L’assassinio di Peppino fu solo mafia?

INTERVISTA/1^ parte. L’intervento di Umberto Santino, Centro Siciliano di Documentazione Peppino e Felicia Impastato, da noi contattato telefonicamente, sui decenni di impegno per avere giustizia per l’assassinio del compagno Peppino.

L’assassinio di Peppino fu solo mafia?
Umberto Santino e Anna Puglisi

Il Centro Siciliano di Documentazione è il primo centro studi sulla mafia nato in Italia, fondato nel 1977 da Umberto Santino e Anna Puglisi. L’anno dopo fu assassinato Peppino Impastato, a cui il Centro è stato intitolato.

L’impegno per ottenere giustizia e verità sull’omicidio insieme alla madre Felicia Bartolotta Impastato, alla famiglia e ai compagni di Peppino in questi decenni è stato costante. Il 9 maggio 1979 il Centro e Democrazia Proletaria organizzarono la prima manifestazione nazionale contro la mafia, nel 1986 pubblicò i libri «La mafia in casa mia» (in cui Umberto Santino e Anna Puglisi intervistarono Felicia) e il dossier «Notissimi ignoti» indicando Badalamenti come mandante dell’omicidio a cui sono seguite altre pubblicazioni su Peppino Impastato e sul depistaggio per intralciare le indagini.

Negli anni Novanta il Centro Siciliano di Documentazione Peppino Impastato, insieme a Felicia e a Giovanni Impastato, ha dato una forte spinta alla ripartenza della ricerca della verità sull’assassinio di Peppino Impastato. L’inchiesta della magistratura è stata formalmente riaperta nel giugno 1996 – tre mesi prima una richiesta era stata presentata dal Centro e dalla famiglia di Peppino Impastato – e due anni dopo la Commissione Parlamentare Antimafia aveva costituito un Comitato sull’omicidio. Il comitato approvò la sua relazione finale nel 2000, indicando responsabilità di rappresentanti istituzionali nel depistaggio, e nei due anni successivi sono arrivate le condanne per Vito Palazzolo e Gaetano Badalamenti.  

Umberto Santino ha ripercorso con noi questi decenni di impegno, il ruolo di Felicia Bartolotta Impastato, i depistaggi delle inchieste giudiziarie e gli intrecci con le inchieste che Peppino stava conducendo sulla strage di Alcamo e la presenza di Gladio in Sicilia.  

«La madre di Peppino ha avuto un ruolo fondamentale con la sua scelta di rompere con la parentela mafiosa. Ne libro La mafia in casa mia, in cui Anna Puglisi e io abbiamo raccolto la sua storia di vita, ci racconta un episodio di cui non aveva parlato con i magistrati: il viaggio negli Stati Uniti del marito dopo il suo incontro con Badalamenti.

Peppino aveva scritto un volantino in cui definiva Badalamenti «esperto di lupara e di eroina» e il capomafia chiamò Luigi per dirgli che la misura è colma. Una condanna a morte. Luigi in America incontra parenti mafiosi, i figli del fratello, a cui avrà chiesto protezione e una parente non mafiosa a cui racconta del suo incontro e dice: «Io gliel’ho detto, prima di uccidere Peppino dovete uccidere me». 

In seguito il padre di Peppino muore in un incidente che potrebbe essere stato un omicidio camuffato. Abbiamo portato il libro ancora in bozze alla Procura e l’inchiesta ha avuto la svolta decisiva con l’incriminazione e la condanna di Badalamenti e del suo vice. Ma il libro è del 1986, le condanne arriveranno solo nel  marzo del 2001 per Palazzolo e nell’aprile del 2002 per Badalamenti.

Il fratello Giovanni dice che a casa, nella stanza dove studiava Peppino, c’era una cartella con la scritta «Strage di Alcamo», ma è stata sequestrata insieme a molti altri materiali e non si è più trovata. Abbiamo chiesto al Palazzo di Giustizia che venisse restituito tutto il materiale sequestrato informalmente, cioè illegalmente, ma non abbiamo ricevuto risposta.

Tra i materiali sequestrati che siamo riusciti a recuperare c’è un volantino, a firma Lotta continua, del 31 gennaio 1976 in cui Peppino accusa l’arma dei carabinieri che perquisiva le abitazioni dei militanti del Partito comunista  e della Nuova Sinistra, tra cui casa sua, alla ricerca di terroristi. Peppino sostiene che l’assassinio dei due carabinieri del 27 gennaio è opera della mafia, diffusa capillarmente in tutto il territorio. La vicenda dell’assassinio dei due carabinieri ha dato luogo a un errore giudiziario gravissimo, furono condannati degli innocenti. Solo nel dicembre del 2007 un ex carabiniere ha rivelato che i condannati avevano confessato per porre fine alle torture e solo nel 2012 c’è stato un processo di revisione con l’assoluzione dei condannati. Il collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara ha dichiarato che i due carabinieri avrebbero intercettato un carico di armi diretto all’organizzazione segreta Gladio, che aveva base nella provincia di Trapani. Ancora oggi non c’è una ricostruzione adeguata.

Può esserci una connessione con l’assassinio di Peppino? Nei processi abbiamo seguito una linea che andava sul sicuro, cioè sul documentabile, e abbiamo ottenuto un risultato positivo. Nell’inchiesta della Commissione antimafia sul depistaggio al centro ci sono il procuratore capo Martorana e l’allora maggiore Subranni.

Nel 2011 la procura di Palermo ha aperto un’inchiesta sul depistaggio nei confronti di Subranni e di tre sottufficiali dei carabinieri. La procura ipotizzava il reato di favoreggiamento ma ha chiesto l’archiviazione per prescrizione. L’inchiesta si è conclusa nel 2018 con un decreto in cui vengono ricostruite le illegalità compiute da Subranni e dagli altri ma ha accolto la richiesta di prescrizione.

Pertanto sul depistaggio il documento più significativo rimane la relazione della Commissione antimafia, costituitasi nel 1998 su nostra sollecitazione».