Terremoto del 2009: nelle aule giudiziarie si cerca ancora giustizia

L’ultima udienza del processo «do ut des», su un presunto giro di mazzette, ha visto un nuovo colpo di scena: uno dei principali accusatori potrebbe diventare co-indagato. Mentre i familiari delle vittime della "Casa dello Studente" tornano in tribunale per difendere i propri diritti.

Terremoto del 2009: nelle aule giudiziarie si cerca ancora giustizia
La fiaccolata del 6 aprile 2017, fonte NewsTown

«Do ut des», una locuzione latina che riassume perfettamente il «Paese orribilmente sporco». Dare e avere, così tra trattative, zone grigie, corruzioni, clientele, cerchi di potere degli amici e degli amici degli amici la parte più corrotta, avida e mafiosa inquina e devasta l’arena pubblica d’Italia. E quel «Paese orribilmente sporco» L’Aquila l’ha conosciuto prima e dopo la maledetta notte del terremoto del 6 aprile 2009. Sono passati quasi undici anni, tanti fatti sono stati finiti nell’oblio e, in un articolo, non è possibile riportarli tutti. Ma non si può dimenticare che, come nella Casa dello Studente, ci sono persone morte sotto le macerie che non sono mai tornate a casa, che dovevano essere tutelate dallo Stato e, invece, alle famiglie sono state riconsegnate nelle bare. Fatti che non hanno mai trovato verità e giustizia, tra processi finiti in prescrizione o «che non costituiscono reati». Una ricostruzione che non ha ancora restituito la città intera e liberata, la militarizzazione e la gestione emergenziale (raccontata superbamente nel libro L’Aquila non è Kabul di Giuseppe Caporale) che divenne per anni il modus operandi, fino alle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. La comparsa di mafie e comitati d’affari vari, i progetti abitativi vantati nel mondo dalle istituzioni politiche ma che finirono nel mirino di inchieste giornalistiche perfino per i bagni chimici o gli isolatori anti-sismici. Ad onore di cronaca è doveroso ricordare che nei tribunali nulla è stato sanzionato. Nel gennaio del 2014 le indagini della squadra mobile del capoluogo abruzzese, in collaborazione con i colleghi di Perugia e Teramo, partendo dai lavori di puntellamento della sede del Rettorato, colpirono gli ex assessori comunali Pierluigi Tancredi e Vladimiro Placidi, funzionari pubblici e imprenditori accusati di un presunto giro di mazzette negli appalti del post-terremoto.

All’epoca l’inchiesta fece scalpore soprattutto perché il coinvolgimento dell’allora vice sindaco Roberto Riga della città )(che si dimise) rischiò di portare alla fine dell’amministrazione Cialente: il sindaco presentò le dimissioni, per poi ritirarle. Uno degli avvocati difensori Carlo Benedetti già nel maggio 2015 presentò un documento che secondo la linea difensiva smonterebbe il castello accusatorio: il 7 ottobre 2009 un atto assegnò gli appalti contestati ad una ditta diversa dalla Steda. Durante un’udienza nel maggio 2015 uno dei testimoni, Daniele Lago della Steda, affermò che dopo quella non assegnazione «mi garantirono comunque che mi avrebbero assegnato altri lavori sempre nell’ambito della ricostruzione. Posso riferire che nonostante le promesse non ho mai ricevuto alcun lavoro». Durante la deposizione affermò varie volte di essere convinto che per poter lavorare negli appalti della ricostruzione aquilana era opportuno pagare.

Il processo è ancora in corso, l’ultima udienza è stata caratterizzata da una novità inattesa:  Agostino Marcon della Steda, considerato finora il testimone chiave delle accuse rischia di diventare uno degli indagati. La sua deposizione nell’ultima udienza è stata interrotta dopo aver dichiarato di aver inserito personalmente i contanti in una confezione di grappa, utilizzata come mezzo di consegna di una presunta mazzetta a Riga, secondo il Tribunale la sua potrebbe essere una «notizia di reato» che lo renderebbe co-indagato. E intanto su tutto il processo (primo grado) grava il rischio della prescrizione. Al termine dell’udienza l’avvocato Antonio Milo, difensore di Pierluigi Tancredi, ha dichiarato che finora il processo non avrebbe «fornito alcun elemento a sostegno» delle accuse.  

Nelle stesse ore dell’udienza del processo «do ut des» si è tornato a parlare della lotta per la giustizia dei familiari delle vittime della Casa dello Studente: al centro la non ottemperanza della Regione Abruzzo a pagare i risarcimenti dopo le sentenze civili di primo grado. L’avvocato Wania Delle Vigne e la portavoce del comitato dei familiari Antonietta Centofanti (zia di Davide, strappato alla vita dalle macerie, insieme ad altri sette ragazzi) hanno dichiarato che la pazienza è finita e sono state avviate le azioni esecutive. La sentenza penale definitiva sul crollo della Casa dello Studente è stata emessa dalla quarta sezione della Corte di Cassazione l’11 maggio 2016 con la condanna a 4 anni per i tecnici autori dei restauri del 2000 Bernardino Pace, Pietro Centofanti e Tancredi Rossicone  e a 2 anni del tecnico dell’azienda per il diritto agli studi Pietro Sebastiani, assolti invece altri coinvolti. Nelle motivazioni della sentenza la Suprema Corte scrisse che l’edificio «era destinato a crollare in quanto ancora prima dei lavori di ristrutturazione eseguiti nel 2000, era stato totalmente, e pericolosamente, modificato rispetto al progetto originario e alla iniziale destinazione d’uso. Tuttavia i tre ingegneri che ne curarono la ristrutturazione nel 2000, e l’architetto responsabile del collaudo, avrebbero dovuto controllare i nuovi carichi di peso che gravavano sull’edificio e la tenuta statica, prima di eseguire gli interventi che avevano progettato e che hanno aggravato gli effetti del crollo». In un altro passaggio delle motivazioni in giudici scrissero «Se è vero che non è addebitabile agli imputati la realizzazione di una variazione di uso dell’immobile Palazzo Angelini, poiché essi lo trovarono già adibito, e da tempo a studentato, è altrettanto innegabile che essi subentrati, per così dire, in una situazione connotata da una variazione di uso, di fatto, ormai già realizzata da anni, hanno sicuramente trascurato che la Casa dello Studente è stata trasformata da edificio realizzato negli anni ’60, destinato ad abitazioni private, in una vera e propria struttura alberghiera, munita di tutte le relative dotazioni, che ne hanno palesemente stravolto l’originaria conformazione interna». La sentenza arrivò pochi mesi prima che scattasse la prescrizione (sarebbe intervenuta il 6 ottobre 2016).

Il 18 febbraio l'avvocato Wania Delle Vigne è stata audita dalla Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, dove è in discussione una proposta di legge per interventi economici a favore delle famiglie dei morti della terribile notte del 6 aprile 2009, insieme ai familiari di alcune vittime tra cui Alessandra Rambaldi, vicepresidente dell'associazione intitolata alla memoria della sorella Ilaria (tra le ragazze strappate alla vita la notte del sisma) che ha dichiarato «il silenzio verso i familiari delle vittime è assordante, ma anche vergognoso. Non si parla di soldi, ma di sentire uno Stato vicino. Questo silenzio è inaccettabile, però sono contenta di essere qui, finalmente dopo 11 anni qualcuno ci sta ascoltando». La madre di Alessandra e Ilaria, presidente dell'associazione, è l'avvocato Maria Grazia Piccinini che da anni porta avanti una fortissima battaglia per chiedere verità e giustizia su un'altra delle vicende più importanti legate al terremoto del 6 aprile 2009, quella sulla Commissione Grandi Rischi che si riunì qualche giorno prima e sulle rassicurazioni che arrivarono in quei giorni alla popolazione.