Rape cultura clericale, non basta più l’indignazione

PRIMA PARTE/Gli abusi di Rupnik scuotono dall’omertà sugli abusi nella Chiesa e ne svelano le radici. Forti prese di posizione da "Re-in-surrezione: per S-velare e fermare ogni abuso", rete di persone appartenenti a Donne per la Chiesa e Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne – OIVD e dal coordinamento Italy Church Too.

Rape cultura clericale, non basta più l’indignazione
Rupnik, fonte Adista

L’anno che si sta chiudendo andrà in archivio come i dodici mesi in cui è stato squarciato persino in Italia, o almeno le voci che si stanno battendo appaiono sempre più forti, il velo dell’omertà clanica che coprono gli abusi del “clan di soli uomini” clericali. In questi mesi abbiamo raccontato alcune delle tantissime denunce emerse e l’impegno di Rete L’Abuso e di altre organizzazioni, la nascita del coordinamento Italy Church Too e quel che si sta muovendo anche a livello dell’informazione.

È un impegno che sentiamo anche nostro, e continueremo a sentirlo tale anche nel nuovo anno: urlare quel che omertà non vorrebbe fosse neanche sussurrato, dare voce a chi non ha voce, lasciarsi guidare dal grido delle vittime, della sete di giustizia e verità.

Il 2022 l’anno in cui è tornato forte alla ribalta anche l’impegno per avere finalmente la verità sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e svelare tutti gli intrecci, depistaggi, marcio di cui è stata vittima.

Queste ultime settimane hanno visto esplodere il “caso Rupnik”, il gesuita apprezzato come artista e predicatore e considerato vicino agli ultimi tre Papi compreso l’attuale. Sta emergendo sempre più un sistema di violenza ed abusi che riassume tutta la “rape culture” patriarcale e clericale, quanto dal Vaticano in giù le direttrici di questo sistema di oppressione sono forti e l’ideologia che lo anima. Tutta la vicenda - e le tante denunce di violenze terribili, disumane, cruente – da settimane vengono ricostruite e pubblicate da Federico Tulli su Left, Federica Tourn su Domani e su Adista.

Forti prese di posizione sono arrivate nei giorni scorsi da "Re-in-surrezione: per S-velare e fermare ogni abuso", rete di persone appartenenti a Donne per la ChiesaOsservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne - OIVD e dal coordinamento Italy Church Too.

Caso Rupnik: non basta più l’indignazione!

Caso Rupnik: non basta più l’indignazione! Siamo determinate ancor di più a condurre una battaglia senza sconti per denunciare le “strutture di peccato” in cui si radica tale “caso”: un impianto di cui la chiesa cattolica è artefice e protagonista. Troppo spesso abbiamo constatato che nei movimenti ecclesiali/congregazioni/culti ci si serve surrettiziamente di alcune categorie ecclesiologiche per usare e manipolare persone (quasi sempre donne) che si avvicinano a tali contesti religiosi in nome di una chiamata spirituale.

Queste donne sono limpide, fiduciose, ignare degli “adescamenti” che troppo spesso - oramai lo abbiamo verificato nella nostra non più breve esperienza - si compiono.

La logica è quella del dominio del chierico maschio “ontologicamente superiore” e in nome dell’“obbedienza”, “umiltà”, “segretezza delle procedure”, “perdono”, del “non infangare una santa istituzione”, della “adorazione verso chi incarna il sacro” e altre categorie “dello spirito”, si cattura la persona in una rete di soprusi, abusi, macchinazioni perverse, dove le logiche della sudditanza e dell’omertà sono la regola. La minaccia è solo allusa: quella di subire le conseguenze di un potere androcentrico totalitario e quindi la condanna all’infamia, oltre che al baratro esistenziale in caso di dissenso conclamato e all’ isolamento senza nessuna via d’uscita percorribile.

La cultura dello stupro (che non è solo fisico, ma anche spirituale) passa di qui. Non ci intratteniamo sui dettagli del caso Rupnik, degno perpetratore di tale cultura. Vogliamo puntualizzare però alcune osservazioni.

Rupnik è sì uno tsunami, ma è solo la punta dell’iceberg: non è la mela marcia dentro a un paniere di mele sane, non è il criminale mentre i suoi sodali sarebbero innocenti. Si tratta di una malattia endemica che pervade il sistema ecclesiastico tutto e che in Italia, in particolare, si tende a occultare.

Sono complici i mezzi di informazione, per lo più muti - tranne alcune lodevolissime eccezioni, a cui riconosciamo di essersi da tempo impegnate seriamente su tali fenomeni, per aver lanciato campagne di stampa e approfondito con inchieste: la agenzia di stampa Adista, la rivista Left, il quotidiano il Domani; complici sono anche i /le cattolici/che che preferiscono non vedere e non sapere. Colluso è anche lo Stato che si mostra indifferente verso la sorte dei suoi/delle sue cittadini/e quando sono violati/e nei loro diritti.

La Compagnia di Gesù non può credere di salvare la faccia dicendo che le vittime si rivolgano a lei e saranno ascoltate e accolte a braccia aperte. È la stessa logica che percorre la CEI, logica che nasconde la strategia del “sopire e tacere”, di manzoniana memoria. Tali atteggiamenti non sono credibili: esigiamo che ci sia una azione giuridica legale pubblica.

Chiediamo altresì che si aprano gli archivi rendendoli accessibili a una commissione indipendente.

E soprattutto affermiamo che il caso Rupnik non deve essere trattato secondo gli stili discorsivi cari alla cronaca scandalistica. È fondamentale che, nella pubblicizzazione di tali eventi, sia invece messa in luce la struttura che permette tali abusi, che li copre con l’omertà dell’istituzione stessa, che per secoli è stata complice, se non prima responsabile, di un habitus androcentrico.

È la struttura misogina gerarchica clericale che inferiorizza donne e laici, considerandoli a “propria diposizione”.