«Una comunicazione povera di contenuti porta ad un nuovo fascismo»

L’EVENTO. «Sacrificare la vita per la verità?». Con queste parole è intervenuto Fausto Bertuccioli nel seminario “Comunicazione politica e uso dei media” tenutosi a Campobasso lo scorso 20 ottobre, presso la Sala “Enrico Fermi” della Biblioteca dell’Università degli Studi del Molise.

«Una comunicazione povera di contenuti porta ad un nuovo fascismo»
Nella foto, da sinistra, il giornalista Fausto Bertuccioli e i docenti dell’Unimol Guido Gili e Rebeca A. Papa

Come si fa il giornalismo? Ma, soprattutto, cosa è il giornalismo in Italia? L’argomento è stato trattato dall’Università del Molise, con il convegno dal titolo “Comunicazione politica ed uso dei media”, promosso dal Corso di laurea in Scienze della Comunicazione e dal Corso di laurea magistrale in Scienze politiche ed istituzioni europee (indirizzo comunicazione pubblica).

 

All’evento hanno preso parte, con gli indirizzi di saluto, i professori Guido Gili (Prorettore vicario) e Lorenzo Scillitani. L’evento è stato moderato dalla professoressa Rebeca Andreina Papa. La numerosa platea, formata soprattutto dagli studenti dell’Università molisana, ha ascoltato con interesse le parole del giornalista della Rai Fausto Bertuccioli, l’ospite invitato dall’Ateneo per affrontare la tematica della giornata.

Bertuccioli è vicecaporedattore del Giornale Radio Rai, redazione cronaca. Ha frequentato il primo biennio della Scuola di Giornalismo di Perugia e ha poi seguito il corso di Giornalismo Internazionale presso la Columbia University di New York. Ha seguito oltre alla guerra del Kosovo anche vicende della cronaca italiana degli ultimi anni.

 

Il mantenimento del consenso

Il mantenimento del consenso è il dilemma centrale del politico: devo fare quello che la gente vuole o quello che la gente non vuole ma io ritengo sia giusto? «Non dobbiamo mai porci il problema di chi ci ascolta – ha affermato il giornalista della Rai - e regolare il nostro discorso di conseguenza. Non dobbiamo pensare ad altro, dobbiamo semplicemente trasmettere una informazione, la più chiara e corretta possibile». Il vero giornalista - dice Bertuccioli - è chi capisce la notizia. «E non essere noi stessi la notizia».

Altro aspetto trattato è stato il “diritto ad essere informati”, speculare al diritto sancito dall’art. 21 della Costituzione (“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.”).

 

«Perchè se esiste il diritto di dire quello che si pensa c’è anche chi ha il diritto ad essere informato. Questo diritto è stato un po’, diciamo così, messo a terra dalla Corte costituzionale dal ’94 in poi, con una serie di disposizioni». Come, ad esempio, la tutela dei minori, il diritto alla rettifica. Ma anche la par condicio. «Questo fa parte non del diritto di dire, di esprimere il proprio pensiero, ma il diritto ad avere un’istruzione. Un diritto, soprattutto con l’ingresso in campo delle nuove tecnologie, un po’ più difficile da garantire».

 

Il tema specifico della giornata

«Nel 1989 cade il Muro di Berlino, nel 1992 abbiamo Mani Pulite. Cambia tutto e cambia pure la politica, ovviamente non può che cambiare anche la comunicazione. Ed arriviamo veramente a un punto fondamentale». La discesa in campo di Silvio Berlusconi, l’imprenditore milanese, che governerà – con qualche interruzione – per vent’anni questo Paese. «Il 26 gennaio del ’94 si registra la sua discesa in campo. Non entro nel merito, assolutamente. Ma è necessario accennare all’idea della cassetta: Berlusconi dice delle cose e questa cassetta arriva a tutte le testate. Questo è un primo passaggio fondamentale. Comincia ad esserci, con il parallelo processo della personalizzazione della politica, la fine dei partiti e l’arrivo delle persone. Cambia il sistema e arrivano nuove formazioni politiche. Arriva la personalizzazione della nuova comunicazione.»

 

E arriviamo agli inizi degli anni 2000, con il profondo cambiamento. «Massimo D'Alema, leader politico e anche presidente del Consiglio va in un programma in prima serata e fa vedere come prepara il risotto. La comunicazione passa attraverso le persone, passa attraverso anche una narrazione. Si travalica. Sembra quasi che la politica sia la prosecuzione della società dello spettacolo, piuttosto che lo spettacolo sia la prosecuzione della politica. Una strada a doppia carreggiata, una strada che va a doppio senso.»

 

I nuovi sistemi di comunicazione

Il processo di cambiamento della comunicazione, soprattutto attraverso i social media, ha investito in pieno anche la politica. L’esempio di Renzi, impegnato per la formazione del suo Governo, è emblematico.

«Parliamo del tweet che fece Matteo Renzi mentre era a colloquio con l’allora presidente della Repubblica. All’epoca ci furono dei problemi con la lista dei ministri e questo colloquio andò per le lunghe. I giornalisti cominciarono a rumoreggiare e Renzi cosa fece? Scrisse un tweet ai giornalisti. Saltò un passaggio. Creò un filo diretto da un ruolo istituzionale, nel momento in cui era a colloquio con il Capo dello Stato per la formazione dell’esecutivo. Questa è solo la descrizione di un fenomeno».

 

I rischi e la scelta

«Il giornalista rischia di impigrirsi. Questo sistema, a cui siamo arrivati, porta a fare meno fatica. Perché, chiaramente, si hanno mille modi per raccogliere le notizie. Ma cosa arriva? Cosa scelgo di veicolare. Questo è il tema che il giornalista affronta ogni giorno».

L’intervento del professor Scillitani: «dobbiamo rendere etica la comunicazione»

«Come diceva Kant, per formarsi una coscienza di cittadini occorrevano due fattori: la conoscenza della geografia e la lettura dei giornali. Se ha un senso approfondire la conoscenza della politica, della comunicazione, della comunicazione politica è perchè veniamo da una storia. Una storia preparata dai filosofi».

 

Il professore dell’Unimol, citando la filosofia, ha posto un quesito fondamentale quando si trattano queste tematiche: veniamo correttamente informati?

 

«Viene in mente un libretto, dal titolo “Contro la comunicazione” (Einaudi Editore), scritto da Mario Perniola, il quale si chiedeva che se nei corsi di laurea in scienze della comunicazione non poniamo questioni di verità e di ricerca della verità noi formiamo gli studenti alla propaganda e non alla comunicazione. Per cui una comunicazione povera di contenuti, riferisco la sua tesi, serve una sorta di nuovo fascismo. Non serve la verità. L’alternativa è servire la verità o l’ideologia. Ciò che differenzia la comunicazione politica dalla propaganda politica». Ma serve quello che il pubblico si aspetta o serve la verità alla quale i cittadini hanno diritto?

«Questo pone, oggi come oggi, una questione dirimente che non può essere elusa. È una visiona filosofica, centrale. Se la comunicazione politica è una comunicazione, anche di contenuti, allora noi possiamo tendere, all’interno del nostro lavoro, un piccolo servizio alla verità».         

 

Il ruolo del giornalista

Molti sono stati gli spunti emersi durante il seminario: «chi fa informazione può spiegare il chi, il dove, il come e il quando di un fatto, ma non sempre il perché. Deve lasciare il commento a terzi». Proprio nell’aver parlato del forte astensionismo elettorale verificatosi durante le elezioni politiche per il rinnovo di entrambi i rami del Parlamento italiano, Bertuccioli ha fatto presente come il giornalista può dare gli strumenti per capire cosa «c’è nel menù del giorno, mettendo le opzioni sul tavolo. Il commento non è compito del giornalista che può solo garantire la chiarezza e la trasparenza del processo».

Gli studenti del Laboratorio di Comunicazione Pubblica e Politica dell'Unimol