Per motivi di Giustizia

La recensione di Giuseppina Rosato. «Dopo il grande successo di Sotto padrone e la ristampa de La Quinta Mafia, a soli pochi mesi di distanza, è arrivata nelle librerie da qualche settimana, edita da People, l’ultima fatica di Marco Omizzolo».

Per motivi di Giustizia

Quindici storie nella Storia della vita di lavoratori e lavoratrici, la cui trama è fabula e intreccio di sfruttamento, schiavitù, caporalato e padronato in un angolo ameno della nostra Italia, “il bel paese dove il sì suona”, “il giardino dell’Impero” – come la definisce il padre della nostra Letteratura Dante Alighieri – ovvero le campagne dell’Agro pontino.

 

Dopo il grande successo di Sotto padrone e la ristampa de La Quinta Mafia, a soli pochi mesi di distanza, è arrivata nelle librerie da qualche settimana, edita da People, l’ultima fatica di Marco Omizzolo, programmatica fin dal suo titolo: Per motivi di Giustizia.

Sociologo e ricercatore Eurispes, docente di Sociopolitologia delle migrazioni presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma, presidente del Centro Studi Tempi Moderni, da oltre venti anni Marco Omizzolo, nominato Cavaliere della Repubblica nel 2019 dal Presidente Sergio Mattarella per meriti di ricerca e impegno contro il caporalato e lo sfruttamento, in un percorso continuo di ricerca-azione è a fianco della comunità indiana sikh pontina.

 

A fianco in un processo di formazione, emancipazione, rivendicazione di diritti e libertà fondamentali, per trovare finalmente un varco, quella maglia rotta nella rete di connubi malavitosi tra Istituzioni, Politica, Imprenditoria corrotta e corruttibile di fronte ai lustrini delle agromafie.

 

Ma, da dove si parte? Con grande maestria, in questo viaggio nelle lotte condotte nel nostro Paese da un esercito di ribelli, rivoluzionari e partigiani per la democrazia, la libertà e la giustizia, Omizzolo prende le mosse dai padri dell’Italia che vogliamo: Zi’ Vincenzo O’ Vaccaro, Michele Mancino e suo figlio Tonino, mostrando ancora una volta come “i corsi e ricorsi storici” di memoria vichiana continuino ad impartire magistrali lezioni di vita.

 

Zi’ Vincenzo e Michele Mancino, infatti, nella loro tenace lotta contro la tirannia fascista dei latifondisti della Lucania, sono fortemente legati, in uno stretto Leitfaden, ai braccianti sfruttati, immigrati e italiani, donne e uomini di oggi, considerati un accessorio ideologico nella corsa padronale allo sviluppo e al potere che da esso ne deriva, allora come ora. Ecco, dunque, l’importanza della memoria storica e l’accurata analitica ricostruzione che il sociologo Omizzolo ne ha fatto, con dovizia di particolari e dettagli.

 

Non si può, infatti, comprendere il bracciantato di oggi se non partiamo da quello di ieri e dai protagonisti che hanno lottato strenuamente per la democrazia.

 

Da Zi’ Vincenzo, Michele e Tonino Mancino a Balbir, Joty, Harbhajan, Gill, Joban Singh, Ash, Akhila, Mali, Amrinder, Gurjant, Surjeet, Benedetto, che non sono solo nomi: sono volti, anime, fratelli e sorelle in un mondo che vorrebbe passare dalla globalizzazione dell’indifferenza a quella dell’accoglienza, dall’arido e freddo “me ne frego” al vivido e caloroso I care.

Sono alcuni dei protagonisti di storie sussurrate da Omizzolo con un flebile filo di voce, perché rotto da un pianto, che pur non si vede, di fronte a tanta soverchieria di padroni e padrini, di altre narrate con più forza e audacia, al di là di convenevoli e convenzioni, di altre ancora raccontate con grande efficacia narrativa, descrittiva e, in alcuni passaggi, con un lirismo evocativo e, nel contempo, incisivo.

 

Attraversando il loro dolore, le loro fatiche, le loro sofferenze, in un viaggio che diventa di capitolo in capitolo sempre più appassionante e coinvolgente, si entra nel profondo delle vite dei braccianti, uomini e donne, migranti e italiani. Viene a crearsi, infatti, una sorta di Einfühlung, di empatia, laddove il sun-pathein e il cum-patior portano il lettore ad addentrarsi sempre più nella storia che si dispiega quasi icasticamente davanti ai suoi occhi, trasformandolo improvvisamente in uno spettatore. Ed ecco, allora, che quella dialettica tra mimesis e katharsis di cui parla Aristotele nella Poetica a proposito della tragedia greca si ripropone anche nelle storie di “Per motivi di Giustizia”. Secondo Aristotele, la tragedia attraverso la pietà e il terrore produce la purificazione da simili emozioni.

 

Traslati nelle 15 storie del libro di Marco Omizzolo, questi concetti assumono una valenza affine: scrivere significa resistere e a volte vincere.

 

Solo che non vince sempre chi scrive. Spesso a vincere è chi legge, ossia colui che viene domani, che sente vibrare dentro di sé le parole di chi lo ha preceduto e non si è piegato al passaggio del re, del padrone o padrino, nonostante le convenienze, le paure, la stanchezza, la solitudine.

Con un periodare piano, fluido e scorrevole, la lettura si fa sempre più avvincente, con una scrittura estremamente ricca e arricchente, dal momento che i racconti delle singole storie sono costellati di suggestivi riferimenti filosofici, sociologici, antropologici e letterari. Ad impreziosire il mosaico numerose tessere musicali e cinematografiche.

 

Queste storie di riscatto, ribellione, affrancamento e liberazione dalle catene della schiavitù nel vorticoso mondo del bracciantato, caporalato e padronato fanno ancora sperare in un futuro di uguaglianza e democrazia autentiche: un futuro edificabile, mattone dopo mattone, grazie a piccoli gesti anonimi, ma straordinariamente necessari e imprescindibili, di questi fragili forti eroi e eroine, partigiani e partigiane di ieri, di oggi e di domani che continuano e continueranno a lottare, nonostante tutto, ogni giorno, per quell’orizzonte infinito di Libertà, Amore e Giustizia che è l’unica ragione per cui valga la pena di vivere e morire.

 

Solo grazie al valoroso coraggio di uomini e donne come Zi’ Vincenzo, Michele e Tonino Mancino, Balbir, Joty, Harbhajan, Gill, Joban, Ash, Akhila, Mali, Amrinder, Gurjant, Surjeet, Benedetto si potrà stabilire tra gli uomini un certo accordo di sentimenti che darà lume e colore a quei lanternoni che sono Verità, Virtù, Bellezza e Onore – come ci ricorda Luigi Pirandello nel  celebre passo da Il fu Mattia Pascal sulla “lanterninosofia” – perché non siano più termini astratti ma si sostanzino nella concretezza di gesti e azioni in una ineludibile realtà effettuale.

Giuseppina Rosato