Una scelta dura, ma necessaria
da AMATRICE a PADOVA. «Come si vive una quarantena? Difficile o facile da dire non lo so, ma ti cambia le abitudini. Resti chiuso in casa, non vedi gli amici per un aperitivo, non puoi andare a fare una passeggiata».
Ciao Antonio ti scrivo...
Quarantena?
Che cosa fosse non lo sapevo in realtà fino al 20 febbraio. Ne avevo sentito parlare; avevo letto notizie sui libri di storia, ma sembrava una cosa veramente tanto lontana da me che dicevo “ma non la vivrò mai una quarantena”.
Invece eccola qui: 35 giorni che sono chiuso in casa, senza vedere nessuno se non quando esco a fare la spesa in estrema velocità.
Come si vive una quarantena?
Difficile o facile da dire non lo so, ma ti cambia le abitudini. Resti chiuso in casa, non vedi gli amici per un aperitivo, non puoi andare a fare una passeggiata.
Allora che si fa? Si sta a casa, ci si ingegna per occupare il tempo. Ma tanti mi dicono “è noioso fare sempre le stesse cose” la mia risposta? “spetta a te dare un senso alle cose che fai” si dare un SENSO.
Anche io faccio pulizie, cucino, lavo, stiro, prego… ma il senso dove è? Il senso sta nel valorizzare a pieno quello che fai e per chi lo fai. Noi siamo in due a casa quindi può sembrare facile, ma da soli che si fa? Beh le stesse cose con la forza e la gioia di farlo perché tu in primis stia bene.
Mi piacerebbe uscire, fare due passi salutare una persona amica, ma no non si può perché devo preservare me e gli altri da un eventuale contagio.
Una mia giornata tipo?
Suddivisa tra, preghiera, lettura, cucina e pulizie. Si in questa quarantena ho riscoperto la bellezza della preghiera personale, celebrare lodi e vespri, rosario quotidiano, sentire dentro me il desiderio di una comunione diversa con i miei fratelli cristiani di qualsiasi confessione.
Ho imparato a dire TI VOGLIO BENE e TI AMO senza avere paura, perché pensare che in ospedale ci sono persone, si persone e non numeri come il bollettino di guerra della protezione civile della sera, che non posso dire ai loro cari quelle due parole cosi corte ma dense di amore e significato.
Ultima cosa. Non è da meno la paura che questa pandemia ha scatenato: io sono originario di Amatrice dove ho la mia famiglia e vivo a Padova, però ho dovuto fare una scelta restare qui al nord mettendo al sicuro me i miei cari e quelli che, in un qualsiasi vagone di treno o in un pullman, potevo incontrare. Scelta dura, sofferta, ma necessaria.
Abbiamo aumentato le chiamate e valorizzato i mezzi social.
Per scelta non mi sono unito alle truppe dei balconi dove si canta e si balla, quello non è modo di essere uniti, né un segno di unità, a mio parere è solo segno di immaturità sociale dove non si ha rispetto di chi sta morendo e di chi si sta spaccando la schiena per salvare la vita dei contagiati. Voglio vedere se, finita la pandemia, saremo ancora cosi tanto uniti oppure ci si negherà il saluto incontrandosi per le scale dei nostri palazzi o nelle vie delle nostre città e paesi.
Questo tempo ci serva da lezione per riflettere e diventare più umani e tornare a dare valore alla nostra famiglia e ai valori che abbiamo purtroppo perso e che, però, sono sempre sulle nostre labbra, ma non nella praticità della vita.
Ciao Antonio, ci vediamo presto e chissà se non riesciremo, finalmente, a fare vivere il nostro progetto proprio giù a Casali di Sopra... un saluto da Padova.