Non è Stato mai

SENTENZA VALANGA RIGOPIANO/L’ultima (in)giustizia. Quando la si smetterà con le finte indignazioni e gli ancora più falsi shock e si avrà il coraggio di non intrupparsi nel gregge per poi diventare leoni da tastiera quando è di moda o fa comodo?

Non è Stato mai
Il Fatto Quotidiano, 21 gennaio 2017

Tragedie, disgrazie, drammi. Quante volte sentiamo e leggiamo queste parole?

L’Italia è il Paese delle sfortune, dei fatti che appaiono sempre cadere dal cielo. Sempre colpa del fato, sempre una sfortunata, sempre una disgrazia improvvisa.

E puntualmente, ad ogni occasione, si ripropone durante e dopo lo stesso identico copione. Antonio Gramsci ammoniva che la storia si ripete sempre due volte, la prima in tragedia e la seconda in farsa. E quando la seconda è ampiamente superata e siamo ormai a decine e decine? Come dovremmo chiamarla questa commedia dell’arte, questo teatrino (o)scenico?

Sono passati alcuni giorni dalla sentenza sulla valanga che colpì l’albergo Rigopiano-Gran Sasso Resort uccidendo ventinove persone.

Se non per colpe considerate lievi assoluzione quasi totale per gli imputati. Se la rabbia e l’indignazione dei familiari è sacra e sacrosanta (e con loro di chi ha veramente mantenuto in questi anni una coscienza e una schiena dritta) ben altri lai suonano a dir poco beffardi e offensivi. In pochi mesi è la seconda volta per l’Abruzzo, la regione camomilla che fa finta di credersi isola felice, che si ripete lo stesso copione.

Era già accaduto lo scorso autunno quando una sentenza stabilì che le vittime del terremoto del 6 aprile 2009 erano colpevoli (ma parzialmente, al 30%) della loro morte. E nuovamente abbiamo visto tornare in azione i soliti partigiani del 26 aprile.

Quelli delle disgrazie non prevedibili, delle tragedie che «ma non ci si poteva far nulla» e amenità simili. Peccato che esista una cosa che si chiama prevenzione, esistono mappe, cartine, provvedimenti, istituzioni, strumenti per prevenire le eventualità, per difenderci. Se un auto ci tampona ovvio che fino a mezzo secondo prima non potevamo saperlo ma esistono le assicurazioni, gli airbag e le cinture di sicurezza. Orbene, anzi or male, airbag, cinture di sicurezza e non solo esistono.

Per i terremoti e per le valanghe. Altrimenti per quale motivo sono in piedi «commissioni grandi rischi» e «carte valanghe»? Per sport? Per imbrattare carte? Per divertimento? Nossignori. E questi strumenti non calano dal cielo come manna, non sono regali da entità aliene. Eppure, dopo il terremoto del 6 aprile e la valanga di gennaio 2017, guai ad alzare la testa, guai a porsi domande, guai a chiedersi quali responsabilità c’erano. Le accuse di sciacallaggio, i «non è il momento» (quando è il momento di grazia? A furia di sentire «non è il momento» e simili stiamo diventando più che vecchi) e simili roteavano come clave.

La sentenza dei giorni scorsi ha già avuto un prologo ormai persino distante nel tempo. Quando le alte sfere regionali, nonostante l’assenza della carta valanghe (e non solo), erano state già sollevate da tutte le accuse.

Mentre questo processo è stato tirato avanti, tra rinvii e sospensioni, per anni e anni. L’inchiesta era stata chiusa nel 2018, la sentenza è arrivata oltre quattro anni dopo. Ma in questi anni i cantori del «la giustizia in Italia è troppo lenta, dobbiamo riformare la giustizia!!!» sono rimasti papere mute.

Esattamente come tali papere hanno abbondato quando le alte sfere sono uscite e quando sono emerse ancora una volta assenze e mancanze. Sempre carta valanga docet ma non solo. L’indignazione e la rabbia dei familiari è sacra e sacrosanta e, dopo anni di battaglie e denunce lasciati soli dalla società (in)civile, non può essere confusa e soffocata dalle papere mute a comando, dai comodi leoni da tastiera sempre pronti ad omaggiare ras e menzogne in questi anni per ora fare i falsi ed ipocriti indignati. In cui abbondano anche coloro che hanno imbrattato chilometri di carta e rotto i timpani (e non solo quelli) per anni e anni con le menate giustificazioniste e pacchetti preconfezionati su cosa (non) è accaduto.

Prima di Rigopiano abbiamo avuto il terremoto aquilano, la mega discarica di Bussi e altri «disastri ambientali» (qualcuno si è accorto che esiste un processo per l’acquifero del Gran Sasso in corso?), processi per mafia e l’elenco potrebbe continuare.

La memoria (smemorata) viene esercitata con le solite litanie: dov’ero nei giorni della nevicata di gennaio 2017, dov’ero il giorno del terremoto e simili. Non basta, è memoria parziale e omissiva. Le domande da porsi devono essere altre.

Dov’ero mentre emergeva l’assenza della carta valanga? Dov’ero ad ogni normativa acconciata e aggiustata all’occasione? Dov’ero mentre emergevano catene di responsabilità e fallimenti? Dov’ero ogni volta che la politica è stata clientela e «mo l’aggiustiamo» mentre tutto veniva smantellato? Dov’ero mentre soldi pubblici che dovevano servire per la prevenzione e la sicurezza finivano altrove? Dov’ero ogni volta che nella perenne campagna elettorale per compiacere i soliti noti si affermava che bisogna snellire gli iter derogando e abbattendo i vincoli idrogeologici e ambientali? Dov’ero nelle settimane successive la nevicata e la valanga c’era chi si opponeva al masterclan? Dov’ero mentre L’Aquila diventava Kabul (parafrasando il titolo del libro-denuncia, puntuale e documentato, di Giuseppe Caporale sui mesi nelle tendopoli) ed emergevano inchieste su inchieste sul progetto CASE? Dov’ero mentre si realizzava un mega elettrodotto (picchiando anche persone anziane che si opponevano all’esproprio di terreni frutto di una vita di sacrifici) che secondo lor signori avrebbe impedito qualsiasi futuro black out in Abruzzo? E le domande potrebbero essere ancora decine e decine se non di più. Le risposte vere e non scusanti indegne e indecenti dovrebbero far impallidire e sprofondare dalla vergogna fin troppe persone.

 

La valanga di Rigopiano del 2017 e le memorie a comando

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Le vittime la morte se la son cercata, per lo Stato è colpa fidarsi dello Stato

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