21 gennaio 1921: 100 anni del ‘partito del proletariato italiano’

La lunga e faticosa genesi del partito in due scritti di Gramsci e Togliatti.

21 gennaio 1921: 100 anni del ‘partito del proletariato italiano’
Palmiro Togliatti e Antonio Gramsci, XI Congresso del PCI, 1966 (Archivio fotografico del PCI)

La coscienza delle masse operaie non può essere una vera coscienza di classe se gli operai non imparano a osservare, sulla base dei fatti e degli avvenimenti politici concreti e attuali, ognuna delle altre classi sociali in tutte le manifestazioni della vita intellettuale, morale e politica […] perché per la classe operaia la conoscenza di se stessa è indissolubilmente legata alla conoscenza esatta dei rapporti reciproci di tutte le classi della società contemporanea, e conoscenza non solo teorica, anzi, non tanto teorica, quanto ottenuta attraverso l‘esperienza della vita politica. LENIN, Che fare?, 1902

Al 21 gennaio 1921 è convenzionalmente fissata la nascita del PCd'I, divenuto poi PCI, all'indomani della cosiddetta "scissione di Livorno", cioè la separazione dei comunisti o quanto meno filosovietici dai socialisti di Filippo Turati in occasione del congresso di Livorno del PSI. Tuttavia, è necessario porre la nascita del Partito comunista in Italia come un fenomeno di lunga durata, che, certamente, passa per tappe importanti; il Partito come organismo politico, secondo la logica marxista, viene quindi a cristallizzarsi non nel 1921, tout court, ma, potremmo dire, nel 1926, in occasione del III Congresso dei comunisti italiani a Lione, in cui la linea definitiva (almeno fino al 1948) sarà quella di Antonio Gramsci, elaborata e stesa da Palmiro Togliatti nelle famose Tesi di Lione. È sul periodo intermedio (1921-1926), quindi, che questo articolo vuole discutere, ponendo al centro due scritti fondamentali di Gramsci e Palmiro Togliatti per capire la nascita di un'ideologia di partito e quindi del partito stesso:

Tutta la linea politica negli anni immediatamente successivi alla scissione fu in primo luogo condizionata da questa necessità: di mantenere strette le file del partito, aggredito fisicamente dalla offensiva fascista da una parte, e dai miasmi cadaverici della decomposizione socialista dall'altra. […] Il problema generale politico, inerente alla esistenza e allo sviluppo del partito […] era visto come il problema della esistenza stessa del partito . (1) È su questi due punti – l'aggressione al partito da parte dei socialisti e l'organizzazione del partito – che il presente contributo muoverà la sua analisi, attraverso ‘La nostra ideologia’ di Palmiro Togliatti e ‘La relazione del III Congresso del PCd'I’ di Antonio Gramsci.

1. Questione d'idee e metodo: l'ideologia come costruzionecostituzione del partito in Palmiro Togliatti

Nel III Congresso viene risollevata la questione ideologica del partito. In particolare ci si rifà alla lotta ne L'Ordine nuovo, il giornale gramsciano e dell'avanguardia rivoluzionaria prima della fondazione de L'Unità. Togliatti esprime ne ‘La nostra ideologia’ (2) che ci si attendeva che «non fosse possibile giudicare la nostra ideologia senza esaminare nel suo complesso il movimento». Errore teorico e metodologico che commette chi «non comprende che non esistono per un marxista giuste posizioni esteriori nella lotta del proletariato», cosa che è propria di chi vive al di fuori del proletariato stesso; le accuse mosse da questi "esterni" al proletariato all'avanguardia dell'Ordine nuovo prima e al PCd'I poi sono: 1) di un'origine da atteggiamento non marxista; 2) di volontarismo.

Togliatti nel rispondere al primo capo d'accusa, esprime che i marxisti non possono non prescindere da Hegel, attraverso la via seguita da Marx nel distacco dal filosofo tedesco. E quindi passa a criticare coloro che non si sono inoltrati su vie marxiste ma hanno innovato Hegel, attraverso una nuova idea di Stato (Gentile), di Storia (Croce) e anche di lotta proletaria (Labriola) trasformando chi Hegel, chi anche Marx in qualcosa di metafisico. È proprio con i successori di Labriola che Togliatti scende a confutazione della teoria e pratica come costruzione-costituzione della lotta e quindi del partito del proletariato. L'errore principale è il fatalismo, che nulla ha che fare con il realismo della politica, proprio dei marxisti. Ciò porta a:

La passività, l'assenza di spirito critico, il verbalismo diventavano le caratteristiche della organizzazione politica del proletariato italiano. A un tempo, dalle stesse radici, nascevano il riformismo scettico e traditore e il massimalismo demagogo e poltrone.

L'errore è dunque teorico ma anche di metodo, perché, così facendo, si staccava la classe operaia e il proletariato tutto dal partito, cosa che è un errore politico, ma che porta alla rottura che il gruppo de L'Ordine nuovo ha fatto con la cultura riformista e massimalista del socialismo:

In Italia nessun gruppo sovversivo si era richiamato con tanta energia alla necessità di collegare il movimento operaio e le sue forme al mondo della produzione, ai rapporti esistenti in esso ed alle loro modificazioni. Noi concepivamo la lotta contro i padroni e contro lo Stato, se non in connessione con una trasformazione dei rapporti sociali che (3) doveva partire dal luogo di produzione.

Ne risulta che:

Spettava al partito elaborare questa esperienza [l'acquisita coscienza di classe come forza rivoluzionaria e liberatrice durante il Biennio rosso] e questa coscienza criticamente, svilupparne gli elementi contenuti, porre esplicitamente i problemi politici della classe operaia, risalire dalla fabbrica allo Stato […] ma il partito stesso doveva, nella nostra concezione, prendere come base non solo della sua azione, ma della sua stessa organizzazione la fabbrica.

Di qui, si arriva alla confutazione della seconda accusa, il volontarismo, dove Togliatti pone la questione se sia o meno la rivoluzione un movimento volontario, dipendente dalla Storia o dalla volontà d'organizzazione umana: un partito veramente marxista porrebbe entrambe le variabili, perché i rapporti di produzione sono dipendenti dalla condizione e svolgono la storia, ma la classe ha volontà d'organizzazione, è una forza in movimento e motrice, in cui è compito del partito inserirsi in modo attivo, animatore e coscienza perché:

Se il partito non si comporta così le possibilità di vittoria del proletariato sono irrimediabilmente compromesse. Infatti alle forze proletarie, che devono essere in parte suscitate, in parte rese coscienti di sé, raccolte, ordinate e guidate si oppongono le forze della borghesia […] perché «vuole» impedire che il conflitto tra le forme produttive, generato sul terreno dell'economia, venga risolto nella presente epoca storica con la vittoria del proletariato.

In ultima istanza il compito del PCd'I è quello di accompagnarsi «alla classe operaia» in ogni fase e «accompagnarsi vuol dire adattare a queste posizioni le proprie parole d'ordine e la propria tattica».

2. La relazione al III Congresso e la linea di Gramsci

Dopo la vittoria fascista e i vari influssi dell'Internazionale comunista sul pensiero di Gramsci, urge ricostituire il partito in un nuovo assetto, più organizzato e con una ideologia-tattica solida, perché «tardare ancora a porre in tutta la loro ampiezza le questioni fondamentali di tattica […] avrebbe significato determinare una crisi del partito senza uscita».

È questo che Gramsci esemplifica nell'introdurre la sua ‘Relazione del III Congresso del PCd'I’ per i lettori e i compagni de L'Unità. Questo congresso di Lione del 1926 mostra una rottura col precedente corso del partito dalla sua fondazione a Livorno nel' 21; il nuovo corso sarà improntato sul pensiero gramsciano e sul terreno del marxismo-leninismo e dell'Internazionale, tale da creare un partito stabile per «permettere lo sviluppo normale della sua capacità di direzione politica delle masse e quindi della sua capacità d'azione.» 

Gli obiettivi fondamentali del nuovo partito sono:

a) creare un partito non solo delle istanze proletarie, ma di proletariato: la classe proletaria doveva essere la parte costituente del partito, cioè c'è «necessità che esso sia un partito di classe, non solo astrattamente, cioè in quanto il programma accettato dai suoi membri esprime le aspirazioni del proletariato, ma, per così dire fisiologicamente, in quanto i membri sono in maggioranza proletari.»;

b) Il nucleo della sua organizzazione è il Comitato Centrale, collegato alla classe e sull'esempio marxista-leninista;

c) Il partito come diretto rappresentante e organo politico del proletariato ha come obiettivi quelli di valutare la questione sindacale, i rapporti con le altre forze anticapitaliste (il fronte unico) e la questione meridionale; (4)

d) opporsi all'estremismo interno, allontanamento di Bordiga e sistemazione ideologica, ovvero creazione di un'educazione di partito sulla dottrina marxista, una scuola di marxismo per contrastare il crocianesimo, come riproposizione del materialismo storico corretta.

e) la tattica rimarrà quella della crisi Matteotti, cioè una lotta basata sulla analisi oggettiva della realtà.

E' indubbio che il Partito Comunista italiano nei suoi 70 anni di storia come partito attivo e pulsante della società italiana abbia subito vari nuovi corsi; ma quello che qui si vuole mostrare è che un cambio di passo è un elemento costante del partito dalla sua nascita, perché è un problema e una necessità adattare un partito alla forza in evoluzione della società; nascita che come abbiamo visto non è strettamente quella del 21 gennaio 1921 ma che potremmo definire in fieri.

Qualunque poi siano state le direttive Togliatti o dei segretari successivi, non se ne vorrà qui parlare né tanto meno giudicarle. Quello che il partito ha fatto per l'Italia per 70 anni può essere riassunto nelle parole di Nilde Iotti: «Dall'inizio alla fine della nostra lotta, comunque ci siamo chiamati e qualunque forma abbiamo dato alla nostra attività politica, abbiamo servito per difendere i lavoratori, per garantire la libertà degli individui e la democrazia nel nostro paese».

A 100 anni dalla sua fondazione non si può non ricordare uno dei più grandi protagonisti della Repubblica italiana, animatore e fondatore della stessa. Coloro che si riconoscono in questi ideali, spero chiari da questo contributo, sanno come modulare la lotta; la stessa, in corsi diversi, da cento anni e per (altri) cento.

 

NOTE:

1. A. Gramsci, ‘La relazione del III Congresso del Partito Comunista d'Italia‘, L'Unità, 24 febbraio 1926.

2. P. Togliatti, ‘La nostra ideologia’, L'Unità, 221 [II], 23 settembre1925, in Opere scelte, Roma 1974, pp. 19-24.

3. Si allude allo Stato liberale del governo Giolitti durante il Biennio rosso (post 1917).

4. Si veda a tal proposito l'articolo di Gramsci, ‘Operai e contadini’, L'Ordine nuovo, 3 gennaio 1920, dove egli pone anche il problema dell'organizzazione del proletariato. Anche A.Gramsci, La questione meridionale.

 

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Bibliografia

L’Ordine nuovo 1919-1920 (Opere di Antonio Gramsci IX, Roma 1954);

Bibliografia gramsciana, Francesco Giasi, Maria Luisa Righi (a cura di), Fondazione Gramsci;

L’Ordine nuovo 1919-1920,Valentino Gerratana, Antonio A. Santucci (a cura di), Torino 1987;

P. Togliatti, Opere scelte, GianPasquale Santomassimo (a cura di), Roma 1974;

 

Per una storia del PCI:

P. Spriano, Storia del Partito Comunista italiano, Torino 1969-1975. G. Galli, Storia del Partito Comunista italiano, Milano 2011 [Milano 1953];

L. Canfora, La metamorfosi, Bari 2021.

Giulia Zinedine Fuschino