Notiziario dall’Italia e dal mondo sulle denunce e la lotta contro gli abusi

Online l’edizione numero 28.


Francesco Zanardi -Dalle parrocchie alle scuole, tre inchieste sulla rete dei pedofili:. Stuprati anche i bambini del centro anti violenze

 

Una rete di pedofili che è nata ed è cresciuta attorno alle scuole dell’hinterland romano che, partendo dalle parrocchie, è riuscita a entrare nelle comunità giovanili e le case famiglia legate ai presidi religiosi sul territorio. Questa rete sinora ha goduto di protezioni, mostrandosi allo stesso tempo in grado di terrorizzare le sue vittime.

Ne fanno parte individui che potrebbero aver compiuto abusi pesantissimi anche tra le pareti domestiche. Soggetti abili a colpire i più fragili, quei giovanissimi che hanno subito molestie e che con le loro famiglie da oltre un anno spingono per conoscere la verità. Così, con le loro denunce, si sono guadagnati l’attenzione di tre Procure: prima Latina e Tivoli, ora Roma. Anche i pm di piazzale Clodio vogliono fare luce sulla rete, collegando i puntini di un disegno per ora ancora oscuro.

Il tarlo ha iniziato a scavare nella mente degli inquirenti con le inchieste a carico dell’ex dirigente di Azione cattolica, Mirko Campoli a Tivoli, e del diacono Alessandro Frateschi, a Latina. Il primo è stato appena condannato a nove anni di reclusione per abusi su due ragazzini e per il secondo è stato chiesto il rinvio a giudizio.

Alla procura di piazzale Clodio il compito di tirare le fila: al vaglio c’è un’enorme quantità di materiale pedopornografico finito sotto sequestro. Foto, video, chat inquietanti. Tutto il necessario per tentare di ricostruire la rete. Tra i protagonisti anche preti e personaggi particolarmente in vista, addirittura politici. Indiscrezioni che hanno bisogno di conferme. Quanto già emerso e quanto sta emergendo tra Tivoli e il capoluogo pontino è però sufficiente. Basta a indirizzare le intenzioni della Procura della Capitale. A convincere i pm che questa storia merita di essere approfondita.

FONTE Repubblica

Federica Tourn – Rimosso un vescovo polacco: aveva insabbiato abusi sessuali

Alcuni giorni fa, Papa Francesco ha accettato la rinuncia del Vescovo Andrzej Franciszek Dziuba  73 anni, dal governo pastorale della Diocesi di Łowicz, in Polonia. Si tratta di una “rimozione” per l’accusa di aver insabbiato casi di abusi sessuali su minori.

Dalla nota sulla rimozione di Mons. Dziuba, diffusa dalla Nunziatura Apostolica di Varsavia, si apprende: «Sono state riscontrate difficoltà nel governo pastorale e in particolare sue omissioni nel trattare casi di abusi sessuali su minori commessi da alcuni sacerdoti, come è emerso da un’indagine condotta dalla Santa Sede, a norma del Motu proprio Vos estis lux Mundi».

La nunziatura di Varsavia ha reso nota la decisione del Pontefice sottolineando che la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Lowicz presentata da monsignor Dziuba era stata richiesta dalla Santa Sede.

A carico di Mons. Dziuba, alla Santa Sede sono state presentate delle denunce di negligenza nella gestione di abusi sessuali ai danni di cinque minori. Un’indagine a livello diocesano è stata condotta dall’Arcivescovo metropolita di Łodz, Mons. Grzegorz Rys e i documenti raccolti sono stati presentati alla Santa Sede nel 2020. Nel 2022, la Commissione statale sulla pedofilia polacca ha presentato una notifica alla procura con l’accusa a carica di Mons. Dziuba di aver commesso il reato di mancata notifica alle forze dell’ordine degli abusi sessuali a danno di un minore, commessi nel 2016 da un sacerdote a lui subordinato.

Il caso di Mons. Dziuba è l’ennesimo in materia di omissioni e coperture nella gestione degli abusi su minori da parte del clero, emersi in Polonia. Il 24 febbraio scorso, il Papa aveva rimosso l’Arcivescovo metropolita di Stettino-Kamień, Mons. Andrzej Dzięga, accusato insieme ai suoi predecessori di aver insabbiato abusi sessuali su minori nella sua diocesi. Il 16 febbraio 2021 era morto in una struttura sanitaria cattolica di Stettino, Don Andrzej Drymer, 58 anni, accusato di abusi sessuali su ragazzi a lui affidati, perpetrato per oltre 25 anni, per le quali non è mai stato condannato. Il canale privato Tvn24 ne aveva ripercorso la vicenda nel programma Il processo più lungo della Chiesa riportando diverse testimonianze.

Proprio sulla gestione degli abusi sessuali su minori, qualche giorno fa Papa Francesco ha incontrato in udienza in Vaticano i membri della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, e suo discorso ha ribadito che non deve più accadere che nella Chiesa Cattolica Romana le vittime di abusi sessuali non siano ascoltate e prese in considerazione.

Invece, mentre Mons. Dziuba e Mons. Dzięga vengono rimossi, per negligenza nella gestione di abusi sessuali ai danni di minori, Mons. Gisana, vescovo di Piazza Armerina in Sicilia, che ha coperto il caso di don Giuseppe Rugolo, come emerge dal processo al sacerdote, condannato dal tribunale di Enna  a 4 anni e 6 mesi per violenza su minori, sta ancora al suo posto. L’illecito commesso dai vescovi è il medesimo, quello di aver insabbiato e occultato i reati di abusi sessuali su minori da parte del clero a loro sottoposti, ma per chi “amministra” la giustizia nella Santa Sede, il metodo d’intervento a tutela delle vittime e del sistema di equità è sempre quello dell’applicazione di “due pesi e due misure”,

Fonte Korazym.org

Alessio Di Florio – Tromboni (in abbondanza) e trombette (mancanti)

Un auto esce fuori strada e si schianta, nessun ferito grave, nessun morto, zero altre auto coinvolte. Appare una notizia come centinaia o migliaia che, al massimo, hanno un breve cenno nella cronaca locale. Alla guida si scopre c’era un prete. La notizia potrebbe, quindi, avere un peso un po’ maggiore per la comunità. Ma sempre nell’ambito della cronaca locale si rimane. Emerge che il prete, che non ha danneggiato terzi e lui stesso non ha riportato ferite gravi, è positivo alla cocaina. Ci sarebbero da fare tante valutazioni, su moralità, etica e non solo, ma non è questo il movente di quanto accade in poche ore: la notizia diventa virale e viene pubblicata, con grande evidenza, in brevissimo tempo da quasi tutte le testate della regione e persino da molte nazionali.

È accaduto in provincia dell’Aquila, in Abruzzo, alcuni giorni fa.

Nulla di tutto questo è accaduto poco più di un anno fa. Eppure, nella vicenda dell’epoca, c’erano persone ferite e danneggiate, implicazioni pesanti e interessava uno delle peggiori piaghe dell’odierna società: la pedofilia. Nonostante se ne interessarono tre testate di respiro nazionale (La Repubblica, Domani e WordNews.it) nessun giornale locale scrisse anche solo una breve di una riga. Repubblica intervistò un ragazzo siciliano, vittima di abusi clericali per anni, che denunciò di essere stato costretto a videochat erotiche con un “prete di Chieti”. Federica Tourn su Domani approfondì la vicenda e documentò implicazioni che arrivavano direttamente al Vaticano e abusi sistematici e durati anni terrificanti. Nell’inchiesta emerse un risvolto ancora più inquietante: il “prete di Chieti” è preside di una scuola, potrebbe quindi avere ancora contatti quotidianamente con centinaia (almeno) di minori. Ed è questa una delle domande poste su WordNews.it. Calate nel silenzio (omertoso) locale. Nulla di nulla, interesse zero, neanche mezza riga.

La differenza tra quanto accaduto nei giorni scorsi e oltre un anno fa è così palese che si commenta da sé.

Pierelisa Rizzo – Incidente probatorio per l’ex cappellano militare Salvatore Cunsolo

 «Mi ha fatto male dover raccontare la mia vita che non mi piace». Lo ha detto il giovane di Francofonte , nel corso dell’incidente probatorio che si è tenuto in un’aula del tribunale di Siracusa. In quell’aula era presente anche l’ex cappellano militare Salvatore Cunsolo, il 67enne che il giovane di 23 anni ha denunciato per le violenze sessuali subite da quando aveva nove anni fino al compimento della maggiore età. Un incidente probatorio che è durato più di quattro ore e, durante il quale ci sono stati momenti drammatici, come a detto a MeridioNews l’avvocato Eleanna Parasiliti Molica che assiste la vittima. Lo stesso avvocato che è al fianco anche del giovane archeologo che ha denunciato le violenze sessuali subite a Enna quando era minorenne da Giuseppe Rugolo, il sacerdote che è stato condannato la scorsa settimana a 4 anni e 6 mesi per violenza sessuale aggravata. La storia era emersa nel 2021, quando il giovane aveva presentato una querela nei confronti di Cunsolo. Il cappellano militare che oggi, per altro, è difeso dallo stesso avvocato di Rugolo, Antonino Lizio, che con i due preti condivide un lungo passato in abito talare. Rimasto orfano del padre e con la madre che si era trasferita a vivere fuori dalla Sicilia, dai nove anni in poi, il giovane cresce con la nonna anziana e malata che deve prendersi cura anche di un fratello disabile. Come molti bambini della sua età, comincia a frequentare le attività della parrocchia del paese del Siracusano. Ed è lì che si sarebbe legato alla figura di Cunsolo. Secondo quanto la stessa vittima ha raccontato nel corso dell’incidente probatorio, il prete lo avrebbe avvicinato la prima volta un giorno mentre era di ritorno dal cimitero dove era andato a portare un fiore sulla tomba del padre. «La prima volta che don Salvatore ha abusato di me avevo nove anni ed è successo a casa sua». Abusi che poi sarebbero andati avanti per quasi dieci anni. «Mi faceva male sia fisicamente che moralmente ma – ha aggiunto il giovane – capivo che non avevo altra scelta». Venuto a conoscenza della vicenda dell’archeologo ennese, il giovane si decide ad andare a raccontare tutto alla squadra mobile. Ma diversamente da quanto avviene ad Enna ad accompagnare il ventitreenne a presentare la querela è Francesco Lomanto in persona. Il vescovo della diocesi di Siracusa che, contemporaneamente, aveva anche già avviato il processo canonico e informato il Dicastero della dottrina della fede di Roma. Anche con le indagini in corso il prete – adesso in pensione – avrebbe continuato, comunque, per un periodo, a celebrare la messa dall’altare maggiore della chiesa madre di Francofonte pur senza alcun incarico ufficiale. Era stato poi il vescovo di Piana degli Albanesi a sospenderlo dallo stato clericale.

Fonte MeridioNews – Marta Silvestre

Pierelisa Rizzo

Ludovica Eugenio – Caso Rugolo: in un podcast il sistema di coperture e insabbiamenti

ROMA-ADISTA. Una «riproduzione quasi in scala 1:1 del meccanismo di copertura che la Chiesa offre ai sacerdoti che sbagliano»; un filo che risale da un prete a un vescovo fino al papa: è il contenuto di “La confessione”, un podcast in sette puntate che si può seguire sulla piattaforma Spotify prodotto da tre giornalisti: Stefano Feltri, già direttore di Domani, Giorgio Meletti (anch’egli in passato a Domani) e Federica Tourn, che sulla stessa testata ha raccontato diverse vicende legate al tema degli abusi nella Chiesa cattolica. Un podcast che è stato presentato a Roma alla sede della Federazione nazionale della stampa italiana a pochi giorni dalla sentenza del processo in primo grado contro il prete di Enna don Giuseppe Rugolo, condannato a 4 anni e sei mesi di reclusione per tentata violenza sessuale e violenza su minori di 16 anni, con interdizione per cinque anni dai pubblici uffici e interdizione perpetua dall’insegnamento nella scuola di ogni ordine e grado (v. Adista Notizie n. 10/24). Ma che ora, paradossalmente, è stato autorizzato dal Tribunale di Enna a rientrare in città, tra i “suoi” ragazzi e le sue vittime, da Ferrara, dove ha scontato gli arresti domiciliari, perché, dice il tribunale, «fatta salva la gravità dei fatti contestati, non si ravvisano, allo stato, ragioni idonee a giustificare il prolungarsi della restrizione della libertà di movimento dell’imputato».

A partecipare alla presentazione del podcast, oltre agli autori, Antonio Messina, sopravvissuto agli abusi di don Rugolo, la sua avvocata Eleanna Parasiliti e la giornalista, corrispondente dell’Ansa da Enna, Pierelisa Rizzo, che ha seguito tutta la vicenda. Presente moralmente anche la Rete L’Abuso, unica associazione che con il suo presidente Francesco Zanardi si era costituita parte civile nel processo, «senza il cui lavoro – ha sottolineato Tourn – non avremmo mai conosciuto i casi di abuso», e alla quale è stato riconosciuto parte del risarcimento cui è stata condannata in solido la diocesi.

La confessione cui fa riferimento il titolo del podcast è quella di mons. Rosario Gisana, vescovo di Piazza Armerina (sotto cui ricade Enna), coprotagonista della vicenda, che nel corso di una conversazione telefonica con Rugolo, intercettata e messa agli atti, ammette di aver «insabbiato la storia». Un elemento che consente di fare un corposo passo avanti nel lavoro giornalistico di denuncia del sistema, che oggi consente di rispondere «alla domanda sul perché in Italia non scoppia uno scandalo sugli abusi nella Chiesa», introduce Feltri. Il fatto è che, «a fronte di tante cose che già sappiamo, nessuno unisce i puntini». Qui invece, per la prima volta, «abbiamo non solo le parole della vittima che coraggiosamente ha denunciato e ci ha messo dieci anni a farsi dare ragione», ma anche, grazie agli audio messi agli atti e ora nella disponibilità delle parti, «il sistema di copertura degli abusi raccontato da loro, dai preti, dal vescovo»: un vescovo in carica che riconosce di aver insabbiato, che dice di poter contare su un appoggio di papa Francesco in virtù di un favore fattogli, amici preti di don Rugolo che fanno quadrato intorno a lui, gli abusi derubricati da Gisana ad atti goliardici: «È una cultura aziendale», afferma Feltri, «la strategia messa in atto quando si vuole mascherare lo scandalo e si imbroglia sui conti».

Oltre alle intercettazioni telefoniche ci sono audio registrati dalle parti per proteggersi (anche da don Rugolo, in un lungo dialogo con il vescovo), finiti agli atti che permettono di cogliere gravi disfunzioni, collusioni, omertà, distorsione della realtà da parte della Chiesa istituzionale. Gisana giustifica Rugolo definendone gli abusi «una stupidata da ragazzotto», dice di aver coperto le spese di Rugolo con i soldi dell’otto per mille, parla di «impeto demoniaco» riferendosi a Antonio e alla sua famiglia.

Ma c’è anche il saluto del papa a una delegazione di Gela il giorno prima della requisitoria del pm, a novembre scorso, in cui Francesco difende pubblicamente il vescovo Gisana.

Federico Tulli – Il caso Spotlight e l’Italia

A febbraio del 2016 arrivò nelle sale italiane Il caso Spotlight, il film di Tom McCarthy che in quello stesso mese si aggiudicherà due premi Oscar. Spotlight è il nome della squadra di giornalisti del «Boston Globe» che tra il 2001 e il 2002 indagò su alcuni casi di pedofilia clericale avvenuti nell’arcidiocesi locale e mai finiti nel mirino dell’autorità giudiziaria. Sotto la guida di un direttore per nulla intimorito dalle pressioni dei maggiorenti della città più europea e più cattolica degli Stati Uniti, per mesi questi giornalisti intervistarono le vittime e passarono in rassegna migliaia di pagine di documenti. Ricostruirono così un sistema di potere che, sotto la regia del potente arcivescovo Bernard Francis Law, per anni aveva bloccato sul nascere qualsiasi indagine e aveva messo a tacere vittime e testimoni scomodi per la Chiesa.

Lo scoop, che valse al «Boston Globe» il premio Pulitzer 2003, fu per la Chiesa cattolica americana l’equivalente del Watergate. Non solo costò il posto a monsignor Law, che ammise di aver nascosto per anni gli abusi dei suoi sacerdoti, ma diede la forza a migliaia di vittime rimaste in silenzio, e isolate da quella Chiesa di cui si fidavano ciecamente (questo genere di abusi, infatti, avviene quasi sempre all’interno di ambienti profondamente religiosi), di denunciare alle autorità civili i crimini subiti. Emerse così che l’insabbiamento delle segnalazioni, il pagamento di somme di denaro alle vittime tramite avvocati senza scrupoli affinché non denunciassero i loro aguzzini e il trasferimento dei sacerdoti sospettati di pedofilia, erano la norma negli Stati Uniti. Ben presto, grazie alla lezione universale di giornalismo realizzata dall’inchiesta degli uomini di Spotlight, e magistralmente ricostruita da McCarthy, si scoprirà che lo stesso accadeva da decenni anche in Europa, Australia, Sudamerica e Africa. Ma questa lezione, in Italia, tranne rarissimi casi: la rivista Left, Adista, il lavoro di Federica Tourn su Domani, non è stata evidentemente recepita.

Tra i tanti meriti del film Spotlight c’è quello di aver spiegato chiaramente quanto siano importanti la trasparenza e la collaborazione tra istituzioni nella gestione dei casi di abusi clericali e, al tempo stesso, quanto sia distruttiva per la salute psicofisica delle vittime qualsiasi strategia che non vada in questa direzione. La pellicola di Tom McCarthy evidenzia inoltre l’importanza decisiva del ruolo dei media e di un’informazione libera, indipendente e – per così dire – empatica. I giornalisti di Spotlight sono riusciti a sbaragliare il potentissimo avversario grazie al rapporto di fiducia instaurato con i testimoni, ponendosi con un approccio laico, affettivo, nei confronti dei loro interlocutori sopravvissuti alle violenze. E senza innalzare la barriera del giudizio morale che scatta quando c’è la convinzione violentissima che sia il bambino a indurre in tentazione l’uomo di fede e a spingerlo a un atto di lussuria, che il Catechismo della Chiesa cattolica annovera tra le «offese alla castità» (can. 2351).

Un’idea perversa e delirante, tuttora radicata e diffusa (anche riguardo alla violenza sulle donne), come emerge ogni tanto da incaute interviste rilasciate da alcuni ecclesiastici, che vedono nel presunto ammiccamento sessuale del bimbo la personificazione del diavolo e attribuiscono allo stupro un carattere di desiderio, annullando completamente la realtà del bambino (bambino che – è bene precisarlo – non ha e non può avere né sessualità né desiderio, dal momento che questa dimensione psicofisica si realizza nella pubertà, con il pieno sviluppo degli organi genitali). Ed è un pensiero che se da un lato ha sempre alimentato il senso di colpa e di oppressione delle vittime riducendole al silenzio, dall’altro ha fornito per decenni ai preti pedofili, descritti non come criminali ma come peccatori indotti in tentazione, la garanzia di impunità da parte della Chiesa cattolica.