«Lasciati soli dallo Stato»

LETTERA APERTA al Senatore Nicola Morra, Presidente della Commissione parlamentare antimafia e a tutti gli uomini e le donne delle Istituzioni dello Stato ed ai rappresentanti della Società civile.

«Lasciati soli dallo Stato»

Egregio Sig. Presidente,
apprendo dai social quanto da Lei dichiarato, in data 15 gennaio scorso, nel commentare una frase della sorella di Stefano Cucchi, relativamente alla solitudine in cui è stato lasciato il fratello.

Lei così si è espresso: “Specialmente per queste parole si capisce quanto la sofferenza ti faccia desiderare relazioni umane improntate a solidarietà, ad unione. E chi non lo capisce non comprende la grande umanità di Ilaria Cucchi”.

L’Associazione che ho l’onore di presiedere, CELM – Comitato Europeo per la Legalità e la Memoria, include al suo interno rappresentati della società civile e alcuni familiari delle vittime di mafia.

Le vittime di mafia sono persone onorabili, integerrimi, valorosi e soprattutto alfieri di legalità e giustizia, che hanno lavorato tutti con onestà ed hanno combattuto fino al dono della loro vita, per il bene della società e la salvaguardia della democrazia.

Molte di queste vittime hanno combattuto la mafia proprio per il suo potere e per i proventi che realizzava, soprattutto, con il traffico di droga (e ovviamente non solo).
Ma tutti questi uomini, sottolineo e virgoletto “tutti”, sono stati lasciati soli proprio da chi avrebbe dovuto essere lo scudo e la protezione: lo Stato.

Penso al giudice Gaetano Costa, al giudice Rocco Chinnici, al giudice Cesare Terranova, al maresciallo di polizia Lenin Mancuso, al maresciallo dei carabinieri Vito Ievolella, al politico Pio La Torre, al giornalista Pippo Fava, al sindacalista Placido Rizzotto, all’artificiere dell’esercito Pasquale Nuccio, al vigile urbano Salvatore Castelbuono, al poliziotto Emanuele Piazza.

Ma anche a persone comuni della società civile, semplici cittadini che hanno contrastato la mafia con il loro solitario, onesto e letale “no”, come quello del geometra Giammatteo Sole e dell’avvocato Giuseppe La Franca, oltre a quello, in Calabria, di Antonio Bertuccio e di Gennaro Musella, ma l’elenco potrebbe continuare fino all’infinito.

Ma c’è chi la sofferenza brucia dentro come fuoco rovente, come quello di due genitori onesti e lavoratori, che si sono visti strappare la vita del loro piccolo di 11 anni e che da oltre 34 anni non hanno ancora avuto il conforto di una condanna e di nessuna giustizia, ma la solitudine in cui lo Stato li ha lasciati. Sono Graziella Accetta e Antonio Domino. Il loro bimbo era Claudio Domino.

Queste sopra elencate e tantissime altre, non sono più solo persone, ma devono essere considerate “MEMORIA collettiva” e valoriale che si diffonde nel tempo, per aver promosso legalità e giustizia a profusione.

E tra tutte le vittime non dobbiamo dimenticare neanche quelle persone che, pur vivendo in ambienti mafiosi, si sono dissociati in modo chiaro e determinato contro la mafia, rimettendoci la loro vita, come Rita Atria e Luigi Ilardo, la cui figlia dopo 24 anni chiede ancora giustizia e verità.

Tutti i familiari delle vittime di mafia sono rimasti soli nel loro dolore e nel loro sconforto, davanti ai tanti depistaggi, insabbiamenti e vergognose sentenze che, a distanza di decenni, non fanno giustizia della morte dei loro cari. Nessun rappresentate dello Stato ha avuto per loro parole di conforto, ma solo parole di formale maniera.

Vorrei ricordarLe Signor Presidente, che Stefano Cucchi non era un valoroso uomo dello Stato, ma un tossicodipendente e spacciatore (oltre ad avere avuto problemi con l’alcol) che, con la sua attività criminale, come tanti altri criminali, ha distrutto le vite di tanti giovani, quelle stesse vite per le quali uomini valorosi dello Stato hanno lottato, fino all’estremo della loro vita. Al di là della esecrata azione dei carabinieri che lo hanno picchiato a morte e per questo meritano la giusta e ferma condanna, per il disonore che hanno gettato nei confronti dello Stato, Cucchi non merita l’attenzione dello Stato, fino a quando questo stesso Stato non si ricorderà dei suoi figli che hanno combattuto per difenderLo.

Le chiedo semplicemente, Signor Presidente, di porre le cose al proprio posto e di avere attenzione ed interesse, prima ancora che per malviventi (nell’accezione propria di chi vive male la propria vita, commettendo abitualmente atti illeciti e delittuosi), anche per quelle tante famiglie rimaste sole a piangere i loro cari morti per la vita e non per la morte di giovani sbandati.

Sarebbe auspicale un incontro a Roma, anche per farLe conoscere il nostro di dolore.
Attendo una Sua risposta, nella speranza che Lei prenda in considerazione la mia richiesta.


Cordialmente.

Il Presidente
Pippo Di Vita