Il riciclaggio di danaro «sporco»

Una delle principali fonti di sostentamento delle organizzazioni mafiose è rappresentata dal riciclaggio di danaro cosiddetto sporco.

Il riciclaggio di danaro «sporco»

Il riciclaggio di denaro di provenienza illecita (ossia la riutilizzazione di denaro frutto di attività illecite in attività legali) è un’attività criminosa qualificata come reato dalla maggior parte degli ordinamenti penali nazionali e configurabile, da un punto di vista ontologico, come fenomeno economico-finanziario idoneo ad alterare l’ordinato assetto economico-finanziario e monetario di un Paese e, talvolta, di intere aree regionali.

Gli effetti prodotti dal riciclaggio sono nefasti.

Infatti, oltre a determinare  un calo del livello generale di benessere e  conseguenze negative sull’affidabilità reputazione delle istituzioni finanziarie esso determina, sul piano macroeconomico, fattori destabilizzanti l’assetto del sistema finanziario del Paese per la  volatilità dei tassi di cambio e dei tassi di interesse determinati da trasferimenti di fondi transfrontalieri non previsti, ripercussioni negative sul gettito fiscale e sulla ripartizione della spesa pubblica a causa di un’errata valutazione del reddito e della ricchezza, contaminazione delle operazioni legali dovute alla preoccupazione degli operatori di un loro possibile coinvolgimento in ambienti criminali e, segnatamente, distorsioni nelle decisioni politiche di governo.

I principi ai quali s’ispirano le norme di prevenzione e contrasto del riciclaggio dei capitali di provenienza illecita e di deterrenza del fenomeno del terrorismo sono rinvenibili in numerosi provvedimenti che testimoniano il grado di attenzione riservato dalla comunità internazionale nei confronti di tale tipologia di illeciti atti a sovvertire l’integrità del sistema finanziario.

Meritano di essere menzionati la risoluzione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del 1980 (Recomandation R(80)10), la Dichiarazione di Principi del Comitato di Basilea, emanata dal Comitato per la regolamentazione bancaria e le procedure di vigilanza, le delibere adottate a Vienna nel 1988 dalle Convenzioni delle Nazioni Unite adottate  contro il traffico illecito di stupefacenti e a Palermo nel 2000 contro la criminalità organizzata transnazionale, le Convenzioni del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, adottate a Strasburgo nel 1990 e a Varsavia nel 2005, le 40 Raccomandazioni elaborate dal Gruppo d’Azione Finanziaria - G.A.F.I. nel 1990, come novellate nel 1996 e 2003, che fissano gli standard di trasparenza e di tracciabilità dei movimenti di denaro a livello internazionale per impedire l’utilizzo dei mercati finanziari per scopi di riciclaggio, le direttive del Parlamento europeo e del Consiglio emanate nel 1991 (direttiva n.91/308/CE), nel 2001 (direttiva 2001/97/CE), nel 2005 (Direttiva 2005/60/CE), nel 2006 (Direttiva 2006/70/CE), nel 2015 (Direttiva (UE) 2015/849), nel 2018 (Direttiva (UE) 2018/843), nel 2019 (Direttiva (UE) 2019/1153).  

Ma vediamo adesso cosa s’intende per riciclaggio. Il fenomeno possiede un’architettura articolata e di non semplice individuazione.

Per riciclaggio s’intende il complesso delle attività tese al trasferimento o alla conversione di denaro e/o altri beni, allo scopo di occultarne o dissimulare la provenienza criminosa.

La complessità delle attività comporta il necessario svolgersi delle operazioni in un processo articolato in fasi che possono svolgersi ed esaurirsi in un solo Paese, ma anche coinvolgere ed interessare più Paesi.

La prima fase, denominata placement stage, consiste nel collocamento materiale dei proventi da reato nel sistema economico legale attraverso una qualsiasi operazione di deposito, cambio, trasferimento ovvero acquisto di beni.

Questo momento iniziale in cui avviene la trasformazione del denaro contante in moneta scritturale, rappresentata dai saldi attivi dei rapporti costituiti presso gli intermediari finanziari, è particolarmente importante se: 

verte su denaro contante, in quanto si affida ad un soggetto  l’incarico di entrare in diretto contatto con un intermediario o un operatore non finanziario. Ciò spiega il frequente ricorso alla tecnica del cosiddetto smurfing, ossia del frazionamento dell’operazione in più tranche, al fine di eludere i presidi della disciplina antiriciclaggio;

qualora sia già inserito nel circuito finanziario, deve essere trasferito su rapporti di conti correnti sicuri simulando il perfezionamento di contratti, operazioni societarie e/o finanziarie fittizie spesso con Paesi off-shore o paradisi fiscali.

La seconda fase, denominata layering stage, è finalizzata all’occultamento dell’origine ed all’eliminazione delle tracce contabili del denaro sporco, generalmente mediante il ricorso ad una pluralità di ulteriori trasferimenti.

È evidente come la sovrapposizione di una molteplicità  di operazioni finanziarie porti al lavaggio del denaro sporco.

La stratificazione dei passaggi rende, infatti, difficile la ricostruzione del paper trail (cioè della pista di carta che conduce dalla ricchezza apparentemente lecita, a ritroso, passaggio dopo passaggio, sino al reato da cui trae origine) da parte delle Autorità di controllo o delle Autorità inquirenti facendo sì che la ricchezza,  attraverso una copertura apparentemente legittima diventi anonima.

I metodi di layering sono, di fatto, molteplici e implicano (almeno per le grosse somme) uno o più dei seguenti elementi: il trasferimento internazionale dei fondi, le interposizioni societarie, attraverso la costituzione ed il finanziamento di soggetti giuridici tra loro interconnessi, dando luogo ad una vera e propria “cascata societaria”, la creazione di documenti falsi, tesi a simulare una origine lecita delle ricchezze.

L'elemento di massima pericolosità del layering, che si avvale anche dei mezzi dell’attuale tecnologia finanziaria, sta, oltre che nell’esistenza di schermature giuridiche e geografiche, anche nella velocità e nel numero elevato delle transazioni. Naturalmente il numero dei soggetti coinvolti e delle transazione finanziarie deve trovare un giusto equilibrio con i costi necessari di costituzione e mantenimento dei veicoli societari e le spese di trasferimento consistenti, ad esempio, nelle commissioni bancarie.

Vi è, infine, la fase dell’integration stage: il denaro ripulito (anche a mezzo di trasferimenti elettronici, modificazioni e transiti da un conto corrente ad un altro) è pronto per essere inserito/integrato nell’economia legale.

In sostanza, con questa fase si raggiunge l’obiettivo del processo di riciclaggio: i proventi "lavati" si integrano nei circuiti dell'economia in modo tale che questo ingresso appaia frutto di un’operazione finanziaria ordinaria, con fondi di provenienza pienamente legittima.

La ricchezza riemerge, soprattutto laddove si sia in presenza di patrimoni considerevoli, attraverso il coinvolgimento più o meno consapevole di intermediari e professionisti, talvolta anche esteri, che intervengono per regolare sotto il profilo giuridico l’impiego del denaro in investimenti di varia natura, non da ultimo per la costituzione di nuove società, ovvero per incrementare il capitale sociale di quelli esistenti.

 

Il reato di riciclaggio

Nell’intento di impedire che, una volta verificatosi un delitto, persone diverse da coloro che lo hanno commesso o hanno concorso a commetterlo possano, con la loro attività, trarre vantaggio dal delitto medesimo o aiutare gli autori di tale delitto ad assicurare per sè il profitto e, comunque, ostacolare con l’attività di riciclaggio del denaro o dei valori, il legislatore ha previsto che soggetto attivo del reato di riciclaggio è chiunque, non avendo concorso del c.d. delitto presupposto, pone in essere specifiche condotte.

L’art. 648 bis del c.p. prevede, infatti, che Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000. La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l'arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi.
La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.
La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita le pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.
Si tratta, quindi, di un reato comune in cui la fattispecie incriminatrice presuppone, stante la clausola di esclusione fuori dei casi di concorso nel reato, l’esistenza di un altro delitto non colposo al quale il soggetto attivo del reato di riciclaggio non abbia partecipato in nessuna delle forme in cui può configurarsi il concorso di persone nel reato e, quindi, non solo materialmente o promettendo, prima della sua commissione, la successiva propria attività di riciclaggio1.

Tale clausola di esclusione trova la sua giustificazione nel concetto del post factum non punibile, ovvero l’autore del reato presupposto o colui che in esso abbia concorso sono già colpiti dalla sanzione prevista dalla norma incriminatrice principale anche per l’ulteriore attività di utilizzo e di impiego del profitto illecito, che non è suscettibile di autonomo apprezzamento penale in quanto prolungamento logico dell’iter criminale del reato base.

Il delitto di riciclaggio, rappresenta, pertanto un quid pluris, un’attività ad adiuvandum svolta da un estraneo rispetto al reato base .

Affinché si realizzi il reato di riciclaggio, è necessaria quindi la commissione di un reato presupposto, costituito da qualsiasi delitto non colposo, ivi compresi quelli tributari, societari e finanziari.

Nello specifico la Corte di Cassazione, I sezione penale, con sentenza 13 gennaio 2009, n. 1025, ha affermato che il delitto di riciclaggio può presupporre come reato principale non solo delitti funzionalmente orientati alla creazione di capitali illeciti quali la corruzione, la concussione, i reati societari, i reati fallimentari, ma anche delitti che….vi erano estranei, come ad esempio i delitti fiscali e qualsiasi altro.

Al fine di distinguere la responsabilità in ordine al delitto di riciclaggio da quella per il concorso nel reato presupposto, è necessario verificare, caso per caso, secondo le regole del concorso di persone nel reato, il concreto apporto del primo nel reato principale.

Nella circostanza di un preventivo accordo di “ripulire” denaro, beni o altre utilità di provenienza delittuosa, occorre rilevare se il soggetto attivo del delitto abbia realmente influenzato o rafforzato nell’autore del delitto principale la decisione di delinquere (Corte di Cassazione, sezione V penale, sentenza 10 gennaio 2007, n. 8432).

In sostanza, per verificare la sussistenza o meno del concorso di persone, si dovrà riscontrare, sulla base delle concrete circostanze di fatto, l’elemento psicologico che anima i diversi protagonisti, ovvero la coscienza e volontà di commettere il reato principale o quella di compiere azioni tese alla c.d. “ripulitura” di denaro, beni o altre utilità di provenienza delittuosa[2].

Per tale ragione il c.d. criterio temporale, ovvero di un preventivo accordo per realizzare il riciclaggio, non è di per sé sufficiente a ravvisare il concorso nel reato principale.

Il reato presupposto può essere commesso anche interamente all’estero. Infatti la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, firmata a Strasburgo l’8 novembre 1990, prevede che reato principale sia qualsiasi reato in conseguenza del quale si formano proventi che possono diventare oggetto di uno dei reati definiti all’articolo 6 (reati di riciclaggio) della presente Convenzione e che è irrilevante il fatto che la Parte abbia o non abbia giurisdizione penale in relazione al reato principale.

Inoltre, la direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 ottobre 2005 relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo prevede che il riciclaggio è considerato tale anche se le attività che hanno generato i beni da riciclare si sono svolte nel territorio di un altro Stato membro o di un Paese terzo[3].

Peraltro, non si richiede che vi sia stato un accertamento in sede giudiziaria della sussistenza del reato presupposto, né l’individuazione dell’autore del medesimo, potendo i delitti in esame configurarsi anche nel caso in cui risultino ignoti gli autori del fatto illecito presupposto.

Significativa poi ai fini applicativi è la conclusione cui è giunta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1025 del 13 gennaio 2009, nella quale ha affermato che può legittimamente ravvisarsi il reato di riciclaggio anche in assenza di una tracciabilità delle somme sospette, ovvero senza l’identificazione di tutti gli elementi costitutivi del reato presupposto[4].

L’elemento oggettivo/materiale per la realizzazione del reato consta di due condotte tipiche ed una generica, finalizzate ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei proventi, di cui:

le prime due, fanno riferimento alla sostituzione o al trasferimento del denaro o delle altre utilità provenienti da specifici delitti;

la seconda, che opera come formula di chiusura, incrimina qualsiasi condotta - distinta dalla sostituzione o dal trasferimento - che sia tale da frapporre ostacoli all’identificazione del denaro, dei valori o altro di provenienza illecita specifica.

La condotta della sostituzione si concretizza nell’effettivo scambio del provento dell’illecito con altro bene adatto a celarne la provenienza delittuosa mentre, in caso di trasferimento, i beni, il denaro o le altre utilità provenienti del reato presupposto ed oggetto dell’attività di riciclaggio affrontano una mera “trasmigrazione”, conservando le medesime caratteristiche originarie.

In questo senso, quindi, …“sostituire" … significa rimpiazzare (il denaro o i valori sporchi" con quelli "puliti); e punire il fatto di trasferire significa colpire la ripulitura attuata in forma giuridica …” (Corte di Cassazione, sezione IV penale, sentenza del 15 febbraio -2007, n. 6350).  In sostanza, in tale ambito ricadono le due fasi economiche del processo di riciclaggio, ossia il placement e il layering (Corte di Cassazione, sezione IV penale, sentenza del 15 febbraio 2007, n. 6350).

La sostituzione dei capitali può essere realizzata nei modi più disparati ed anche con il versamento presso banche e il suo successivo ritiro, in quanto stante la fungibilità del denaro, non può dubitarsi che il deposito in banca di denaro sporco realizzi automaticamente la sostituzione di esso, essendo la banca obbligata a restituire al depositante la stessa quantità di denaro depositato (Corte di Cassazione,  sezione VI penale, sentenza del 7 luglio 2011,n. 26746; Corte di Cassazione, sezione. II, sentenza del 6 ottobre 2010, n. 35763; 2Corte di Cassazione, sezione IV penale, sentenza del 15 febbraio 2007, n. 6350).

Per la stessa ragione il mero trasferimento del denaro di provenienza delittuosa da un c/c ad un altro diversamente intestato ed acceso presso un differente istituto di credito, costituisce riciclaggio mediato, anch'esso punibile ai sensi dell'art. 648 bis c.p.[5].

Sul piano sostanziale, il solo spostamento della titolarità del denaro dall’autore del reato presupposto alla società di cui questi sia socio ma con amministratori che non abbiano concorso nel delitto presupposto consente la creazione di un primo schermo tra il denaro e la sua provenienza, sicché quando questa operazione si verifica con la complicità di terzi estranei alla commissione del reato presupposto costituisce essa stessa riciclaggio, ovviamente ascrivibile solo a quei terzi.

Anche l'attività materiale di trasferimento da un luogo ad altro è idonea ad integrare il reato, ove valga a rendere di fatto più difficoltosa l'identificazione dell'origine illecita: tale appare, ad esempio, lo spostamento di un'autovettura provento di furto all'estero ed in particolare in uno Stato extracomunitario, per l'oggettiva diminuzione delle probabilità di risalire al reato presupposto ed all'avente diritto, in ragione della recisione del collegamento con il luogo di provenienza .

Il reato di riciclaggio è, in buona sostanza, ravvisabile in qualsiasi condotta- anche omissiva - idonea ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del bene ricevuto .

Ostacolare non significa impedire in modo definitivo l’accertamento della provenienza dei beni, ma soltanto rendere difficile il detto accertamento, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell’aggirare la normale esecuzione dell’attività posta in essere.

Pur configurando la norma un reato a forma libera, è necessario che le attività poste in essere sul denaro, bene od utilità di provenienza delittuosa siano specificamente dirette alla sua trasformazione parziale o totale, ovvero siano dirette ad ostacolare l'accertamento sull'origine delittuosa della res, anche senza incidere direttamente, mediante alterazione dei dati esteriori, sulla cosa in quanto tale.

In sostanza, si richiede che le condotte di riciclaggio o di reimpiego siano caratterizzate da un tipico effetto dissimulatorio, risultando dirette in ogni caso ad ostacolare l'accertamento sull'origine delittuosa di denaro, beni o altre utilità.

 

La condotta

L’oggetto della condotta è rappresentato da beni, denaro o altre utilità di provenienza illecita. Il riferimento ai beni che possono essere oggetto di riciclaggio, contenuto nell’art.648 bis c.p., non può interpretarsi come limitato al denaro o alle altre utilità a esso assimilabili menzionate nella norma incriminatrice, ma è da ricomprendere nel concetto generale desumibile dall’art. 810 c.c. e da ritenersi esteso, quindi, a qualsiasi cosa che possa formare oggetto di diritti.

Relativamente al concetto di provenienza, la Cassazione ha affermato che tale termine non è da intendersi nel suo significato letterale più stretto, bensì, in un senso più lato, comprensivo di ogni ipotesi nella quale sia da riconoscersi la imminenza della provenienza del denaro da quei delitti, per la inidoneità dei precedenti sistemi usati a fargli perdere siffatto carattere (Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 12 giugno 1987, n.7382).

Il concetto di provenienza va inteso nella più ampia accezione del termine nella quale vanno ricomprese tutte quelle condotte che in concreto rendono determinati reati produttivi di interesse economico per i relativi autori.

In tal senso, la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato firmata a Strasburgo l’8 novembre 1990 identifica quale provento ogni vantaggio economico derivato da reati. Esso può consistere in qualsiasi valore patrimoniale, materiale o immateriale, beni mobili o immobili, nonché documenti legali o strumenti comprovanti il diritto di proprietà o altri diritti sui predetti valori.

La giurisprudenza afferma che sussiste riciclaggio anche laddove la provenienza dei beni, denari ed utilità da reati sia mediata e non diretta, purché accompagnata dalla consapevolezza di tale provenienza mediata, come ad esempio il trasferimento di denaro da uno ad altro conto corrente diversamente intestato ed acceso presso differente istituto di credito (Corte di Cassazione, sezione II penale, sentenza 6 novembre 2009, n. 47375).

Non è, invece, richiesta dalla norma che la condotta del reo sia finalizzata al rientro del bene ripulito nella disponibilità dell’autore del reato presupposto.

La fase esecutiva del "riciclaggio" può realizzarsi con una sola azione, comprendente uno o più atti o fatti unitariamente collegati e susseguenti in un breve spazio di tempo, ovvero con più distinte azioni, costituenti ulteriori violazioni della stessa norma incriminatrice, eventualmente unite dal vincolo della continuazione.

 

Consumazione e tentativo 

Ai sensi dell’art. 648 bis c.p. per la realizzazione del reato è sufficiente il compimento di atti o fatti diretti a realizzare il fine del riciclaggio di denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita, senza che sia necessario il verificarsi dell’evento lesivo ovvero la protrazione dell’evento lesivo.

In buona sostanza, ai fini della consumazione del reato è sufficiente il compimento di una sola delle condotte previste (sostituzione, trasferimento o altre operazioni) dal legislatore, ma il delitto può poi continuare ad attuarsi attraverso ulteriori operazioni volte a nascondere l’origine delittuosa del bene.

Tale principio, applicato nei casi concreti, permette di affermare la commissione del reato in Italia anche quando la principale condotta di occultamento è avvenuta al di fuori del territorio nazionale, mentre in esso si è svolta un’operazione secondaria, magari anche solo consistente nel trasferimento del bene.

Inoltre, il trasferimento all’estero di somme di denaro provenienti da una banca italiana è azione in parte commessa nel territorio dello Stato di concerto fra chi ha inviato e chi ha ricevuto le stesse; conseguentemente, poiché nell’ipotesi del trasferimento devono essere ricomprese tutte le fasi della movimentazione del denaro proveniente da delitto, il reato deve ritenersi commesso in Italia.

Secondo gli ultimi indirizzi giurisprudenziali, il tentativo[6] è configurabile, così come per il delitto di ricettazione.

 

L'elemento soggettivo

Perché il reo sia punibile deve avere operato con dolo[7] generico[8], ossia nella coscienza e volontà  di porre in essere la condotta prevista dalla norma incriminatrice con la consapevolezza della provenienza da delitto doloso, anche mediata, del denaro, del bene o dell’altra utilità.

In tal senso, la scienza dell’agente potrà essere desunta da qualsiasi elemento e sussiste quando gli indizi in proposito siano così gravi ed univoci da autorizzare la logica conclusione della certezza che i beni ricevuti siano di derivazione delittuosa specifica, anche mediata.

Al dolo diretto[9] è equiparato il dolo eventuale[10] per cui se all’agente, pur non sapendolo direttamente, si è prospettata la possibilità che il denaro, i beni o le utilità da riciclare provengano da delitto doloso e, nonostante ciò, ha ugualmente compiuto il fatto materiale, Così accettando il rischio di incorrere nelle sanzioni previste dall’art. 648 bis, risponderà senz’altro di tale delitto a titolo di dolo eventuale

Sul tipo di dolo non c’è uniformità di interpretazione giurisprudenziale .

Può, tuttavia, essere considerata come significativa la posizione assunta dalla Corte di Cassazione, sezione II penale, sentenza 15 luglio 2009, n. 28933 nella quale afferma che è giurisprudenza consolidata di questa Corte che, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione o di riciclaggio, la prova dell'elemento soggettivo del reato può essere desunta anche dall'omessa- o non attendibile - indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in malafede.

Non vi è, in ragione di tale orientamento, alcuna inversione dell'onere della prova in capo all'imputato, dal momento che la prova a carico è rappresentata dall'essere stato costui in possesso dei beni di provenienza delittuosa, sicché laddove egli li abbia ricevuti in buonafede, ha l'onere di dimostrare tale elemento (la ricezione in buona fede) in modo verificabile e, quindi, circostanziato.

Si tratta di un onere probatorio analogo a quello che la giurisprudenza richiede all'imputato nelle fattispecie in cui una condotta è punita qualora avvenga senza giustificato motivo, e si chieda di indicare tale giustificato motivo affinché sia possibile verificarne l’esistenza.

 

[1]Art. 110 c.p. Pena per coloro che concorrono nel reato: Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salvo le disposizioni degli articoli seguenti.

 

Art. 111 c.p. Determinazione al reato di persone non imputabile o non punibile: Chi ha determinato a commettere un reato una persona non imputabile, ovvero non punibile a cagione di una condizione o qualità personale, risponde del reato da questo commesso, e la pena è aumentata. Se si tratta di delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza, la pena è aumentata da un terzo alla metà. Se chi ha determinato altri a commettere il reato ne è il genitore esercente la potestà, la pena è aumentata fino alla metà o, se si tratta di delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza, da un terzo a due terzi.

[2]Ad esempio, non configura l’attività delittuosa prevista dall’art. 648 bis c.p. l’impiego nelle proprie attività economiche del denaro ricavato dal traffico di sostanze stupefacenti svolto dal medesimo soggetto.

 

[3]Nel merito la Corte di Cassazione,  sezione II penale, con sentenza del 23 dicembre 2009,n. 1551/09, ha affermato che il reato presupposto poteva, rettamente, essere ravvisato nell’illecito perpetrato interamente all’estero attraverso la sottrazione di proventi d’impresa al fisco spagnolo….. La rogatoria disposta in proposito ha chiarito che la detta attività è punita, in quella Nazione, a titolo di delitto, con la pena detentiva, e tanto è sufficiente a dar luogo alla condizione richiesta dalla norma sopra richiamata in relazione alla configurabilità del successivo riciclaggio.

[4]Sul punto, la Corte di Cassazione afferma, in particolare, che il riciclaggio esiste anche se non vengono identificati fattualmente tutti gli elementi costitutivi del reato presupposto, come ad esempio la data di commissione, potendo all'uopo sopperire le prove logiche e che non è neppure necessario che il reato presupposto sia stato accertato giudizialmente, è infatti corretto, anche sotto tale profilo, il rilievo del Pubblico Ministero ricorrente per cui, essendo diretto il riciclaggio ad eliminare la traccia delle operazioni illecite di provenienza, soltanto l'esame degli elementi indiziari offerti dall'accusa avrebbe potuto consentire di ricostruire la traccia della provenienza, anche mediata, del denaro da attività delittuosa.

[5]Cfr.:Corte di Cassazione,sezione VI, sentenza l 6 aprile 1995, n. 9090;Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 14 dicembre 1989,  n. 2611; Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 1 febbraio 1986, n. 6508.

 

[6]Art. 56 c.p. Delitto tentato:Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica. Il colpevole di delitto tentato è punito : con la reclusione da ventiquattro a trenta anni, se dalla legge è stabilita per il delitto la pena di morte; con la reclusione non inferiore a dodici anni, se la pena stabilita è l’ergastolo; e, negli altri casi, con la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi. Se il colpevole volontariamente desiste dall’azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti,qualora questi costituiscono per sé un reato diverso. Se volontariamente impedisce l’evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà.

[7]Art. 43 c.p. Elemento psicologico del reato: Il delitto: è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione; è preterintenzionale, o oltre la intenzione,quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto; è colposo, o control’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. La distinzione tra reato doloso e reato colposo, stabilita da questo articolo per i delitti, so applica altresì alle contravvenzioni, ogni qualvolta per queste la legge penale faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico.

 

[8]Il dolo generico corrisponde alla nozione tipica del dolo e consiste nel realizzare tutti gli elementi del fatto tipico; si differenzia dal cosiddetto dolo specifico che consiste in una finalità ulteriore che l'agente deve prendere di mira per integrare il reato. Tipico esempio di dolo specifico è il reato di furto (art. 624 c.p.), per il quale è richiesto al soggetto agente il fine di trarre profitto, ma non occorre che il profitto si sia realizzato in concreto.

 

[9]Il dolo diretto si caratterizza per il fatto che l'evento illecito non costituisce l'obiettivo finale della condotta dell'autore e,tuttavia, l'autore si rappresenta tale evento come conseguenza certa o altamente probabile della sua azione.

 

[10]Il dolo eventuale, invece, si caratterizza per il fatto che l'evento illecito non costituisce l'obiettivo che persegue l'autore dell'azione o dell'omissione e, tuttavia, lo stesso viene preveduto come conseguenza possibile della condotta posta in essere.