Le vittime la morte se la son cercata, per lo Stato è colpa fidarsi dello Stato

La recente sentenza civile sul terremoto del 6 aprile 2009, la memoria degli incoscienti pesci rossi e una vergogna che prosegue da tredici anni peggiorando sempre più.

Le vittime la morte se la son cercata, per lo Stato è colpa fidarsi dello Stato

Si racconta che i pesci rossi hanno memoria da un lato all’altro della boccia d’acqua in cui sono immersi. Poi cancellano e ripartono cancellando tutto. Vedendo la meschina teatralità di quest’incosciente Paese senza memoria i pesci rossi appaiono avere una memoria titanica. Il Paese senza memoria, delle papere mute e dei polveroni mediatici del momento. Poi la polvere cade, si deposita sul terreno e copre tutto. L’Italia è il Paese che adora e non sa vivere senza cerimonie e retoriche, funerali infiniti. Ed esattamente come in funerale tutti si stringono (e troppo spesso fanno finta) al dolore ma, alla fine, i familiari tornano a casa soli.

Sono passati tredici anni dalla maledetta notte del terremoto del 6 aprile 2009 a L’Aquila e, tra un anniversario e l’altro, continuiamo a vedere un buskashì tra supposte opposte fazioni politiche, fiumi di indignazioni à la carte utili per strumentali propagande, processi il cui lo Stato ha assolto se stesso, narrazioni strumentali e pompose e tanto, troppo altro. Memoria buona all’occorrenza ma scomoda nella sua realtà, così scomoda che si tentò persino di bloccare con mobilitazioni e raccolta firme la costruzione del Parco della Memoria. Nelle scorse settimane la sentenza in sede civile che ha affermato che il 30% di responsabilità della morte in quella notte è stata dei morti ha suscitato clamore e scalpore. Sentenza “shock” è stata la definizione più gettonata. Tutti urlanti, tutti improvvisamente presenti ed indignati, fumavano le tastiere.

Le stesse molto spesso che definirono il processo alla commissione “Grandi Rischi” un processo alla scienza, che portarono avanti una narrazione di quei fatti che semplicemente i fatti non sapevano neanche dove fossero. La sentenza di queste settimane ha aggiunto un ulteriore tassello a quella vergogna mediatica, sociale, politica: la commissione “Grandi Rischi” fu, ad eccezione del suo vicepresidente, assolta ma chi è morto è colpevole della sua morte perché ha creduto a quelle rassicurazioni. L’indignazione polverosa del momento a nulla serve, la giustizia chiede impegno vero, concreto, riflessione costante. Depositata la polvere, interrotta (o quasi) la canea delle papere mute e dei pesci rossi incoscienti, tutto questo va portato avanti. Andava fatto in questi tredici anni, va fatto ora e andrà fatto in futuro.

Lo Stato e le sue grancasse assolvono lo Stato ma considerano colpa credere nello Stato. Lo Stato ha affermato, in quell’aula di tribunale, che allo Stato non si deve credere, che non va ascoltato. E le vittime se la son cercata, se hai subito un’ingiustizia, se sei morto, la colpa è tua. Siamo nel trentennale delle stragi 1992-1993 di mafia, in quell’anno furono assassinati due giudici coraggiosi e in prima linea. Non furono i primi. Anni prima fu assassinato anche il giudice Rosario Livatino. Fu definito il “giudice ragazzino” e non era, al contrario di come fiction e articoli di certa stampa oggi vogliono far credere, un complimento.

No, fu un’affermazione carica di disprezzo e fastidio da parte della più alta carica dello Stato (e della magistratura). Se a Livatino succedeva qualcosa se l’era cercata. Così come uno dei “grandi vecchi” della prima repubblica disse riferendosi a Giorgio Ambrosoli. Se la son cercata nei decenni giornalisti, esponenti delle istituzioni, cittadini che hanno denunciato, documentato, che hanno detto l’indicibile. Prima delle stragi c’era chi si lamentava del rumore delle sirene delle scorte di Falcone e Borsellino. Se la son cercata le vittime di stupri e violenze, è colpa loro. E addirittura, pensate che criminali, c’è chi tenta successivamente di continuare a vivere, chi cerca di reagire.

Questo è stato, e continua ad essere nonostante l’Italia sia stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti Umani per aver sostenuto che una vittima di stupro se l’era cercata in tribunale. Se la son cercata, ora, anche chi si è affidato allo Stato, chi ha creduto alle rassicurazioni della “scienza” e (in)coscienza di determinati soggetti istituzionali. Non è accaduto tutto d’improvviso, è accaduto nel Paese che in questi anni ha chiuso gli occhi, ha sfruttato l’esistenza dei terremotati per le sue squallide propagande ma ha sempre condannato, ignorato, isolato, disprezzato l’impegno e la lotta dei loro familiari.

C’era chi poteva e aveva la possibilità di agire, ha sottolineato Liliana Centofanti su Il Fatto Quotidiano, e quindi “aveva il dovere di garantire la salvaguardia della vita di ciascuno”. “Chi ha responsabilità accertate in una società civile paga”, “non si può schiacciare tutto indistintamente” ed esistono “gli strumenti per impedire che la realtà in cui viviamo diventi una giungla: si scrive legge, si legge dignità”. “C’eravamo ieri e ci siamo oggi”, da ricordare se un giorno “per stanchezza fossimo tentati di girarci dall’altra parte” e perché la recente sentenza “irride tutti, non soltanto le vittime e noi familiari, ma tutta la comunità che quella notte dormiva in casa perché è così che si fa: di casa si vive, non si muore”.