Quell’oltre si chiama emozione

Intervista a Gregorio Febbo, un giovane autore versatile e poliedrico, poeta e attore di teatro.

Quell’oltre si chiama emozione

Come nasce la tua passione per la scrittura?

«In realtà non ricordo un momento, tantomeno un modo preciso in cui è nata la mia passione per la scrittura: scrivo da sempre. Ci tengo a precisare che, prima d’essere uno scrittore, sono un poeta. Infatti, i miei primissimi approcci letterari sono stati “governati” dalla scrittura in versi.»

 

Ci vuoi parlare delle tue Opere letterarie?

«Questa è una domanda che mi fanno spesso, ma ho sempre la stessa risposta da dare: quando inizio a scrivere un manoscritto, che sia racconto o romanzo, non ho una meta ben precisa e non ho, neppure, ben in mente tutti i personaggi e l’evolversi degli stessi. Questo perché, per scrivere bene, devo sentirmi libero di cucire e scucire il mio tessuto narrativo, senza paura di non riuscire a viverlo appieno. Può sembrare un ragionamento contorto e me ne rendo conto, ma è stupendo vivere la storia che si sta scrivendo con gli occhi di un bambino, che va al cinema a vedere il film con l’amico del cuore, rifocillandosi di snack. Per me, le mie Opere letterarie sono l’evolversi di

un film del quale non conosco il finale e sono curioso di conoscerlo.»

 

Nei tuoi romanzi c’è qualcosa di autobiografico?

«Credo che per presentare un prodotto dai gusti più realistici possibile, bisogna assolutamente scrivere delle emozioni vissute. Certo, il tutto va condito e arricchito, proprio come una goduriosa insalata di mare, ma le emozioni alla base di tutto il manoscritto devono venire da dentro lo sterno, non dall’inchiostro. Detto ciò, in alcuni dei miei romanzi c’è molto di me, forse troppo. Come autore incorro nel rischio di spogliarmi più del necessario. Vale la pena denudare l’anima su carta?»

 

Hai delle abitudini particolari mentre scrivi?

«Assolutamente no, non ho abitudini particolari quando scrivo o orari ben precisi. Semplicemente scrivo quando ne ho voglia e in qualunque posto. L’importate è cristallizzare il momento d’ispirazione.»

 

Da dove nasce l’amore per il teatro?

«L’amore per il teatro è nato per caso. In realtà, essendo timido, non ho mai voluto recitare, ma mi ci sono ritrovato dentro, da diversi anni ormai, con tutte le scarpe e gli occhi lucidi. Quest’ultimi sono lucidi quando recito, perché recitare mi permette di viaggiare dentro le mie stesse emozioni e dare vita, così, a nuovi personaggi, spesso lontani dal mio essere, che si colorano man mano come le luci in una discoteca. Ed è bello prestare il proprio “tutto” alle esigenze di altri narratori di storie: gli sceneggiatori.»

 

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

«Che bella domanda! Molti mi dicono che posso fare cinema, televisione, teatro, ma io, dopo una dura lotta interiore durata più di un decennio, a quasi trent’anni, posso dire di avere le idee piuttosto precise: voglio fare lo scrittore e vivere di scrittura. Certo, è un sogno non ambizioso, ma di più e mi rendo conto che è di difficile riuscita. Quindi, tengo i piedi ben saldi al terreno e vivo ogni momento come fosse il primo e l’ultimo. Facendo così, metto l’anima al sicuro da ogni aspettativa e poi, se vivrò di scrittura bene, altrimenti mi divertirò a leggere le storie degli altri.»

 

Un sogno nel cassetto?

«Qui rispondo senza troppi giri di parole. Ho un sogno nel cassetto anch’io: vincere il Premio Strega.»

 

Qual è la tua più grande paura da autore?

«Non riuscire a trasmettere qualcosa che vada oltre il saper scrivere. Quell’oltre si chiama emozione, che altro non è che il luogo dove tutto è possibile, dove tutto si sgretola per essere ricostruito, senza cessare mai d’essere vivo nella memoria di ciò che realmente siamo: esseri umani, non solo uomini.»