Covid19 e scarcerazioni, Ingroia: «Si è dato un segnale di bandiera bianca su importante fronte antimafia»
EMERGENZA coronavirus nelle carceri, allarmi dei sindacati penitenziari sull’aumento esponenziale dei contagi. Disposte nuove scarcerazioni e tornano i timori della ripetizione di quanto accaduto nella scorsa primavera. Il punto di vista del presidente di Azione Civile, Antonio Ingroia.
La «seconda ondata» della pandemia ha investito l’Italia anche negli istituti penitenziari italiani con numeri da allarme rosso.
Abbiamo pubblicato alcuni interventi della FP Cgil e della Uil Penitenziaria sulle condizioni di lavoro e sui pericoli nei carceri abruzzesi, molisani e lombardi. «In seguito all’emanazione da parte del Governo del decreto-legge 28 ottobre 2020 n. 137, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n.269, l’azione di contenimento del contagio Covid-19 nelle carceri italiane si traduce ancora una volta in un allettante esodo», un provvedimento del Ministero della Giustizia che «rappresenta inoltre l’ennesimo messaggio devastante perché, seppure involontariamente, si declina in una vera e propria autorizzazione a delinquere» e che può «essere inteso dalla criminalità come un’implicita autorizzazione, da parte della collettività, di far passare e concedere sempre maggiori iniziative, ormai abituali e soprattutto sbrigative, di pseudo-indulto, che mortificano sfacciatamente il lavoro svolto dalle Forze dell'Ordine ed umiliano il sacrificio dei Servitori dello Stato» il durissimo attacco dell’Associazione Vittime del Dovere di cui abbiamo dato notizia in un nostro precedente articolo.
Uno scenario in cui è sembrato di essere tornati alle prime settimane dell’emergenza sanitaria, delle rivolte carcerarie di inizio marzo e delle scarcerazioni disposte dopo la circolare del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) da cui partì il terremoto mediatico-politico che ne portò alle dimissioni i vertici. I mesi appaiono essere trascorsi inutilmente e, mentre da una parte si continua a scegliere la strada più semplice, dall’altra le endemiche problematiche della gestione carceraria sono rimasti intatti e insoluti.
Su quanto accaduto nella scorsa primavera, a partire dalla circolare da cui partì il terremoto mediatico-politico che portò alle dimissioni dei vertici del DAP, in occasione dell’intervista che abbiamo pubblicato il 12 (https://www.wordnews.it/ingroia-il-bilancio-dopo-il-voto-a-campobello) e il 14 ottobre (https://www.wordnews.it/ingroia-sul-caso-palamara-recidere-i-legami-del-csm-con-correnti-e-partiti) abbiamo chiesto una riflessione sulla gestione carceraria, soprattutto dei detenuti mafiosi, all’ex pm e oggi avvocato antimafia Antonio Ingroia, presidente del movimento politico Azione Civile.
Partendo dall’intervento del magistrato antimafia Nino Di Matteo, componente indipendente del Consiglio Superiore della Magistratura, durante la prima puntata della nuova stagione della trasmissione televisiva Non è l’Arena: i mafiosi «temono il carcere a vita, una detenzione troppo lunga o una detenzione con modalità tali da interrompere i loro rapporti con il mondo esterno, da metterli in condizione di non poter più fare i mafiosi mentre sono detenuti» e sulla questione scarcerazioni e la circolare del 31 marzo di condividere le parole di un altro componente indipendente del Csm, Sebastiano Ardita, «lo Stato ha alzato bandiera bianca» lanciando l’allarme che «il segnale di resa dello Stato è nei fatti».
Dottor Ingroia condivide i giudizi di Nino Di Matteo? Cosa si doveva fare per evitare questi segnali e cosa ora va fatto per cancellare questa sensazione, se di sola sensazione possiamo parlare? Dei provvedimenti di Bonafede in merito cosa ne pensa?
«Prima di tutto non andava permessa la sciagurata circolare del DAP che ha innescato tutta questa situazione, è ovviamente più facile la scarcerazione che riportare in carcere i detenuti mafiosi. Il decreto Bonafede ha avuto degli effetti minimi perché non volendo ammettere la responsabilità politica il ministro ha scelto un provvedimento che ha scaricato tutto il peso sulle spalle della magistratura.
Si poteva intervenire riducendo gli spazi di discrezionalità dei magistrati di sorveglianza ed invece si è solo imposto agli stessi un riesame della situazione senza intervenire sui presupposti. La sciagurata circolare del Dap ha, tra l’altro, creato una disparità di trattamento: si sono date opportunità a boss mafiosi e meno a detenuti meno pericolosi, anche loro esposti ovviamente al rischio covid19. Questo è stato un segnale di bandiera bianca perché il fronte carcerario è sempre stato una linea di frontiera in cui si è combattuta la lotta tra mafia e antimafia e a cui la mafia tiene di più.
Se esistesse un vero fronte antimafia su quella linea di frontiera non dovrebbe mai arretrare, non c’è dubbio che invece ci sono stati gravissimi arretramenti. La cui punta dell’iceberg è costituita da quella lettera ma si è rivelato tutto un pregresso a partire dall’incredibile dietrofront del ministro sulla nomina di Nino Di Matteo al DAP. Che rimane l’atto più grave e significativo di quella bandiera bianca».
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