Quel dolore nell'anima

Ancora un fatto di cronaca nera, ancora il gesto estremo di una giovane ragazza, (l’ennesima vittima di questo male incurabile chiamato male di vivere), che ha deciso che non valesse più la pena di viverla questa Vita così meravigliosamente incontrollabile, imprevedibile e incontentabile.

Quel dolore nell'anima

“Siamo sempre più connessi, più informati, più stimolati ma esistenzialmente sempre più soli.”

In Italia ogni 16 ore una persona si toglie la vita. Un’altra prova a farlo ogni 14. Tragico il dato anche se si guarda solo ai giovanissimi, tra i quali si verifica un caso di tentato suicidio al giorno. Sono questi i numeri allarmanti che emergono. L’analisi dell’Osservatorio, come spiega il presidente della Fondazione Armando Piccinni, non si basa sui dati istituzionali, – «che non sono correntemente aggiornati, tanto che l’ultimo Annuario statistico dell’Istat pubblicato nel 2021 contiene i dati relativi al 2018» – bensì su un’attenta analisi delle notizie di cronaca, locali e nazionali, iniziata durante la prima ondata della pandemia da Coronavirus.

Da gennaio ad agosto 2022, in Italia ci sono stati 351 suicidi e 391 tentativi.

Ma cosa si nasconde davvero dietro un pensiero così nefasto e dall’epilogo irreversibile?
Quando qualcosa del meraviglioso ingranaggio qual è il corpo umano, si inceppa e non lo fa funzionare più correttamente, ci si rivolge al medico di famiglia o ad uno specialista. Ma cosa succede quando ad ammalarsi non è più soltanto la parte meccanica, ma qualcosa di molto più complesso, delicato e complicato come l’anima?
Si ha sovente le tendenza a credere che corpo ed anima siano a se stanti, senza considerare che sempre più spesso il malessere dell’uno influisce sull’altro. Non  sempre  è facile capire e soprattutto riconoscere il “male dell’anima”, neppure a coloro i quali ne sono coinvolti e che in silenzio ne avvertono il disagio interiore  a cui non sanno associare motivazioni o dare  un nome concreto.

E’ difficile capire cosa incide ed influisce sull’anima tanto da renderla così insofferente, fino a portarla ad un totale abbandono e, in casi più gravi, a scegliere la morte come unica soluzione. Quando si giunge a conclusione che qualcosa interiormente non va, si cerca di provare a dare per forza una spiegazione logica, avvalendosi della professionalità di un luminare che studia il comportamento umano, il meccanismo della mente. Ma la scienza si limita a guarire, eventualmente, ciò che tecnicamente non funziona, curare i sintomi di questa “strana” malattia, tentare di capire ciò che ha bloccato l’ingranaggio di una macchina “apparentemente” perfetta.

Chi vive  quotidianamente  questo  malessere, conduce una costante e dolorosa esistenza. Molteplici possono esserne le cause.

La privazione di un affetto (qualunque ne sia la ragione), la mancanza di stima e considerazione da parte di chi dovrebbe per prima rappresentare una fonte inesauribile di certezze, la propria famiglia, oppure la desolazione totale in una situazione di solitudine affettiva nonostante si sia circondati da persone alle quali però si resta del tutto indifferenti.
Ci si sforza di riuscire a farsi notare ad ogni costo e in ogni modo, anche il peggiore, ma si è troppo presi da se stessi, dal lavoro, dalla vita quotidiana, per accorgersi di chi cerca sostegno, considerazione e conforto.
Eppure basterebbe coì poco. 

Provare per un istante ad indossare i panni dell’altro che, troppo spesso e superficialmente classifichiamo depressi, esauriti o psicologicamente instabili. E’ facile  incappare in questo equivoco, ovvero quello di associare la solitudine, quel vuoto interiore, a qualcosa di diverso, semplicemente perchè  incapaci di comprendere ciò che va oltre la conoscenza, la possibilità di superare i limiti e le regole del pragmatismo, per cui tutto ciò che non ha una spiegazione logica, una cura, o un nome specifico, lascia inizialmente sorpresi fino a fare in modo che l’imprevedibile risulti addirittura inesistente.

Secondo Durkheim (1897), il suicidio è un questione morale che scaturisce dalla componente naturale-individualistica di un soggetto, l’ambiente sociale in cui vive e la sua   integrazione.

“È la costituzione morale della società a fissare ad ogni istante il contingente delle morti volontarie” (Durkheim, 1897). Lo definisce come una disfunzione sociale, individuando le cause principali che spingono ad un gesto così estremo: una struttura sociale con caratteristiche normative rigide ed esigenti ed uno stadio di integrazione troppo alti o troppo bassi possono risultare dannosi per la società

Ciò che accomuna i fattori di rischio per il suicidio è la precarietà e la perdita di speranza per un futuro già incerto nel presente. Il suicidio si potrebbe evitare qualora si riuscisse ad intervenire sul disagio, la sofferenza psicologica dei soggetti a rischio, ma prima di tutto bisogna riconoscerne ed interpretarne i segnali d’allarme.