Lotta alla pedofilia, ci sarà giustizia?

Durante il mese di maggio ricorrono anche due importanti giornate sul fronte della difesa dei più deboli e indifesi, i bambini: la giornata dei «Bambini vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’indifferenza contro la pedofilia organizzata» e la «giornata dei bambini scomparsi». Non possiamo quindi che concludere questo mese con un approfondimento sulla squallida vergogna della pedofilia e di ogni violenza contro l'infanzia.

Lotta alla pedofilia, ci sarà giustizia?
copertina del libro

Ethan Paz era un bambino statunitense di 6 anni, il 25 maggio 1979 è scomparso senza mai più tornare a casa. La sua storia scosse le coscienze, la grande mobilitazione popolare per cercare di ritrovarlo portò all'introduzione nel 1983 di una giornata internazionale per tutti i bambini scomparsi.

Un dramma immenso che si ripete negli anni coinvolgendo tutti i continenti: solo nel 2019 sono scomparsi negli Stati Uniti 421.000 bambini, in India oltre 111.000, in Italia 8.331 di cui 2.955 italiani e 5.376 di altra provenienza geografica.

Il mese di maggio è iniziato con un'altra importante giornata in difesa dell'infanzia: la XXIV Giornata per i bambini vittime della violenza, dello sfruttamento e dell'indifferenza contro la pedofilia organizzata conclusa il 3 maggio e iniziata il 25 aprile.

La pedofilia non si è mai fermata: «in piena pandemia (solo nel mese di marzo e inizi aprile)  Meter ha documentato e denunciato alle forze dell’ordine una crescita allarmante delle chat degli orrori: più 40 - è stato l'allarme di don Fortunato Di Noto, fondatore dell'associazione Meter che da tanti anni documenta e denuncia i crimini pedofili - Le segnalazioni che Meter ha inoltrato alle varie forze di polizia in diversi Stati del mondo sono aumentate del 40% durante il lockdown», «Sono 178 (con una crescita del 40%) le segnalazioni che Meter (dal 1° marzo al 17 aprile) ha inoltrato non solo alle forze di Polizia, sia italiana che estera, ma anche a vari server provider sparsi in tutto il mondo - ha reso noto l'associazione -. Le chat sono state 234 con profili sospetti in varie piattaforme; migliaia di decine di video e basti pensare solo a due segnalazione contenenti 34.252 foto che corrisponderebbero a circa 30mila bambini già vittime di violenze sessuali».  

L'emergenza sanitaria dovuta alla pandemia covid19 ha riacceso i riflettori sulla situazione carceraria italiana, nel decreto «Cura Italia» a marzo è stato varato un provvedimento governativo con il quale chi deve scontare un basso residuo di pena e non ha commesso reati particolarmente gravi e pericolosi è stato stabilito vada ai domiciliari o in affidamento ai servizi sociali. Ha destato scalpore che tra coloro che hanno avuto accesso a tale provvedimento c'è stato anche un ex prete (ridotto allo stato laicale) lombardo che stava scontando un residuo di pena per otto casi di abusi su cinque minori.

All'inizio dell'anno altrettanto clamore ha suscitato la vicenda di un ex parroco accusato di abusi sessuali la cui vicenda processuale si è conclusa nei meccanismi burocratici e farraginosi dell'amministrazione della giustizia in Italia. Condannato in primo grado ad un anno e dieci mesi per prostituzione minorile senza attenuanti generiche e senza sospensione condizionale della pena, verdetto confermato nel 2018 in appello, davanti la Corte di Cassazione è diventato materia più per tecnicismi giudiziari: nella sentenza della Suprema Corte è stato respinto il ricorso dei legali sulla responsabilità del prelato e sul non riconoscimento delle attenuanti generiche ma è stato accolto quello per il non riconoscimento della sospensione condizionale, si è creato così un «valido rapporto di impugnazione» e quindi è scattata la prescrizione, maturata undici giorni dopo la sentenza d’appello emessa il 20 giugno 2018.

Ma i tecnicismi e i cavilli non sono finiti qui perché se i reati fossero stati accertati qualche anno più tardi la prescrizione sarebbe maturata più tardi: la legge Orlando del 2017 fornisce 18 mesi in più in casi come questo mentre la legge Bonafede, entrata in vigore all’inizio di quest’anno, l’avrebbe direttamente bloccata dopo la sentenza di primo grado.   

A fine gennaio la Procura di Prato ha reso noto che un frate e tre religiosi, tutti appartenenti ad una comunità soppressa dal Vaticano a dicembre, sono indagati per violenza sessuali su minori e di gruppo.

Le indagini sono partite dopo un’inchiesta penale canonica nei confronti di alcuni membri della comunità e a dicembre il vescovo Giovanni Nerbini aveva presentato alcune denunce ai magistrati italiani. «Già Papa Benedetto XVI era stato molto fermo e duro. Poi Papa Francesco ha fatto seguire una serie di provvedimenti che aiutano a fare chiarezza e a ricercare la verità» ha dichiarato pubblicamente dopo la notizia dell’inchiesta penale lo stesso vescovo. Il riferimento è alla decisione, resa nota il giorno del compleanno di Bergoglio, della cancellazione del segreto pontificio per le cause di pedofilia nella Chiesa Cattolica con l’invito alla massima collaborazione con le autorità civili.

Un atto che è apparso fortemente rivoluzionario, una svolta rispetto al passato e che viene dopo decenni di scandali e tribolazioni. Tralasciando quanto accaduto nel recente passato, notizie ancora nella memoria pubblica, emblematico rimane il caso della diocesi di Los Angeles che – dopo aver nascosto cosa accadeva al suo interno per moltissimi anni – nel 2004 concordò un risarcimento di 100 milioni di dollari a 87 vittime di abusi da parte di membri della stessa diocesi, tra cui alcuni commessi dal vescovo Salazar (all’epoca prete in una parrocchia) che lo ha portato un anno nel 2018 alle dimissioni.

Nello stesso anno, dopo che nel frattempo già nel 2007 sempre la diocesi di Los Angeles aveva dovuto sborsare 660 milioni di dollari in favore di 508 vittime, la diocesi di St. Paul e Minneapolis risarcì a 450 vittime di abusi sessuali oltre 210 milioni di dollari.  

La decisione di dicembre cancella la direzione imposta finora dal Vaticano di cui un testo fondamentale è la «Crimen sollicitationis» emanata dal Sant’Uffizio nel 1962, che imponeva il segreto da parte delle autorità vaticane e quindi l’impossibilità di denunciare ai tribunali degli Stati e l’ottenimento della giustizia penale.

Una interpretazione che, soprattutto dopo la messa in onda da parte di Santoro ad Annozero di un documentario della BBC realizzato da un ex vittima di abusi, da sempre viene contestato da ambienti cattolici e conservatori. Al di là delle interpretazioni giuridiche e dottrinarie un fatto appare incontrovertibile: il vento è cambiato solo negli ultimi lustri e solo a partire dagli anni duemila le vittime hanno visto avanzare le possibilità di giustizia. E oggi queste discussioni, e quel controverso documento, appaiono relegati al passato davanti all’ultimo documento papale. O quasi perché il coordinatore del movimento di base Noi Siamo Chiesa, diffuso in tanti paesi nel mondo dove è anche un interlocutore presente nel dibattito pubblico al contrario dell’Italia e che tantissime volte si è espresso sul tema della giustizia per le vittime di pedofilia nella Chiesa, Vittorio Bellavite ha scritto una dura lettera ai vescovi italiani.

Parole che sono un durissimo atto d’accusa contro le gerarchie ecclesiastiche che, scrive Bellavite, dovrebbero riconoscere errori e ritardi nell’affrontare la questione, il «peccato di supponenza» nel «trascurare l’ascolto delle vittime e delle loro sofferenze» preoccupandosi «solo di evitare lo scandalo pubblico e il danno per la Chiesa», «la prassi di trasferire il prete pedofilo da una parrocchia ad un’altra (spesso sempre a contatto con minori) e di nasconderne o attenuarne le responsabilità presso le vittime ed i loro famigliari» che ha fatto prevalere le procedure amministrative nei confronti della giustizia e dei diritti delle vittime e che i vescovi italiani non hanno negli anni scorsi mai preso l’iniziativa in prima persona (al contrario per esempio dei loro colleghi tedeschi) per l’accertamento dei fatti.

«Da anni – scrive il coordinatore del movimento – ripetete di non conoscere le dimensioni del fenomeno» ma sono tantissime le notizie di processi e condanne (e fino al caso di Prato mai con denunce provenienti dalle diocesi) che i prelati dovrebbero contraddire con contestazioni precise (quando e se ci sono) e non con una insofferenza a presunti spiriti anti-ecclesiastici. Nella lettera Bellavite solleva una questione importantissima e, come dimostrano i casi di risarcimenti negli USA, di grande peso: l’assenza nelle Linee Guida in materia dei vescovi – alla luce del recente documento pontificio – di non citare minimamente i risarcimenti alle vittime.

«L’accompagnamento delle vittime previsto dalle Linee guida cosa significa? – chiede Vittorio Bellavite -  Può dare vita a tentativi di tenere a bagnomaria la vittima o sarà fondato anzitutto sul riconoscimento del torto subìto e su un aiuto di tipo psicologico e spirituale fatto da persone all’altezza di un tale difficile compito? Cercheremo di sapere se l’obbligo morale di denunciare alle autorità civili il prete pedofilo, sempre disatteso in passato, non sarà eluso in futuro con qualche ragionamento giustificativo  di teologia morale che è sempre possibile trovare».