La sanità pubblica dopo il covid: riflessioni e suggerimenti

La tragedia della pandemia Covid ha evidenziato la fondamentale importanza del Servizio Sanitario Nazionale, ma anche le tante sue problematicità e ne ha fatto risaltare le molte carenze e suggerito la necessità di un ripensamento culturale e organizzativo per rispondere ai bisogni di salute della popolazione.

La sanità pubblica dopo il covid: riflessioni e suggerimenti

Una delle prime conseguenze della pandemia è stata che le disuguaglianze di salute sono state rilevate e acutizzate. La situazione pandemica, infatti, ha comportato un peggioramento delle disuguaglianze economiche e sociali che, a loro volta, determineranno un peggioramento delle disuguaglianze di salute, alimentando un circolo vizioso potenzialmente senza fine.

Per ridurre le disuguaglianze di salute bisogna agire sui determinanti di salute (comportamenti personali e stili di vita, condizioni di vita e di lavoro, accesso ai servizi sanitari, condizioni generali socio-economiche, culturali e ambientali, ecc.) e ricostruire un sistema sanitario equo che abbia al centro la dimensione sociale della salute.

L’approccio imperante all’interno del sistema sanitario prevede un trattamento puramente sanitario e una relazione di cura medico-paziente passiva. Questo approccio patogenetico (individuare il sintomo e concentrarsi su quello) dovrebbe essere integrato con un approccio sistemico e salutogenico (considerare la storia della persona e il suo vissuto personale, le risorse personali, culturali e sociali del soggetto, coinvolgendolo maggiormente nella relazione di cura, e del suo ambiente di riferimento). Inoltre, dato che la salute non è solo un diritto individuale ma è anche un bene collettivo, i cittadini e la comunità dovrebbero essere coinvolti maggiormente nella gestione della salute pubblica e si dovrebbe investire di più in promozione della salute.

In Italia le cure sono centralizzate a livello di ospedale a discapito delle cure primarie e delle strutture di territorio. Le leggi che si sono succedute nel tempo per ridimensionare il ruolo dell’ospedale (l’ultima nel 2012 con il Governo Monti), non hanno mai portato ad un buon esito. Le cause di questa “dipendenza dall’ospedale” si possono riscontrare ad un livello istituzionale: le strutture ospedaliere sono infatti incardinate da molto tempo nel sistema e anche nelle differenze di formazione e di posizione giuridica tra i professionisti che lavorano negli ospedali con quelli che lavorano sul territorio (personale dipendente i primi e liberi professionisti i secondi).

La pandemia ha messo in evidenza i limiti di un sistema schiacciato sugli ospedali, per cui nel prossimo futuro si dovrebbe investire nella costruzione di una rete di servizi territoriali di prossimità e di comunità.

Occorre, dunque, cambiare approccio e sostenere una medicina territoriale e di comunità e una medicina dell’iniziativa, ossia che vada incontro ai più vulnerabili e ai più fragili che, solitamente, fanno più fatica a rivolgersi ai servizi, rimanendo fuori dal sistema di cura. Una medicina di iniziativa ha un approccio proattivo e va verso i cittadini individuando e affrontando i problemi prima che si manifestino.

È bisogna investire con forza in educazione e promozione della salute. L’approccio alla salute che si basa sulla prevenzione delle malattie e sulla promozione della salute, infatti, è stato finora scarsamente applicato dal sistema sanitario e si continua ad investire maggiormente nella cura e nel trattamento delle malattie. La privatizzazione delle prestazioni sanitarie rappresenta una causa della mancata prevenzione, i privati non hanno convenienza nella prevenzione. Il problema di quella che è definita “pseudo prevenzione”, ovvero le visite a ripetizione in pazienti ancora in gran parte sani, offerte dalle assicurazioni ai grandi gruppi industriali con grandi quantità di soldi che passano di mano generando risultati di scarso significato clinico e che non riducono davvero i costi a carico del servizio sanitario nazionale. Bisogna insistere su due concetti: la prevenzione non è un’attività medica ma deve coinvolgere tutta la società e la prevenzione deve iniziare dalla scuola materna e deve continuare per ogni ordine e grado. Questo settore, per essere rilanciato, ha bisogno di maggiore autonomia operativa, in particolare di: disporre di équipe multidisciplinari di professionisti radicati nelle comunità e in grado di comunicare con tutti gli altri attori rilevanti (servizi sanitari e sociali territoriali, scuola, luoghi di lavoro..); investire sulla partecipazione dei cittadini e delle comunità; investire nella cultura e nelle arti come fattori che contribuiscono al benessere; operare in termini di equità, rivolgendosi ai gruppi più vulnerabili e marginali; adottare una prospettiva life course, rivolta a tutte le fasi della vita; adottare una prospettiva di riequilibrio ecologico, operando a diversi livelli territoriali e in diversi settori di politiche.

Il sistema andrebbe anche riformato per occuparsi maggiormente di ambiente. La stretta interconnessione e interdipendenza tra ambiente e salute attualmente non viene ancora presa in considerazione e affrontata. I sistemi che si occupano di salute (ASL) e quelli che si occupano di ambiente (ARPA) sono, infatti, enti separati che non comunicano molto tra di loro. Per riconnettere questi due settori, all’interno del SSN si potrebbe: istituire un settore dedicato all’ambiente all’interno delle ASL, prevedere delle certificazioni rispettose dell’ambiente per procedure e dispositivi, creare gruppi di lavoro in collaborazione con le ARPA.

Mino Dentizzi