«Donne che sfidano la tempesta» di Myrta Merlino

Tempo di pandemia, tempo di pestilenza. Chi l’avrebbe detto che il mondo delle certezze, del risolto, del benessere ostentato avrebbe trovato il suo vulnus nella distruttività di un virus che si diffonde a macchia d’olio e spartisce il dolore dell’umanità nell’isolamento delle case, comode, accoglienti o tra le pareti di un ospedale che pur avrebbe dovuto consentire una permanenza addolcita, nella sua veste di sofferenza, dal volto e dal sorriso delle persone care.

«Donne che sfidano la tempesta» di Myrta Merlino

Myrta Merlino, giornalista, autrice e conduttrice di programmi televisivi RAI, ci accompagna con il suo sguardo fermo e complice nella vita delle donne, prime eroine, in questa parentesi surreale dove ciascuno ha dovuto ridefinire la sua identità, le sue relazioni, la sua anima nella dimensione della precarietà, della solitudine e dell’isolamento .

L’universo femminile ha tracciato la strada per raccontare storie di resilienza, come quelle di Michela che vive nei pressi di Ferrara, infermiera che vede da vicino, come tutto il personale sanitario italiano, la devastazione nelle provincie romagnole e marchigiane dove opera. Proprio lei, in una breve pausa dal lavoro, il 21 marzo 2020 scrive una lettera sul suo profilo Facebook che diventa virale sui social, sui giornali, in televisione. La lettera, diretta a Conte, portava in se la rabbia e lo sdegno di una donna che lavorava nell’inferno per avere una ricompensa inconsistente, quei 1.000 euro di premio esentasse per gli operatori sanitari.

La voce di Ilaria Capua che “è la luce che colpisce l’iride nelle notti di nebbia: cerchi di seguirla, anche procedendo a tentoni. E sai che in qualche ti porterà oltre il bosco“.

La voce della scienziata che ha subito molto, scappata in Florida e che dice quanto la pandemia abbia fatto venire al pettine i nodi delle nostre fragilità, comprese quelle che non aspettavamo.

Ilaria parla dritto, perché pensa dritta è la schiena sulla sedia dello studio e del laboratorio di ricerca. Parla della sua ricerca denigrata come quella di un “veterinaio” come se il veterinaio non fosse un medico. Forse perché donna? E donna competente?

Da qui il colloquio intimo tra la Merlino e la Capua, l’amore per i figli e per i genitori, i nostri anziani che hanno vissuto duramente la pandemia e la riflessione amara di quanto i nostri anziani siano lasciati soli, con pensioni sociali irrisorie e con un servizio sanitario inefficace, ma anche un  abbandonarsi ad esso senza cercare di occuparci di noi attraverso esso.

Molte altre facce della stessa medaglia in questo viaggio nell’orrore della pandemia, della morte, del disorientamento come Luana morta a vent’anni a Prato ingoiata da una macchina industriale nel 2021. Ed ancora donne costrette a turni massacranti come Ljiuba inghiottita in turni massacranti per far arrivare a casa il più presto possibile i pacchi agli italiani. Anche questo è stato il Covid.

Tanti volti  che hanno un nome, ma che racchiudono le sofferenze di tutte le donne anche quelle non raccontate, ma che hanno prestato la loro opera in quel ruolo di madre, nonna, impiegata, infermiera, casalinga, scienziata e tanto altro.

La giornalista conclude con un ritratto delle sue nonne, testimoni della evoluzione, del tempo che passa e lascia il segno dell’amore di una nonna per una nipote. Scava la Merlino nella profondità dell’animo umano, del lutto, della piaga. La asciuga con le sue parole, la sua luce che l’ha portata a salvarsi proprio come tutte le donne del mondo non in ruolo preciso, quello di giornalista, mamma, nipote, ma quello dell’essenza legata alla esistenza della forza vitale che si adopera per ciascuna di noi e “sfida la tempesta”.