo stesso pubblico ministero aveva contestato alla Mileti in udienza preliminare con la morte di Attilio Manca come conseguenza della cessione di droga).

Si è proseguito con la mancata citazione, da parte della difesa dell'imputata, dei numerosi testimoni a discarico di cui poteva disporre: i colleghi di Attilio Manca che escludevano che l'urologo barcellonese assumesse droga; i collaboratori di giustizia che avevano dichiarato all'autorità giudiziaria che la morte per droga di Attilio Manca fosse la dissimulazione di un omicidio. La difesa dell'imputata ha perfino omesso di rivolgere alcuna domanda alla mamma di Attilio Manca, allorché costei fu citata dal tribunale a deporre, con una testimonianza durata pochi minuti…
In sostanza, dunque, il processo che formalmente si è celebrato a carico di Monica Mileti, di fatto ha avuto come imputato Attilio Manca. Con una peculiarità patologica: mentre la Mileti ha, come detto, scelto di non difendersi, Attilio Manca era impossibilitato a difendersi, tanto più dopo che dal processo erano stati cacciati i suoi familiari, che si erano costituiti parte civile.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

Anche con riguardo a quest'ultima ricostruzione sono state mosse contestazioni. Si è infatti sostenuto che l'incontro del 10 febbraio tra la spacciatrice e l'urologo fosse, in realtà, una trappola organizzata dalla mafia barcellonese. Ciò sia perché la Mileti fu presentata a Manca da un architetto barcellonese, cioè Guido Ginebri, sia perché l'urologo, prima di partire alla volta di Roma e subito dopo la telefonata di quel pomeriggio con il barcellonese Fugazzotto, manifestò un repentino cambiamento di umore.
Questi fattori introdotti dalla difesa, però, non trovano riscontro.
La presentazione di Monique – nata a Roma e da sempre residente a Roma – a Manca, a opera dell'architetto Ginebri – come da quest'ultimo ammesso –, risale, infatti, a circa dieci anni prima, cioè al periodo universitario in cui Manca e Ginebri si trovavano a Roma. Del resto, il traffico telefonico non evidenzia contatti, a partire dal 2000, tra la Mileti e gli amici barcellonesi di Manca. Di conseguenza, non si ravvisa, per quel 10 febbraio 2003, alcun collegamento tra Ginebri e l'incontro del medico con la Mileti, né si ravvisano comunque legami tra la donna romana e la mafia di Barcellona Pozzo di Gotto. Inoltre, se la donna fosse stata complice di un tranello, difficilmente avrebbe inviato il predetto sms al Manca e, per di più, in epoca in cui questi era già stato «assassinato».

  

A sua volta, il cambiamento di umore dopo la telefonata intercorsa con Salvatore Fugazzotto, il 10 febbraio, mentre l'urologo era a casa dell'infermiera, è un dato riferito non dalla donna ma, de relato, dal fratello di Manca, che ciò avrebbe appreso dalla Mandoloni, la quale, invece, nulla a tal proposito aveva riferito agli inquirenti.
 

In ogni caso, risulta che: fu lo stesso Manca a chiamare spontaneamente Fugazzotto in occasione del compleanno di questi; nelle ore di permanenza da Loredana Mandoloni, Manca appariva tranquillo, tanto da scherzare sul tumore al cervello; tranquillo continuava ad apparire alla donna nelle ore successive nel corso di un serrato scambio di telefonate e sms; tranquillo appariva anche all'infermiere Riccardi che incontrò Manca quella stessa sera al suo ritorno da Roma.
  D'altra parte, nessun rilievo decisivo può attribuirsi, nella logica probatoria, a un cambiamento di umore e, comunque, se esso deve annoverarsi tra i possibili indici di un delitto, deve essere valutato in tutte le sue possibili sfaccettature. Pertanto deve altresì correttamente considerarsi sia che Manca era soggetto a sbalzi umorali – come affermato dalle persone a lui vicine – sia che, in ogni caso, ciò si sarebbe verificato poco prima che egli si recasse a Roma alla ricerca di eroina e dunque in un momento di per sé peculiare.

 

1.2.4.7 –L'ipotesi dell'autorità giudiziaria di Viterbo sul decesso per «assunzione volontaria di stupefacenti» anche alla luce dei rilievi difensivi

Se si guarda al compendio probatorio contenuto nel fascicolo delle indagini preliminari fondate, nonostante alcune lacunosità, su prove scientifiche, rilievi tecnici, dichiarazioni di persone informate sui fatti, analisi del traffico telefonico, si può cogliere che la procura della Repubblica di Viterbo si è trovata di fronte a un quadro probatorio da cui emerge che:

 

«Sono arrivate nel corso degli ultimi anni plurime dichiarazioni di collaboratori di giustizia, a testimoniare che Attilio Manca non fosse morto per una dose sbagliata di eroina ma fosse vittima di un omicidio di mafia. I familiari di Attilio Manca si sono dunque rivolti alla procura distrettuale antimafia di Roma nell'aprile 2015, la quale ha aperto un nuovo procedimento ora in fase di attesa del pronunciamento del GIP, dopo la recente richiesta di archiviazione.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

il dottor Manca è morto per overdose di eroina;
il dottor Manca, secondo il test tricologico, già faceva uso di eroina;

 

«…pure il presunto test tricologico deve essere incasellato nella forzosa costruzione virtuale di chi ha deciso che la morte dell'urologo barcellonese andasse liquidata come il banale decesso di un imprudente eroinomane.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

nel suo appartamento sono state trovate siringhe compatibili con la somministrazione di eroina per via endovenosa;
egli, il giorno della morte o comunque a distanza di poche ore dal decesso, si era recato spontaneamente a Roma, molto verosimilmente per acquistare eroina;
egli non aveva subito alcuna aggressione, tant’è che sul suo corpo non vi erano segni di lesione/costrizione che invece, verosimilmente, avrebbero dovuto essere presenti per l'ipotetico caso in cui taluno avesse immobilizzato Manca per fargli assumere forzatamente prima una – peraltro normalissima – dose di tranquillante, poi una – peraltro normalissima – dose di alcool, per poi praticargli ben due punture;
nessuno del vicinato aveva segnalato rumori o urla che facessero pensare a una colluttazione;

 

«Angela Riondino, la quale, sentita lo stesso 12 febbraio 2004, riferì che «ieri sera verso le ore 22 – 22.15 ho udito chiudere la porta dell'appartamento del dottor Manca, preciso che io mi trovavo dentro il mio appartamento e non ho veduto se fosse rientrato lui o altri, o comunque lo stesso con altre persone» (cfr. verbale dichiarazioni rese da Angela Riondino). Ne deriva che gli inquirenti appresero che in orario concomitante con la morte di Attilio Manca, qualcuno aveva chiuso la porta della sua abitazione.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

nell'appartamento, trovato in perfetto ordine, non vi erano tracce di intrusione/aggressione;
nell'appartamento non si ravvisavano, almeno prima facie, artifici di sorta che facessero fondatamente pensare a una messinscena. Dai rilievi fotografici effettuati nell'abitazione del medico, infatti, sembrerebbe che Attilio Manca avesse fatto uso della seconda siringa di eroina in bagno; dopo averla chiusa al fine di gettarla e di non lasciare tracce in casa – così come aveva fatto con la prima siringa – veniva colto da malore; lasciava cadere l'iniezione sul pavimento e si recava nella vicinissima camera dove si buttava sul letto, a pancia in sotto, lasciando le pantofole per terra, in perfetta corrispondenza con i suoi piedi.

Se si provano a inserire, nel procedimento di formazione della prova, gli elementi valorizzati dalla difesa, si ricava che essi, per quanto suggestivi, non potevano essere idonei a ribaltare il quadro probatorio acquisito poiché, come di seguito si vedrà, non consentivano interpretazioni univoche o, talvolta, si rivelavano neutri.
 

Ad esempio, i segni delle punture rinvenute nel braccio sinistro, non sono, in assoluto, incompatibili con il mancinismo del Manca.

 

«Eppure, a fronte di ciò, la menzogna del presunto ambidestrismo di Attilio Manca, lanciata per la prima volta da personaggi barcellonesi coinvolti nelle indagini sulla morte del medico e per ciò solo portatori di interesse al depistaggio, è stata incresciosamente raccolta perfino dal GIP Salvatore Fanti, il quale, smentendo le risultanze ufficiali, asseverò nel provvedimento di archiviazione che Attilio Manca dovesse essere ambidestro perché esperto nella pratica chirurgica della laparascopia.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

Il GIP, a tal proposito, ha affrontato la questione del mancinismo dei medici, specie di quelli che praticano la laparoscopia, concludendo che tale mancinismo non può essere puro. In ogni caso – e anche a prescindere dalle dichiarazioni degli amici di Barcellona i quali ricordavano che il Manca, come di solito avviene per gli assuntori di eroina, era aduso «bucarsi» su entrambe le braccia –, non stupisce che un medico possa egualmente, data la manualità acquisita,

effettuarsi un'iniezione con qualunque mano indifferentemente. Ciò soprattutto se sorretto dall'uso di uno specchio, come sembra accaduto nel caso di Manca ove l'iniezione cadutagli dalle mani è stata ritrovata quasi in corrispondenza con lo specchio del bagno, e se si considera anche la non remota possibilità che il dottor Manca abbia inteso deliberatamente inocularsi al polso sinistro, cioè proprio dove egli portava l'orologio – come si nota da alcune sue fotografie diffuse su Internet – al fine di celare facilmente i segni di agopuntura.
 

Ancora, le siringhe trovate chiuse, con il tappo di protezione, teoricamente possono deporre, al contrario, proprio per l'auto-inoculazione, cioè, ben si potrebbe sostenere che Manca, non solo era portato, per mestiere, con un gesto quasi automatico, a chiuderle prima di gettarle, ma aveva tutto l'interesse a non lasciare tracce nella sua abitazione (frequentata da più persone; cfr. ad esempio gli sms inviati dalla Mandoloni); e che, anzi, potrebbe apparire inverosimile che l'eventuale aggressore avesse chiuso le siringhe e, per di più, diversificandone il luogo di ritrovamento, così rendendo meno spettacolare e meno evidente l'uso di ben due iniezioni di eroina e, dunque, l'overdose.
 

Lo stesso dicasi per l'assenza di materiale per la preparazione dell'eroina e del laccio emostatico che, si potrebbe dire, solo in caso di messinscena sarebbero stati lasciati in bella vista. La mancanza di laccio emostatico, inoltre, potrebbe ben giustificarsi con la manualità del medico o eventualmente con l'esperienza dell'abituale assuntore di stupefacenti.

 

La capacità di Manca, inoltre, per la sua qualità di medico, di saper dosare l'eroina e dunque evitare l’overdose, è un argomento privo di portata probatoria. Premesso che il dottor Centini, nella sua nota integrativa, evidenziava che le quantità di eroina rilevate sul dottor Manca, seppure «compatibili con una morte eroina correlata», sono tuttavia «non elevatissime», va considerato che la dose mortale dipende non tanto da una quantità letale in assoluto, ma da una quantità letale in relazione al singolo – per il peso, la struttura, il grado di assuefazione, il cosiddetto «cambiamento di posizione», l'epoca dell'ultima assunzione – nonché in relazione alla qualità dello stupefacente, che, nel caso in esame, non è stata accertata. Inoltre, in assenza di dati che specifichino l'epoca di impiego delle due siringhe – ad esempio, una la sera prima e l'altra la mattina dopo, ovvero contemporaneamente – ma essendo verosimile, dato lo stato di overdose, la loro utilizzazione in sequenza, può anche ritenersi verosimile che Manca abbia fatto uso della seconda dose di eroina proprio nella fase di obnubilamento o di euforia dovuta alla prima somministrazione.
 

Anche la serie di argomenti valorizzati dalla difesa al fine di dimostrare l'opera di terzi che, in qualche modo, avrebbero tenuto in ostaggio l'urologo, si rivelano neutri dal punto di vista probatorio. Invero, se nella casa vi è l'assenza di residui di cibo della cena, vi è invece la presenza di residui della prima colazione e comunque vi è la presenza di materiale poltiglioso nello stomaco che potrebbe far pensare che il Manca avesse mangiato qualcosa prima di rientrare a casa la sera del 10 febbraio; la mancata presenza all'incontro conviviale della sera del 10 febbraio, si può ben giustificare con la libera volontà del Manca di non parteciparvi, espressa da egli stesso a più persone e in più occasioni nell'arco della giornata e, addirittura, sino a pochi minuti prima dell'inizio della cena stessa (cfr. sommarie informazioni testimoniali (SIT) Riccardi); la mancata presentazione, la sera dell'11 febbraio, dal dottor Ronzoni a Roma, si può giustificare col fatto che, a quell'epoca, Manca molto verosimilmente fosse già morto o comunque in stato comatoso; l'assenza di biancheria intima sul corpo della vittima, si può giustificare col fatto che egli era solito dormire senza (cfr. SIT di Loredana Mandoloni del 13 febbraio 2004); la presenza delle chiavi di casa sul mobile e non inserite nella porta si può giustificare con l'abitudine in tal senso del de cuius – cfr. medesime SIT Mandoloni – o, comunque, con una banale dimenticanza, specie se Manca, in ipotesi, si era già iniettato una prima dose di eroina.


Egualmente, le asserite stranezze negli ultimi comportamenti del de cuius, spiegabili in svariati modi e soggette a interpretazioni molteplici, non consentono, da sole, di ipotizzare una morte violenta.
Le telefonate effettuate da Manca, quel 10 febbraio, al dottor Candidi per chiedere l'indicazione di strade di Roma che, come assume la difesa, Manca conosceva, non consentono di trarre dati certi per interpretarle indubbiamente come una «richiesta di aiuto».
A tale riguardo, invero:
Manca aveva abitato a Roma in «zona Gemelli» e non necessariamente aveva grande praticità con le vie del centro, specie in considerazione della zona a traffico limitato (ZTL);
la richiesta di indicazioni stradali è rivolta al collega Candidi, peraltro in un contesto in cui si parla anche della mancata partecipazione alla cena di quella sera, il quale, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, non era viterbese ma nativo di Roma e ivi, da sempre, residente;
l'eventuale anomalo smarrimento per le vie di Roma può, anche in questo caso, giustificarsi con lo stato d'ansia di Manca alla ricerca di eroina;

 

«…mentre si dirigeva a Roma ritenne di telefonare per due volte all'ospedale di Viterbo per chiedere a una infermiera e a un collega medico, entrambi per nulla pratici della città capitolina, indicazioni su due luoghi a lui per forza noti (in un caso addirittura piazza del Popolo), come a voler lasciare tracce dei suoi spostamenti.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

in ogni caso, se Manca avesse voluto, ben avrebbe potuto chiedere aiuto in maniera esplicita, risultando che, sia nel viaggio di andata che in quello di ritorno, era libero e solo, come si evince dalle telefonate e gli SMS amorevoli scambiati con la Mandoloni, dalle dichiarazioni della Mileti, dall'incontro serale con l'infermiere Riccardi al rientro da Roma.

  

Lo stesso dicasi per la telefonata intercorsa con la madre la mattina dell'11 febbraio, interpretata dalla difesa come un'indicazione che l'urologo avrebbe cripticamente dato alla donna in concomitanza alla situazione di pericolo in cui si trovava in quel momento. Innanzitutto, come si è detto, tale telefonata probatoriamente non esiste, né nei tabulati del telefono del Manca, né in quelli delle utenze dei genitori, né nelle liste delle chiamate dell'apparecchio telefonico dell'urologo, ma anche a voler ipotizzare che qualcuno – dunque, società telefoniche, personale della squadra mobile, personale delle volanti, personale della polizia scientifica –, avesse fatto «sparire» tale contatto, sia dai tabulati che dall'apparecchio del Manca, il risultato non cambierebbe.
  Infatti:
Loredana Mandoloni riferiva che, subito dopo il decesso di Manca, la madre dell'urologo le aveva raccontato di tale ultima conversazione telefonica con il figlio il quale, a suo dire, gli era apparso «tranquillo»;
le finalità che Manca, secondo la ricostruzione difensiva, si sarebbe proposto con tale telefonata, sono troppo recondite per poter essere colte dall'interlocutrice e, comunque, presupponevano la conoscenza sia della madre che di Manca del luogo ove si sarebbe nascosto Provenzano, luogo, peraltro, mai ufficialmente risultato come il covo del corleonese, specie nel 2004 in epoca ben antecedente alla cattura del latitante;
anche a volere pensare che si tratti di una telefonata con contenuto anomalo, è doveroso considerare, nella logica della prova, che la conversazione – sempre se esistente e reale – sarebbe avvenuta, al massimo, poco prima della morte e, quindi, in una fase in cui Manca, probabilmente, aveva già fatto uso di eroina.

 

Pure gli esiti delle diverse analisi dattiloscopiche non consentono di indirizzare fondatamente le indagini verso l'assassinio del dottor Manca, sia perché i risultati negativi non provano, positivamente, l'interessata opera di cancellazione delle impronte da parte di taluno, sia perché, a loro volta, i risultati positivi non provano, da soli, che taluno si sia reso responsabile dell'omicidio.

 

«Il primo pentito che ebbe a parlare dell'omicidio di Attilio Manca fu il casalese Giuseppe Setola, il quale riferì ai magistrati di aver appreso in carcere dal boss barcellonese Giuseppe Gullotti che il giovane medico era stato assassinato dalla mafia dopo che era stato coinvolto nelle cure all'allora latitante Bernardo Provenzano.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

 

Innanzitutto deve considerarsi che, come spiegato in termini generali, dal perito Giuseppe Privitera, sentito il 14 novembre 2008, nel corso di un incidente probatorio svolto nel procedimento inerente al decesso del dottor Manca «un'impronta può durare un giorno e può durare cinquant'anni, dipende (...). Vi sono delle variabilità infinite (...) queste cose sono molto empiriche, non c’è una scienza in questo senso, non (ci sono) degli esperimenti fatti in questo settore, perché è una variabilità così enorme che è difficile (...) misurare tutte le condizioni possibili affinché un'impronta duri». Sicché, se ne ricava che si tratta di un campo in cui, almeno per la datazione dell'epoca di un'impronta e della durata di essa sulle superfici, si procede per approssimazioni.

 

«Fu poi il turno del pentito bagherese Stefano Lo Verso, che, nel corso del suo esame davanti alla corte di assise di Caltanissetta nel processo Borsellino quater, parlando delle cure a Bernardo Provenzano per il tumore alla prostata dell'allora latitante corleonese, fece riferimento a una statuetta che egli aveva ricevuto dal boss corleonese e che, per la sua provenienza, poteva aiutare a fare luce sull'assassinio di Attilio Manca.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

Inoltre, con particolare riferimento alle indagini svolte sulle due siringhe – una delle quali non presentava impronte e l'altra soltanto frammenti di impronte inidonee alla comparazione – deve aggiungersi che, in ogni caso, la ricerca dattiloscopica è avvenuta diverso tempo dopo rispetto alla morte e in assenza di dati precisi circa la conservazione dei reperti e circa il loro prelievo ab origine. Inoltre, da un punto di vista logico, potrebbe ben ritenersi che se un eventuale assassino avesse voluto cancellare le tracce, non lo avrebbe fatto per una sola siringa ma anche per l'altra, che, invece, presentava impronte, seppur poi non rilevatesi utili.
In base agli esiti delle indagini dattiloscopiche svolte nell'appartamento non si riscontrano impronte dei genitori di Manca (che avevano soggiornato a Viterbo nella casa del figlio alla fine del mese di dicembre) e degli amici dell'urologo (che il 6 febbraio avevano cenato in quella abitazione), mentre, si riscontrano le impronte di Attilio Manca nonché l'impronta palmare lasciata nel bagno da Ugo Manca (che ufficialmente aveva soggiornato a Viterbo, dal cugino, nei primi di dicembre e quindi in epoca antecedente alla visita dei genitori e degli amici dell'urologo e alle pulizie della casa poi effettuate dalla madre di Manca). A loro volta, tali risultati non consentono di trarre conclusioni univoche.

 

«Fra le anomalie alle quali gli inquirenti non hanno saputo dare risposta c’è anche l'impronta digitale di Ugo Manca trovata a casa di Attilio a Viterbo, su una piastrella del bagno vicino alla doccia, cioè nella stanza più umida della casa, quindi sul materiale e nelle condizioni più improbabili per la sua permanenza. L'interessato ha riferito, anche agli organi di informazione, di averla lasciata a metà dicembre 2003, ben due mesi prima della morte del cugino, allorché fu ospitato una notte dallo stesso in previsione di un intervento chirurgico che gli venne praticato proprio da Attilio Manca all'ospedale Belcolle. Eppure nello stesso appartamento non sono state trovate impronte dei genitori di Attilio Manca, ospiti del figlio a Natale 2003, e nemmeno dei suoi amici che trascorsero la serata a casa di Manca addirittura il 6 febbraio 2004.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

Oltre a quanto rappresentato dal perito Privitera, anche qui va aggiunto che appare improbabile che un assassino, nel tentativo di cancellare le tracce delle proprie impronte lasciate nell'appartamento, lasci in abbondanza quelle del padrone di casa – come se fosse riuscito a distinguerle da quelle dei genitori e degli amici del Manca – e poi, invece, dimentichi di cancellare la propria lasciata in bagno.

 

«Da rilevare il comportamento assunto da Ugo Manca per tutta la giornata del 13 febbraio, durante la quale cercò spasmodicamente di entrare nell'abitazione del cugino Attilio posta sotto sequestro, asseritamente per recuperare dei vestiti da utilizzare per vestire la salma, nonostante gli zii gli avessero già segnalato la volontà di comprare abiti nuovi per quella triste occasione. Vistasi negata l'autorizzazione dalla famiglia del medico, Ugo Manca si recò personalmente alla procura di Viterbo cercando di farsi, inutilmente, rilasciare il permesso per entrare in casa nonostante i sigilli.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

In ogni caso va detto che:
Ugo Manca aveva effettivamente e ufficialmente soggiornato in quella casa di Viterbo, a metà del dicembre 2003 per sottoporsi, con l'aiuto del cugino medico, a un intervento chirurgico;
anche se in quello stesso mese di dicembre, e in epoca successiva al soggiorno di Ugo Manca, furono effettuate le pulizie, non si può avere la certezza assoluta che la donna ripulì anche quella minima parte di parete del bagno ove fu trovata l'impronta;
anche a voler ipotizzare che Ugo Manca si fosse recato a casa del cugino in epoca successiva alle pulizie, non è dato sapere quando (gennaio o febbraio?), né a che fine (si può ad esempio ipotizzare, ma rimanendo nel campo delle illazioni, che Ugo Manca si fosse recato nel Lazio per altre ragioni illecite che, pertanto, non ha inteso svelare);
in ogni caso, non risulta dai tabulati, né aliunde, la presenza nel Lazio di Ugo Manca in epoca prossima al decesso, risultando, anzi, dai medesimi tabulati la sua permanenza, in quei giorni, a Barcellona Pozzo di Gotto;
non risulta dagli atti che Ugo Manca all'epoca fosse mafioso. Secondo quanto dichiarato dalla stessa difesa, egli è stato processato per traffico di stupefacenti, condannato in primo grado e assolto in appello; né, comunque, risulta che fosse portatore di un interesse all'eliminazione del cugino con il quale, stando alle acquisizioni del procedimento, intercorrevano buoni rapporti.

 

«…dieci giorni prima di morire effettivamente Attilio Manca aveva ricevuto delle telefonate dal cugino Ugo. Dagli stessi dati, peraltro, risulta che i due, Ugo Manca e Angelo Porcino, avevano una rete di contatti comuni con utenze site in Svizzera e in Francia e risulta anche, come era stato riferito fin dall'immediatezza agli inquirenti da Gianluca Manca, fratello della vittima, che nella mattina successiva al ritrovamento del cadavere di Attilio Manca, Ugo Manca, precipitatosi a Viterbo, si era mantenuto in costante contatto telefonico con Angelo Porcino, aggiornando quest'ultimo sulle informazioni che riusciva a raccogliere al riguardo della morte di Attilio Manca.

Angelo Porcino è solo uno dei soggetti organici alla famiglia mafiosa barcellonese cui da sempre Ugo Manca è stato legato. Nel corso del tempo gli scriventi hanno segnalato all'autorità giudiziaria anche i legami fra Ugo Manca e uno dei capi della famiglia mafiosa barcellonese, Rosario Pio Cattafi e hanno anche prodotto la relazione di servizio della Compagnia CC di Barcellona Pozzo di Gotto del 7 maggio 2002, attestante la partecipazione di Ugo Manca (insieme ai suoi amici Angelo Porcino e Lorenzo Mondello) a un summit di mafia tenutosi nei locali di un'azienda agricola, plausibilmente per festeggiare l'allora momentanea assoluzione del mafioso Antonino Merlino nel processo per l'omicidio del giornalista Beppe Alfano».

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

Infine, anche il movente ipotizzato dalla difesa si è rivelato, durante le indagini svolte dalla procura di Viterbo, privo di concreti riscontri.
Dagli atti del processo cosiddetto «Grande mandamento», celebrato a Palermo e conclusosi con sentenza definitiva, avente a oggetto la latitanza di Bernardo Provenzano – a cui i magistrati di Viterbo hanno fatto riferimento durante l'audizione –, e come anche

evidenziato nel corso dell'audizione in Commissione il 12 febbraio 2014 dal procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, e dal procuratore aggiunto, Michele Prestipino (già titolari, con altri, a Palermo delle indagini per la cattura dello stesso Provenzano), non è mai emerso alcun rapporto tra le cure approntate a Bernardo Provenzano per il suo tumore alla prostata e il dottor Attilio Manca.

 

«…fu la volta del collaboratore di giustizia barcellonese Carmelo D'Amico. Quest'ultimo era il leader del gruppo di fuoco della famiglia barcellonese di cosa nostra. Ha confessato decine di omicidi sui quali l'autorità giudiziaria non era mai riuscita a fare luce e ha rivelato i dettagli a lui noti di altre decine e decine di omicidi del tutto sconosciuti agli inquirenti. […] D'Amico, sentito dalla direzione distrettuale antimafia di Messina sul conto di Rosario Pio Cattafi, ha dichiarato che Attilio Manca è stato assassinato dopo che, per interessamento di Cattafi e di un generale legato al circolo barcellonese Corda Fratres, era stato coinvolto nelle cure dell'allora latitante Provenzano. Manca era stato poi assassinato, con la subdola messinscena della morte per overdose, da esponenti dei servizi segreti e in particolare da un killer operante per conto di apparati deviati, le cui caratteristiche erano la mostruosità dell'aspetto e la provenienza calabrese.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)


L'intervento chirurgico subito dal latitante a Marsiglia – ove si recò in due diverse occasioni e cioè sia nel luglio che nell'ottobre 2003 – è stato ricostruito minuziosamente, quasi al minuto, con l'individuazione di tutti coloro che vi svolsero un ruolo – accompagnatori, soggetti che avevano prenotato le visite, personale medico e paramedico – e tra i quali non vi è l'urologo barcellonese. Pertanto, ammesso che il Manca si trovasse in Francia in uno o in entrambi i periodi in cui il latitante era a Marsiglia, tale coincidenza – di cui non vi è prova certa – è da sola inidonea a dimostrare l'esistenza di rapporti, diretti o indiretti, tra Manca e Provenzano.
 

«A questo soggetto (il calabrese, nda) è stato poi, ove occorresse, dato un nome dal collaboratore di giustizia calabrese Antonino Lo Giudice, il quale ha spiegato ai magistrati di aver appreso dall'ex poliziotto Giovanni Aiello che costui si era occupato, insieme ad altri delitti, anche dell'uccisione dell'urologo barcellonese Attilio Manca su incarico di tale «avvocato Potaffio», facilmente identificabile in Rosario Pio Cattafi.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

Si può aggiungere che nemmeno risulta, dalle complesse indagini svolte sul latitante, che il Manca abbia comunque prestato, anche solo attraverso un consulto, la sua opera in favore del Provenzano, né risulta che, per curare il corleonese, la mafia palermitana abbia chiesto ausilio a quella barcellonese, né risulta che Provenzano abbia fatto mai ammazzare chi lo aveva riconosciuto posto che nessuno sapeva dove si rifugiava, né risulta accertata la presenza di Provenzano a Barcellona Pozzo di Gotto.

 

«Sempre sull'omicidio di Attilio Manca sono infine arrivate le dichiarazioni, rese a uno dei legali della famiglia Manca, del collaboratore di giustizia barcellonese Giuseppe Campo, il quale addirittura ha rivelato di essere stato contattato per l'uccisione di un medico barcellonese, prima di apprendere che la mafia del territorio aveva poi operato diversamente, uccidendo l'urologo nella propria abitazione a Viterbo e simulando una morte per overdose.»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

 

1.3 –Il procedimento della procura di Viterbo a carico di Monica Mileti

La procura della Repubblica di Viterbo, nell'ambito di altro ma connesso procedimento, il 29 agosto 2012, cioè otto anni dopo i fatti, esercitava l'azione penale contro Monica Mileti, la quale, secondo la prospettazione accusatoria, si era resa responsabile del delitto di cui all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n.309 (per avere ceduto l'eroina ad Attilio Manca), nonché del delitto di cui agli articoli 586 e 589 del codice penale, (per aver cagionato la morte di Attilio Manca, quale conseguenza non voluta del delitto di cessione di stupefacenti). Per questa seconda fattispecie, il giudice per l'udienza preliminare, il 3 febbraio 2014, dichiarava l'intervenuta prescrizione del reato, sicché, disponeva il giudizio a carico della Mileti soltanto per il suddetto delitto di cui all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n.309 del 1990.

 

«La procura di Viterbo, dopo aver fatto trascorrere ben dieci anni, ha promosso un processo a carico di Monica Mileti, imputandole la cessione delle dosi di eroina che avrebbero causato la morte di Attilio Manca (articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n.309 del 1990) e anche la morte come conseguenza di altro delitto (articolo 586 codice penale).»

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

 

(4) Seduta del 12 febbraio 2014, audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone, resoconto stenografico n.17: “GIUSEPPE PIGNATONEprocuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Posso dire anche a nome del collega che in passato Palermo, quando noi eravamo a Palermo, ha fatto delle indagini. Allora non si ritenne che ci fossero nessi con la vicenda Provenzano. (...)
MICHELE PRESTIPINO GIARRITTAprocuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. (...) la questione di Attilio Manca. Io ora non parlo come procuratore aggiunto di Roma, perché Roma, che a me consti, non credo abbia attivato o seguito indagini. Ci sono le regole della competenza. Io me ne sono occupato quando

Avviato il dibattimento innanzi al giudice monocratico di Viterbo, il pubblico ministero eccepiva l'intervenuta prescrizione anche del reato per cui si procedeva ritenendolo qualificabile ai sensi dell'ipotesi meno grave di cui al comma quinto del citato articolo 73, e chiedeva l'esclusione della parte civile che, venuto meno il delitto di cui agli articoli 586 e 589 del codice penale, non poteva ritenersi parte offesa o danneggiata del reato residuo. Il giudice accoglieva solo quest'ultima richiesta e, pertanto, il processo proseguiva.
Nel corso dell'istruttoria dibattimentale, finalizzata ad accertare se, effettivamente, la Mileti si fosse resa responsabile della cessione di eroina, si affrontavano incidentalmente anche le cause del decesso di Attilio Manca e venivano acquisiti diversi atti del procedimento inerente alla morte dell'urologo.
Nella successiva sentenza del 29 marzo 2017, depositata il successivo 28 aprile 2017, e con la quale la Mileti veniva condannata alla pena della reclusione di 5 anni e 4 mesi, oltre alla multa di 18 mila euro, il giudice, dopo un'analisi particolareggiata delle risultanze, evidenziava che il dottor Manca doveva ritenersi un assuntore di eroina, che costui, il 10 febbraio, aveva acquistato lo stupefacente dalla donna, che dopo essersi volontariamente inoculato due siringhe di droga, era deceduto per overdose.

 

1.4 –Il procedimento della procura di Roma sul decesso di Attilio Manca

Solo dopo l'ultima archiviazione del procedimento pendente a Viterbo sulla morte dell'urologo, anche la procura della Repubblica di Roma, quale direzione distrettuale antimafia, veniva investita della vicenda posto che il camorrista Giuseppe Setola, in data 4 luglio 2014, ero sostituto a Palermo e, rispetto alle ultime emergenze, sia pure di tipo giornalistico e mediatico, sento il dovere di dire almeno una cosa. C’è un processo che si è svolto a Palermo, che si è concluso con sentenze divenute definitive, cioè con tre gradi di giudizio, con condanne e, quindi, con l'accertamento delle responsabilità penali, in cui è stata ricostruita in tutti i suoi aspetti e in tutti i suoi passaggi, anche geografici, quella che mediaticamente è stata definita la «trasferta» di Bernardo Provenzano nel territorio di Marsiglia per sottoporsi a un'operazione chirurgica.
MARIO MICHELE GIARRUSSO. Con la carta di identità di Troia ?
MICHELE PRESTIPINO GIARRITTAprocuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. Sì, esattamente quella. Quella vicenda è stata ricostruita – passatemi il termine – minuto per minuto e tutti i soggetti coinvolti protagonisti che hanno commesso reati sono stati condannati con sentenza passata in giudicato grazie alle intercettazioni, alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia e agli atti acquisiti con una rogatoria presso l'autorità giudiziaria di Marsiglia, alla quale ho personalmente partecipato. Noi abbiamo sentito, con i colleghi francesi, i medici e il personale infermieristico. In più, abbiamo acquisito le dichiarazioni, estremamente collaborative, di una donna che è stata legata a uno degli uomini che avevano organizzato la trasferta e che ha curato e assistito personalmente, spacciandosi per una nipote, il signor Troia, in realtà Bernardo Provenzano, quando è stato ricoverato in terra di Francia. Ebbene, nella ricostruzione – abbiamo sentito chi lo ha assistito, chi l'ha operato, chi ha fatto il prelievo; abbiamo potuto estrarre anche il profilo del DNA, perché all'epoca Bernardo Provenzano, quando abbiamo eseguito questa rogatoria, a giugno del 2005, era ancora latitante – di tutti questi fatti, dalla partenza, proprio con orario e data, al ritorno, con orario, data e riconsegna delle valigie di Provenzano, non c’è mai stata traccia di Attilio Manca.

 

«…fu la volta del collaboratore di giustizia barcellonese Carmelo D'Amico. […] D'Amico, sentito dalla direzione distrettuale antimafia di Messina sul conto di Rosario Pio Cattafi, ha dichiarato che Attilio Manca è stato assassinato dopo che, per interessamento di Cattafi e di un generale legato al circolo barcellonese Corda Fratres, era stato coinvolto nelle cure dell'allora latitante Provenzano

(dalla relazione di minoranza sulla morte di Attilio Manca, febbraio 2018)

 

Questo lo dico come dato di fatto. Mi sento in dovere di precisarlo”.

aveva riferito che, nel 2007, durante un periodo di comune detenzione, un mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto, Giuseppe Gullotti, gli avrebbe raccontato che un uomo della propria cosca avrebbe ammazzato un giovane «oncologo» di Barcellona che aveva visitato Provenzano in «Svizzera» per problemi alla prostata.

 

Tali dichiarazioni de relato, valutate dalla Commissione, suscitano qualche perplessità, non solo per l'imprecisione del racconto (per i riferimenti all’«oncologo» e alla «Svizzera») ma anche perché Gullotti, sia all'epoca dei viaggi di Provenzano a Marsiglia, sia all'epoca della morte del Manca, era detenuto.


Inoltre, Setola, nel corso di un interrogatorio reso alla procura della Repubblica di Napoli l'11 ottobre 2014, affermava che solo a partire da tale data egli stava intraprendendo una collaborazione con la giustizia, mettendo in dubbio la portata delle dichiarazioni rese in precedenza; il successivo 27 ottobre 2014 smentiva quanto prima dichiarato in ordine ad attentati programmati nei confronti di magistrati; il successivo 11 novembre 2014, revocava la volontà di collaborare con la giustizia.


Anche su sollecitazione dell'avvocato Antonio Ingroia, come da questi riferito alla Commissione, giungevano poi, all'esame della procura della Repubblica di Roma, altre propalazioni di dichiaranti che potevano essere astrattamente utili per una diversa ricostruzione dei fatti per come finora riportati.
La Commissione, tuttavia, non ha ritenuto né opportuno né proficuo svolgere, su tali rivelazioni, accertamenti paralleli e coevi rispetto a quelli dell'autorità giudiziaria.

  

Risulta peraltro che la procura della Repubblica di Roma ha presentato richiesta di archiviazione del procedimento. Sarà, dunque, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma a chiarire se siano stati acquisiti elementi che permettano una ricostruzione dei fatti in termini di omicidio di matrice mafiosa.

 

1.5 – Conclusioni

Dall'esame degli atti finora disponibili, deve concludersi che, allo stato, non si evidenziano elementi sufficienti per ribaltare le risultanze raggiunte sino a oggi dall'autorità giudiziaria.
Deve tuttavia segnalarsi che le indagini svolte dalla procura della Repubblica di Viterbo, pur addivenendo a una ricostruzione aderente alle complesse risultanze investigative, furono svolte in maniera superficiale – tanto che le istanze degli inquirenti sono state oggetto di diversi rigetti e di sollecitazioni probatorie del giudice – né si conclusero, specie dopo le varie opposizioni della difesa e l'esplosione mediatica del «caso Manca», con un provvedimento articolato contenente una lettura organica e ragionata di tutto il materiale probatorio sì da fugare ogni dubbio.

 

Allo stesso modo, la consulenza del medico legale, che, sin dall'inizio, avrebbe dovuto essere dirimente, è stata caratterizzata da gravi lacune e superficialità, che sono peraltro state confermate dalla stessa procura della Repubblica di Viterbo dinanzi alla Commissione e che hanno reso necessario richiedere integrazioni e delucidazioni e che hanno certamente contribuito ad alimentare incertezze e ipotesi alternative. 

 

 

Relazione sulla morte di Attilio Manca

 

Approvata dalla Commissione nella seduta del 21 febbraio 2018

Comunicata alle Presidenze il 22 febbraio 2018 

 

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