‘Ndrangheta Stragista, le motivazioni: «datati e risalenti» i rapporti tra ‘ndrangheta e Cosa nostra. «Forza Italia referente politico delle mafie»

Emerge “una nitida fotografia della esistenza in Lombardia dalla fine degli anni ‘80 di una confederazione di mafie nazionali tradizionali di estrazione territoriale diversa, una cabina di regia nazionale in cui vi erano uomini di vertice di Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra” e che il progetto politico autonomista “era stato quindi accantonato in favore dell’appoggio al nascente partito politico Forza Italia”.

‘Ndrangheta Stragista, le motivazioni: «datati e risalenti» i rapporti tra ‘ndrangheta e Cosa nostra. «Forza Italia referente politico delle mafie»

Depositate le motivazioni relative al processo "'Ndrangheta stragista", che si è concluso con l’ergastolo per il boss di Brancaccio e per Filippone, in cui la Corte d’Assise di Reggio Calabria scrive che "l'attentato ai danni dei carabinieri" del dicembre '93 e il duplice omicidio di Fava e Garofalo si collocano "all'interno di una strategia omogenea e unitaria" portata avanti da una serie di soggetti provenienti da differenti contesti (politici, massonici, servizi segreti)".

 

Rientravano quindi in una «comune strategia eversivo-terrorista» gli attentati ai carabinieri, avvenuti tra il 1993 e il 1994.

 

Nelle motivazioni della sentenza, Ornella Pastore, presidente della Corte d’Assise di Reggio Calabria, scrive che «di tale strategia, i tre attentati ai carabinieri (fortunatamente non tutti andati a buon fine) hanno costituito uno dei momenti più significativi di un cinico piano di controllo del potere politico (fortunatamente fallito) nel quale sono confluite tendenze eversive anche di segno diverso (servizi segreti deviati) per effetto anche della “contaminazione” o “evoluzione” originata dall’inserimento della mafia siciliana e calabrese all’interno della massoneria».

 

I giudici ricostruiscono inoltre le dinamiche che hanno portato Cosa nostra ad appoggiare prima la Dc e poi Forza Italia.

 

E chiedono di accertare la natura del "risentimento" di Graviano verso l'ex premier Silvio Berlusconi.

Dopo l’omicidio Lima i voti della mafia siciliana “erano stati dirottati sul ‘Partito Socialista’ e anche sul partito Radicale”.

 

Con la crisi dei partiti tradizionali, però, “Cosa nostra aveva deciso di uniformarsi a ciò che stava accadendo nel resto del sud Italia creando movimenti autonomisti”.

Un progetto questo che, presto, non era apparso più conveniente e “era stato quindi accantonato in favore dell’appoggio al nascente partito politico Forza Italia”.

Un cambio di rotta condiviso con la ‘ndrangheta.

 

Lo dimostra ciò che avvenne il 24 febbraio 1994 quando il boss “Giuseppe Piromalli, durante il processo celebrato a Palmi per l’estorsione per i ripetitori Fininvest, prendeva la parola in aula e dalla cella gridava: “Voteremo Berlusconi, voteremo Berlusconi”.

 

Si tratta di 1078 pagine che disarticolano il complesso e lungo periodo che vede anche la collaborazione tra due delle più significative mafie italiane, Cosa Nostra e la ‘ndrangheta.

E’ un dato accertato quello della stretta sinergia criminale fra ‘Ndrangheta e Cosa nostra sin dagli anni ’60 che si era particolarmente rinsaldata nel 1991 a seguito della ritrovata pax mafiosa nella ‘Ndrangheta reggina, intervenuta dopo circa 7 anni di guerra che avevano lasciato sul campo centinaia di morti fra cui, non solo molti capi della ‘Ndrangheta, ma esponenti di primo piano della politica reggina”.

 

“Il rapporto fra le due entità mafiose – si legge ancora nelle motivazioni – si è manifestato inizialmente sotto forma di condivisione di comuni affari illeciti e in genere scambio di favori (ospitalità di latitanti e omicidi per conto degli alleati o placet alla commissione di omicidi nei rispettivi territori o scambi di killer), e si sia via via evoluto fino alla condivisione di progetti terroristici-eversivi e politici”.

 

Ed è dal racconto di molti dei collaboratori, che i giudici scrivono nelle motivazioni della sentenza riguardo ai rapporti tra Cosa Nostra e ‘Ndrangheta, che emerge “una nitida fotografia della esistenza in Lombardia dalla fine degli anni ‘80 di una confederazione di mafie nazionali tradizionali di estrazione territoriale diversa, una cabina di regia nazionale in cui vi erano uomini di vertice di Cosa nostra, ‘Ndrangheta e Camorra a cui capo erano i fratelli Papalia della ‘Ndrangheta jonica, coadiuvati da Franco Coco Trovato che era uomo di ‘Ndrangheta stanziale in Lombardia”.

 

Le motivazioni confermano, inoltre, che “l’accordo stragista fra le due organizzazioni di tipo mafioso – concludono su questo punto i giudici nelle motivazioni – di cui ha riferito Spatuzza (ma anche altri collaboratori) non è dunque nato dal nulla, ma è frutto di rapporti datati e risalenti fra i due sodalizi coordinati proprio dagli uomini di Brancaccio, quelli cioè che materialmente organizzarono le stragi continentali”. 

 

«Il culmine di tale attacco allo Stato – scrive sempre la Corte d’Assise – si sarebbe dovuto raggiungere il 23 gennaio 1994 con l’attentato allo Stadio Olimpico di Roma che, se portato a termine, avrebbe certamente determinato l’uccisione di decide e decine di carabinieri, piegando in maniera definitiva lo Stato, già colpito dalle stragi avvenute negli anni precedenti».

L’attentato ai carabinieri in Calabria e la tentata strage dell’Olimpico sarebbero avvenuti «in un momento in cui le organizzazioni erano alla ricerca di nuovi e più affidabili referenti politici, disposti a scendere a patti con la mafia, che furono individuati nel neopartito Forza Italia di Silvio Berlusconi in cui erano confluiti i movimenti separatisti nati in quegli anni come risposta alle spinte autonomistiche in Sicilia e Calabria».

 

La Corte d’Assise di Reggio Calabria affronta anche il tema dell’incontro che, secondo il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, sarebbe avvenuto nel gennaio 1994 tra Graviano e Marcello Dell’Utri in via Veneto a Roma.

I due avrebbero discusso «del nuovo partito politico che stava per nascere, Forza Italia».

 

«Può ragionevolmente ritenersi – scrivono i giudici – che il Graviano il 21 gennaio 1994, prima di incontrare lo Spatuzza per discutere degli ultimi dettagli riguardanti l’attentato allo stadio Olimpico, avesse avuto modo di colloquiare con il Dell’Utri che nello stesso giorno si trovava a Roma poco distante dal bar Doney».

 

La Corte d'Assise di Reggio Calabria, su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri e dell'aggiunto Giuseppe Lombardo, condannò all'ergastolo lo scorso 24 luglio il boss siciliano Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, considerato dalla Dda il referente della cosca Piromalli.

 

Dalle motivazioni depositate si apprende anche che: "Non può affatto escludersi, anzi appare piuttosto assai probabile, che dietro tali avvenimenti vi fossero dei mandanti politici che attraverso la 'strategia della tensione' volevano evitare l'avvento al potere delle sinistre, temuto anche dalle organizzazioni criminali, che erano riuscite con i precedenti referenti politici a godere di benefici e agevolazioni.

 

Si può, quindi, affermare che in tale circostanza si era venuta a creare una sorta di convergenza di interessi tra vari settori che hanno sostenuto ideologicamente la strategia stragista di Cosa Nostra".

 

Graviano e Filippone sono quindi ritenuti i mandanti degli attentati ai carabinieri Antonio Fava e Vincenzo Garofalo uccisi il 18 gennaio 1994 sulla Salerno-Reggio Calabria, nei pressi dello svincolo di Scilla.

 

"Le conclusioni cui è pervenuta questa Corte in ordine alla responsabilità degli imputati - è scritto nella sentenza - costituiscono soltanto un primo approdo, dal momento che la complessa istruttoria dibattimentale, ivi comprese le dichiarazioni di Giuseppe Graviano, lascia intravedere il coinvolgimento di ulteriori soggetti che hanno concorso nella ideazione e deliberazione degli eventi in esame.

 

Ciò che si ricava è che dietro tutto ciò non vi sono state soltanto le organizzazioni criminali, ma anche tutta una serie di soggetti provenienti da differenti contesti (politici, massonici, servizi segreti), che hanno agito al fine di destabilizzare lo Stato per ottenere anch'essi vantaggi di vario genere, approfittando anche di un momento di crisi dei partiti tradizionali".
 

Per questo motivo, "con riferimento alla identificazione di tali soggetti", la Corte d'Assise di Reggio Calabria ha trasmesso alcuni atti del processo alla Procura della Repubblica perché continui a indagare.

 

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