L' UTOPIA E IL SOGNO CONTRO LA CIVILTÀ DEL PROFITTO

Si chiedeva Nietzsche: «C'è ancora del caos dentro di voi, c'è ancora una Stella danzante?»

L' UTOPIA E IL SOGNO CONTRO LA CIVILTÀ DEL PROFITTO
Foto di Mathias Faust da Pixabay

Non so come saranno la geopolitica e l'economia mondiale dopo la pandemia.
Penso e temo non molto diverse da adesso. Forse peggio.

Sul piano economico la mondializzazione del mercato di capitali limita sempre più il potere degli Stati e la loro possibilità di influenzare, con gli strumenti della politica, il corso degli avvenimenti.
La politica economica è diventata pura esecuzione di ricatti finanziari, mascherati da consigli e condizioni per ottenere crediti, a loro volta necessari per restituire debiti.

Il Fondo monetario internazionale e la Banca Mondiale, ma non solo loro, sono, in sostanza, agenzie del capitalismo transnazionale. In una tale condizione la democrazia non può andare oltre le scelte degli esecutori tecnicamente più capaci nell'applicare i comandi del capitale finanziario che si muove a livello mondiale.

Se nel mondo antico i debitori insolventi finivano schiavi, nel mondo del capitalismo globale interi Stati sono costretti a lavorare per conto delle grandi finanziarie e delle grandi imprese. L'unica civiltà che si va diffondendo, a scapito di tutte le altre possibili espressioni umane, è la civiltà del profitto, che appare come l'unico generatore simbolico dell'ordine che deve regnare sulla terra.

Si legge nella Enciclica "Populorum Progressio" che "Si è instaurato un sistema che considera il profitto come motore essenziale del progresso economico, la concorrenza come legge suprema, la proprietà privata dei mezzi di produzione come un diritto assoluto, senza limiti né obblighi sociali corrispondenti. Tale liberismo senza freno conduce alla dittatura generata dall'imperialismo internazionale del denaro. Non si condanneranno mai abbastanza simili abusi".

Non è un brano tratto dal Capitale di Marx, è una Enciclica di Papa Paolo VI. In tale contesto la Politica, quella alta, è del tutto assente. Manca il senso dello Stato e delle Istituzioni. Non si individuano progetti di sviluppo e di progresso di ampio respiro né valori di riferimento che possano mobilitare le coscienze e motivare l'impegno dei cittadini.

Tatticismi di basso profilo, furbizie, opportunismo, demagogia, populismo, perseguimento dell'interesse personale e di piccoli gruppi, assenza di tensione etica, dilettantismo.
Queste sono le caratteristiche prevalenti di gran parte della classe politica, sia a livello mondiale che nazionale. Non servono altre parole: basta guardarsi attorno. Occorre un processo di profondo rinnovamento della politica e della classe dirigente, all'interno delle quali si affermino valori come verità, libertà, giustizia sociale, pace, che sono condizioni indispensabili per una reale democrazia.

Un processo che veda il primato dell'etica sulla tecnica, della persona sulle cose, del solidarismo sull'individualismo. Bisogna avere il coraggio di immaginare un mondo diverso da quello attuale. Ma molti uomini e donne sono miseramente ancorati a quello che definiscono, in maniera impropria, "sano realismo"; che in sostanza si riduce a semplice ripetizione del passato e a sua inesorabile conferma.
Ritrovare la voglia di futuro, di tempo a venire, di quanto ancora non c'è ma è possibile che un giorno ci sia.
Coltivare l'utopia e il sogno.

Tutto questo può apparire velleitario e fragile, ma a ciò sono affidate le sorti del cambiamento, al di là di tutte le delusioni. Ma ad una condizione: che la nostra vita non resti reclinata su se stessa e non venga inghiottita dal peso del passato.

Si chiedeva Nietzsche: «C'è ancora del caos dentro di voi, c'è ancora una Stella danzante?»