Covid19 e scarcerazioni, Maresca: «non si ripeta il caso Zagaria»

Emergenza nuovo coronavirus nelle carceri, disposte ancora scarcerazioni: l’Associazione Vittime del Dovere lancia l’allarme, nuovo «esodo» che mortifica «sfacciatamente il lavoro svolto dalle Forze dell’Ordine» e umilia «il sacrificio dei Servitori dello Stato». Intervista al magistrato anti camorra Catello Maresca.

Covid19 e scarcerazioni, Maresca: «non si ripeta il caso Zagaria»
ingresso sede DAP (dirittopenitenziario.it)

«In seguito all’emanazione da parte del Governo del decreto-legge 28 ottobre 2020 n. 137, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n.269, l’azione di contenimento del contagio Covid-19 nelle carceri italiane si traduce ancora una volta in un allettante esodo». Questo l’allarme lanciato nei giorni scorsi dall’Associazione Vittime del Dovere che esprime preoccupazione ed indignazione perché «anche in questa seconda difficile ripresa dell’emergenza sanitaria, invece di trovare soluzioni atte a limitare il contagio per salvaguardare la salute di agenti e detenuti» si ripete la scelta della scorsa primavera di scarcerazioni di massa. Una scelta, scaturita in larga parte dalla circolare del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di marzo che scatenò polemiche infuocate e il terremoto che portò alle dimissioni dei vertici. 

Questo nuovo provvedimento, secondo l’associazione, può «essere inteso dalla criminalità come un’implicita autorizzazione, da parte della collettività, di far passare e concedere sempre maggiori iniziative, ormai abituali e soprattutto sbrigative, di pseudo-indulto, che mortificano sfacciatamente il lavoro svolto dalle Forze dell'Ordine ed umiliano il sacrificio dei Servitori dello Stato». Preso «su iniziativa del Ministero della Giustizia, rappresenta inoltre l’ennesimo messaggio devastante perché, seppure involontariamente, si declina in una vera e propria autorizzazione a delinquere, considerando che la detenzione domiciliare, in un momento storico in cui gli Italiani e la gran parte dei cittadini del mondo è costretta a stare in casa a causa della pandemia in corso, è diventata la difficile quotidianità di tutte le persone oneste».

Il duro comunicato dell’Associazione Vittime del Dovere sottolinea che i dati del Ministero della Giustizia «registrano la presenza nelle carceri nel mese di febbraio 2020 di un numero di circa 61.230 detenuti e nel mese di settembre 54.277 con una netta flessione a maggio fino ad un numero 53.387 detenuti, dopo l’emanazione dei vari provvedimenti disposti dal Governo per emergenza Covid 19.

Tenendo conto di eventuali nuovi arrestati o di chi ha terminato di scontare la propria pena, parliamo perciò di migliaia di persone che non sono più in carcere». Secondo l’associazione «forse, sarebbe stato più opportuno rivedere il sistema della “sorveglianza dinamica” che, in questo periodo di elevato rischio di contagio, favorisce, nelle carceri a ‘custodia aperta’, focolai incontrollabili e rappresenta, senza dubbio, una delle cause più evidenti di propagazione del contagio. Questa modalità di lavoro penalizza particolarmente l’attività degli agenti della Polizia Penitenziaria, costretti a sorvegliare contemporaneamente decine di detenuti, i quali possono muoversi indisturbati da una cella all’altra nonostante le insidie del virus Covid19».

I «soggetti di alto profilo criminale e mafioso, anche in attesa di accedere alle misure carcerarie del 41bis – denuncia l’associazione - vista la ormai cronica indisponibilità di posto nelle carceri di massima sicurezza, possano scorrazzare per gli istituti penitenziari senza che per qualcuno ciò costituisca un pericolo serio o comunque una criticità da affrontare».

L’articolato comunicato dell’Associazione Vittime del Dovere, dopo aver esaminato la situazione e posto alcune importanti riflessioni, chiama in causa direttamente le più alte cariche dello Stato e rivolge «un ennesimo appello al Ministro Alfonso Bonafede e a tutte le Istituzione coinvolte affinché si valutino misure di contenimento e soluzioni che non sviliscano il prezioso lavoro dei servitori dello Stato e che garantiscano la certezza della pena affinché i cittadini non siano esposti ad ulteriori rischi».

Abbiamo intervistato sul tema il magistrato anticamorra Catello Maresca, a cui  abbiamo chiesto anche una riflessione sull’intervento di Nino Di Matteo, componente indipendente del Consiglio Superiore della Magistratura, durante la prima puntata della nuova stagione della trasmissione televisiva Non è l’Arena: i mafiosi «temono il carcere a vita, una detenzione troppo lunga o una detenzione con modalità tali da interrompere i loro rapporti con il mondo esterno, da metterli in condizione di non poter più fare i mafiosi mentre sono detenuti» e sulla questione scarcerazioni e la circolare del 31 marzo di condividere le parole di un altro componente indipendente del Csm, Sebastiano Ardita, «lo Stato ha alzato bandiera bianca» lanciando l’allarme che «il segnale di resa dello Stato è nei fatti». 

Dottor Maresca, condivide l’allarme del dottor Ardita e l’intervento di Di Matteo?

«Ovviamente non posso che condividere le esternazioni del consigliere Ardita, anche perché sono stato tra i primi a segnalare il rischio che si correva a sottovalutare la questione carceraria. Già all’indomani delle rivolte di inizio marzo posi con forza il problema che era stato fatto poco per fronteggiare l’emergenza. Eppure, quando denunciai la pericolosità della circolare del Dap del 21 marzo, pochi mi seguirono. Fortunatamente, poi, Di Matteo, Ardita e qualche altro hanno ripreso la questione. In questa occasione le istituzioni competenti non hanno dato certo dimostrazione di professionalità e lungimiranza. I pochi che hanno denunciato la gravità della situazione sono stati lasciati soli e sono diventati facile oggetto delle minacce dei mafiosi. Ma comunque l’importante è che alla fine si è messa una pezza, seppur tardiva. Altrimenti sarebbe stata una catastrofe».

Cosa si doveva fare per evitare questi segnali e cosa ora va fatto per cancellare questa sensazione, se di sola sensazione possiamo parlare? Quale valutazione dà dei provvedimenti di Bonafede dopo le scarcerazioni della scorsa primavera, su cui lei fu il primo ad esprimere preoccupazione e a lanciare appelli perché non avvenisse, soprattutto dopo le rivolte di inizio marzo? Quale bilancio mesi dopo, sono stati efficaci?

«È successo di tutto. Dimissioni, allontanamenti di dirigenti dal Dap, due decreti legge. Ma, purtroppo, la sensazione di aver assistito ad una delle pagine più brutte della lotta alle mafie nel nostro Paese, resterà per tanto ancora. Temo che l’antimafia abbia subito una pesante battuta d’arresto. Ci accorgeremo delle conseguenze nei prossimi anni, quando le inchieste della magistratura ricostruiranno gli effetti del ritorno, seppur temporaneo, sui loro territori di pericolosi mafiosi. Purtroppo, il danno, enorme, è stato fatto ed è stato soprattutto un colpo alla credibilità della lotta alle mafie in questo Paese. Il messaggio che è passato è che la magistratura con grande fatica fa arrestare i mafiosi ed altri, non si capisce neanche bene chi, li fanno uscire. E questo è un danno che si riparerà solo con altri decenni di duro lavoro».

Cosa sta accadendo in queste settimane in cui l’allarme covid sta coinvolgendo nuovamente anche le carceri? Lei ha lanciato di recente un appello perché non si ripeta quanto successo in primavera, quali provvedimenti si stanno prendendo e quale la sua valutazione? Quali i provvedimenti che andrebbero presi in questo momento e quali risposte si aspetta al suo recente appello? Quali reazioni ha registrato dopo questo suo appello?

«Oggi, a distanza di alcuni mesi dalla prima emergenza qualcosa sembra cambiato. Ne è dimostrazione, almeno tecnicamente, il contenuto del nuovo “ decreto svuotacarceri”, che tiene conto di alcuni suggerimenti, dati da alcuni di noi sulla base dell’analogo provvedimento di marzo. Il problema è che la situazione carceraria, salvo qualche eccellente intervento come quello su Milano, dove si è istituito, in collaborazione con la Regione e le strutture sanitarie competenti, un apposito reparto covid attrezzato, è rimasta sostanzialmente invariata. La scelta politica di curare i casi covid con isolamento in cella è molto pericolosa, perché le carceri già sono strapiene e non riescono a contenere un detenuto per cella. E ad oggi non sembra aver fermato il contagio che ha superato, compresa la polizia penitenziaria, le mille unità con tre morti. E, poi, mi sembra che manchi la programmazione per le cure dei detenuti affetti da altre patologie anche gravi, in un contesto dove gran parte degli ospedali prima utilizzati hanno sospeso le terapie ordinarie o sono stati interamente riconvertiti. Non vorrei si ripetessero casi come quello di Pasquale Zagaria».