Non esistono carnefici buoni, le vere intenzioni si svelano sempre

Manifestazioni, cerimonie, retoriche. Sull’8 marzo e sul «mese delle donne» anche quest’anno abbiamo visto di tutto. Passano le «giornate» e resta la realtà di donne molestate, abusate, violentate, assassinate ogni giorno. E nelle piazze incredibilmente cercano di far diventare protagonisti la stessa narrazione, le stesse falsità, la stessa società oppressiva che favorisce l’eterna pandemia patriarcale oppressiva e femminicida.

Non esistono carnefici buoni, le vere intenzioni si svelano sempre
fonte movimentodonne.com (ilaria di roberto)

Si avvia ormai alla conclusione anche questo mese di marzo, il mese che una narrazione mediatica e sociale nomina come «mese delle donne». Cercando la parola marzo sul motore di ricerca più utilizzato sul web addirittura la frase marzo «mese delle donne» viene proposto dal completamento automatico, a dimostrazione di quanto è una delle ricerche più diffuse. Lo stesso motore di ricerca in 0,43 secondi restituisce solo in italiano ben 68.500 risultati.

Come ogni anno questo marzo 2021 è stato costellato di cerimonie, manifestazioni, retoriche e tutto l’armamentario che vediamo in azione in ogni «giornata». Tante le iniziative più che apprezzabili ed importanti, soprattutto lontano dagli stantii circuiti istituzionali, in cui si è realmente denunciato e hanno dominato impegno serio ed autentico, autocoscienza e la lotta per la liberazione delle donne dal sistema di dominio e violenza maschile, misogino e femminicida. Questo mese di marzo, dopo una discussione sui grandi media scaturita da alcune prese di posizione, si è registrata una sorta di novità: uomini e associazioni maschili che sono scesi in piazza «contro i femminicidi e le violenze contro le donne», uomini che hanno manifestato «in scarpe rosse». Contro la «violenza sulle donne» è stato l’obiettivo di queste manifestazioni. Già con questa espressione guida non si è partiti col piede giusto (nonostante le scarpe) e sorgono dubbi: quest’espressione ha sottolineato Ilaria Di Roberto, ex vittima di violenza e cyberbullismo, attivista femminista radicale, scrittrice in un intervento sul sito web del Movimento Contro Ogni Violenza sulle Donne, «esclude infatti al livello semantico la radice del problema, più precisamente, gli artefici: all'interno della locuzione, gli uomini non compaiono e ciò é invalidante, poiché già la narrazione affida alle donne il compito di responsabilizzarsi, adottando le giuste precauzioni e lasciando intendere che il problema alla base di tale piaga siano appunto le donne».

L’idea alla base della manifestazione, continua la riflessione di Ilaria Di Roberto, «si riduce a questo: non fate del male alle donne perché sono deboli, non sanno quello che vogliono, piuttosto proteggetele perché hanno bisogno di voi e senza il vostro apporto non potrebbero che estinguersi.

Ancora una volta, la donna viene collocata in una posizione subalterna rispetto all’uomo; la stessa inferiorità che se andiamo ad analizzare il fenomeno nella sua fattispecie, si pone alla base del movente di ogni femminicidio. Un movente che risiede proprio nella frazione "in quanto donna", ancora troppo lontana dalla nostra comprensione, non ancora alla portata di tutti. Cos'è successo, dunque? Che aderendo al ruolo sociale assegnatogli "in quanto uomini", essi "in quanto uomini" sono scesi in piazza muniti di tacchi rossi, pronti a gridare "al femminicidio" e avvalorando ancora una volta il modello stereotipico affibbiatogli. Quali modelli? Innanzitutto la concezione secondo la quale, un uomo che si adopera per una mobilitazione che contrasta la violenza, rappresenti una "specie rara", a causa del cui apporto dovremmo sentirci in dovere di discostare l'attenzione dalla stragrande maggioranza degli uomini che invece commettono violenze perché "tanto ci sono loro a manifestare con noi"».

«A fronte del numero indeterminato di femminicidi, continua a diffondersi a macchia d'olio, divenendo sempre più acclamato ed idolatrato da chi si limita a pensare in piccolo e vive nell'erronea convinzione che il genocidio femminile, possa essere sostituito dall'intento benefico di pochi, distogliendo così l'attenzione dalla struttura che detiene il potere e ci esula dall'autodeterminazione – denuncia Ilaria - attraverso l'ausilio di slogan romantici che ricordano di rispettarci in quanto madri, figlie, nipoti, petali di rosa, tutto eccetto che donne. Mediante l'utilizzo dei medesimi sistemi propinati dal capitalismo machista, come la presenza dei tacchi rossi, tra l'altro simbolo di oggettificazione femminile. Grazie alla fraudolenta celebrazione della "rarità maschile", secondo la cui visione, il rispetto rappresenta un valore aggiunto, anziché la normalità».

Le donne non hanno più tempo «per ringraziare l'oppressore di concederci il rispetto, poiché il rispetto rappresenta un dovere morale non un privilegio – il grido della scrittrice, femminista radicale e vittima negli anni di una catena drammatica di violenze, molestie e cyberbullismo - Non abbiamo più tempo per omaggiare e venerare chi si finge sostenitore delle nostre battaglie attraverso l'ausilio di dettami a stampo paternalistico, ma di scuotere ed invogliare le coscienze e gli uomini ad approfittare del potere che detengono all'interno di questa struttura fallocrate per delegittimare il loro predominio, mediante la pretesa di leggi più severe a danno del loro stesso genere».

Spulciando le cronache si scopre che tra gli organizzatori di queste marce ci sono state anche associazioni di «padri separati» al grido di «siamo contro la violenza sulle donne perché anche noi siamo vittime di violenza». Sono le stesse associazioni che da anni nei tribunali cercano di affermare l’idea che uomini violenti e che si credevano padroni di mogli/fidanzate/conviventi possono pacificare i rapporti e condividere l’affido dei figli, che cercano di far passare il concetto che sono le donne maltrattate ad esagerare, se non inventarsi, quanto subito e che gli uomini maltrattanti sono «vittime» di persecuzioni. Violenza contro di loro? Paragonare i femminicidi e le violenze quotidiane contro le donne a qualcosa, tra l’altro, che ad esser buoni è spesso solo presunto? È la stessa teoria che, in realtà, punta a screditare il femminismo e l’impegno contro il femminicidio con refrain tipo «maschicidio» e «ci sono anche donne che compiono violenze contro gli uomini».  La realtà è un’altra eppure queste teorie che favoriscono ed alimentano un sistema sociale oppressivo e violento maschilista continuano a diffondersi anche tramite insospettabili scenografie. Anche solo parlare di «maschicidi» è folle e contrario all’evidenza quotidiana, isolati casi che non costituiscono nessuna dinamica sociale non possono essere assolutamente paragonate ai femminicidi e ad ogni violenza maschile contro le donne. Il termine femminicidio, sottolinea in un altro intervento sul sito del Movimento Contro Ogni Violenza sulle Donne Ilaria Di Roberto, «viene utilizzato quando una donna viene uccisa da un uomo IN QUANTO DONNA, quindi sulla base di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale. I maschi non sono vittime in quanto maschi. Nessuno li uccide perché maschi o per ragioni riconducibili al loro ruolo sociale; diversamente da quanto accade per i delitti perpetrati a danno di gay, lesbiche, trans e donne di differenti etnie. Essendo quella delle donne una categoria oppressa sin dall'alba dei tempi, non è possibile apporre all'omicidio di un uomo, un appellativo divergente. Non esiste il maschicidio, così come non esiste l'eterofobia all'interno di una società costituita al 90% da eterosessuali». «In ambito sociale, non esistono teorie, leggi, diktat che puntino alla sottomissione degli uomini, a differenza di quanto accada per le donne. Basti pensare al famigerato "delitto d'onore" o allo stupro che un tempo si configurava come reato contro la morale anziché la persona; alle rivittimizzazioni espletate nei confronti delle vittime nelle aule dei tribunali o ai figli che vengono strappati dalle braccia delle madri che denunciano un marito violento etc. Avete mai sentito dire ad un uomo vittima di violenza "te la sei cercata"? O "com'eri vestito"? O ancora "potevi evitare di girare da solo di notte?"» la conclusione dell’intervento di Ilaria Di Roberto che sintetizza perfettamente la realtà e spazza via ogni menzogna.

 

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