Rete L’Abuso News, online l’edizione numero 35

Notizie dall’Italia e dal mondo sulle denunce e le lotte contro gli abusi.


Francesco Zanardi – Urbino, la procura apre un fascicolo su don Roberto Pellizzari

È stata ascoltata dalla Procura di Urbino la presunta vittima nell’inchiesta che ha coinvolto, con l’accusa di abuso su minore, il sacerdote 63enne Roberto Pellizzari, attualmente residente in Svizzera, la cui villa di Sant’Angelo in Vado era stata perquisita e posta sotto sequestro due settimane fa dalla polizia scientifica di Ancona.

Gli inquirenti avevano messo i sigilli alla grande abitazione e, per molte ore, avevano passato al setaccio ogni stanza della grande casa messa in vendita dal parroco già dagli inizi del 2022. L’apertura del fascicolo d’indagine, da parte della Procura di Urbino che attualmente sta procedendo d’ufficio, risale al 2023: mesi dopo la Procura ha disposto questa perquisizione su larga scala, con l’utilizzo di otto agenti da Ancona e l’impiego di strumentazioni specifiche volte a cercare non solo impronte digitali ma anche eventuali liquidi biologici.

Secondo fonti giornalistiche svizzere Roberto Pellizzari, per il quale non sono noti provvedimenti restrittivi né procedimenti penali a carico in Svizzera, si trova tuttora a Le Locle, sospeso dall’esercizio delle funzioni sacerdotali ma non trasferito.

Federica Tourn – Il legame fra arte e abusi nell’opera di don Marko Rupnik

L’11 maggio sarà inaugurata la facciata sud del Santuario di Nostra Signora di Aparecida, la seconda basilica più grande del mondo dopo San Pietro in Vaticano. Come nel caso del rivestimento della facciata nord, inaugurata nel marzo 2022, anche i mosaici che ricoprono il lato sud del Santuario portano la firma di Marko Rupnik, l’ex gesuita accusato di abusi su almeno una ventina di donne ed espulso lo scorso luglio dalla Compagnia di Gesù.

L’inaugurazione prevista ad Aparecida per l’11 maggio appare una provocazione per le vittime.

Lo stretto legame fra l’opera artistica di Marko Rupnik e gli abusi da lui commessi è confermato proprio da una delle sue vittime, Gloria Branciani, ex religiosa della Comunità Loyola. Branciani ha raccontato (prima al giornale Domani e poi durante una conferenza stampa, lo scorso 21 febbraio a Roma) di aver subito violenze per nove anni da padre Rupnik, quando il gesuita era il padre spirituale della Comunità Loyola, che aveva contribuito a fondare insieme a Ivanka Hosta all’inizio degli anni ’90 in Slovenia.

«In Rupnik, la dimensione sessuale non si può separare dall’esperienza creativa. Nel ritrarmi, mi spiegava che rappresentavo l’eterno femminino: la sua ispirazione artistica deriva proprio dal suo approccio alla sessualità», spiega Gloria Branciani, che è stata modella di Rupnik quando era ancora studentessa di medicina e frequentava il suo atelier in piazza del Gesù un rom. «Sosteneva che la sessualità si trasforma e viene purificata nell’opera d’arte», aggiunge Branciani.

«Le mie attese spirituali per una riflessione sul rapporto fra arte e liturgia sono state la porta che ha permesso a Rupnik di manipolarmi», conferma suor Samuelle, eremita diocesana in una diocesi francese. Suor Samuelle ha vissuto dal 2010 al 2014 al Centro Aletti, dove era andata a fare pratica come mosaicista nell’atelier guidato dall’ex gesuita.

Per suor Samuelle, il cantiere è stato il luogo dell’approccio sessuale: «nella realizzazione dei mosaici in Italia e all’estero sono coinvolte persone manipolate e molestate da lui – dice la religiosa – oggi che ne abbiamo la consapevolezza, come possiamo pregare davanti a opere fatte da vittime?». Non solo: «Rupnik ha imparato a fare i suoi disegni quarant’anni fa, grazie alle aggressioni sessuali su Gloria – sottolinea suor Samuelle – I mosaici di oggi hanno la radice nel periodo in cui usava le donne come modelle e mezzora dopo abusava di loro ».

Intanto, dopo che il papa ha tolto la prescrizione, si è riaperto il processo a Rupnik per i fatti risalenti all’epoca della Comunità Loyola. Lo scorso 3 aprile l’avvocata rotale Laura Sgrò ha depositato al Dicastero per la Dottrina della fede le denunce di cinque donne, fra cui Gloria Branciani e suor Samuelle.

Fonte: OSV Notizie

Alessio Di Florio – Aggressione e minacce, ha chiuso in anticipo la mostra sessualizzata

“Gratia Plena” è una mostra allestita nell’ex chiesa di Sant’Ignazio di Carpi (Modena), sede del Museo Diocesano, dall’artista Andrea Saltini. Ne abbiamo parlato già nell’edizione numero 31 di questo notiziario. Saltini e chi ospita la sua mostra sono finiti nel mirino di chi lo accusa di blasfemia. Secondo taluni la mostra sarebbe blasfema e in ogni rappresentazione ci sarebbero riferimenti sessuali. Saltini ha smentito e dimostrato che così non è e le immagini sono più che chiare. Nonostante questo nelle scorse settimane, come abbiamo raccontato il mese scorso, c’è stato un crescendo contro di lui che è arrivato a minacce fisiche e un’aggressione.

Nel ventre del mondo cattolico accade anche questo: si minimizzano o si occultano gli abusi, si nasconde il criminale dominio sessuale esistente e si vede – scatenando un’indignazione e una mobilitazione che mai abbiamo visto nei confronti di abusatori e stupratori seriali, pedofili e non solo – una blasfemia sessuale lì dove non c’è. Un dato su cui ci sarebbe molto da riflettere.

Di fronte a tutto questo Saltini ha annunciato di recente la chiusura anticipata della mostra. «La decisione è dettata dal mio precario stato di salute, conseguente all’aggressione e alle continue manifestazioni di dissenso culminate nei noti episodi di violenza fisica e verbale. Per altro, non mi è più possibile sostenere i costi relativi alla sicurezza, prima non preventivati, indispensabili al fine di garantire l’accesso sereno dei visitatori alla mostra e l’incolumità di tutti i collaboratori ed i volontari. Un sentito e doveroso ringraziamento ai curatori della mostra, al mio team ea tutti coloro che mi hanno sostenuto» ha dichiarato Saltini, ripreso dal quotidiano Avvenire.

Federico Tulli – Il santo che copriva i pedofili e il fido scudiero che copriva il santo

Mezzo secolo di accuse. Così titolava nel 2002 una scheda pubblicata su “L’Espresso” da Sandro Magister dedicata a Marcial Maciel Degollado fondatore dei Legionari di Cristo, una congrega di livello mondiale potente all’epoca quanto l’Opus Dei: “Le prime accuse di violenza su minori sono del 1948. Sono trasmessi a Roma dai gesuiti di Comillas, in Spagna, dove Maciel aveva mandato i suoi discepoli a studiare. Ma il Vaticano le lascia cadere. Secondo round nel 1956. Questa volta il Vaticano indaga su nuove accuse ancor più pesanti. Maciel è sospeso per due anni dalle sue funzioni ed esiliato da Roma. Ma nel febbraio del 1959 è reintegrato a capo dei legionari. Terzo. Nel 1978 è l’ex presidente dei legionari negli Stati Uniti, Juan Vaca, con un esposto a Giovanni Paolo II, ad accusare Maciel di comportamenti peccaminosi con lui quand’era ragazzo in Messico. Nel 1989 Vaca ripresenta a Roma le sue accuse. Senza risposta. L’ultima tornata inizia nel febbraio del 1997 con la denuncia pubblica, da parte di otto importanti ex Legionari, di abusi sessuali commessi da Maciel a loro danno negli anni Cinquanta e Sessanta in Messico. Nel 1998, il 17 ottobre, due degli otto accusanti, Arturo Jurado Guzman e José Barba Martin, accompagnati dall’avvocato incontrano in Vaticano il sottosegretario della Congregazione per la dottrina della fede, Gianfranco Girotti, e chiedono la formale apertura di un processo canonico contro Maciel. Il 31 luglio del 2000 Martin, incontra di nuovo in Vaticano monsignor Girotti. Ma senza alcun risultato”.

La situazione per Maciel precipita pochi anni dopo. Nel 2004 il promotore di giustizia, monsignor Charles Scicluna, incaricato dalla Santa Sede di indagare, raccoglie le testimonianze di trenta ex seminaristi Legionari che accusavano Maciel di abusi sessuali e psicologici. Nel 2005 Joseph Ratzinger diventa Benedetto XVI. Il 19 maggio 2006 l’ultraottantenne fondatore dei Legionari viene sospeso a divinis per le violenze pedofile e per aver assolto dei pedofili in confessione, ed è «invitato» dalla Congregazione, con l’avallo di Benedetto XVI, a ritirarsi a una vita di preghiera e di penitenza ea rinunciare a ogni ministero pubblico. Ma Benedetto XVI è, come detto, Joseph Ratzinger, cioè la stessa persona che quando era a capo della Congregazione per la dottrina della fede tra il 1981 e il 2005 sapeva delle accuse contro Maciel Degollado e non ha fatto letteralmente nulla contro di lui. Ecco cosa scrive al termine di un’inchiesta condotta per sei anni i giornalisti statunitensi Jason Berry e Gerald Renner, raccolta nel libro “I Legionari di Cristo. Abusi di potere nel papato di Giovanni Paolo II” (Fazi ed.): “Sotto il papato di Wojtyla, varie inchieste, avviate dopo le numerose accuse di abusi sessuali a carico di Maciel, vennero insabbiate dal Vaticano. Nel 2004, Giovanni Paolo II arrivò a elogiare Maciel durante una solenne cerimonia. E Ratzinger, allora a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede, eluse ogni richiesta di mettere il prete Casabella sotto processo, mentre il segretario di Stato Sodano si impegnò strenuamente per difenderlo. L’inchiesta vaticana è brevemente avanzata dopo la morte di Wojtyla per il quale iniziò subito il processo di beatificazione; ma l’annuncio del Segretariato di Stato (20 maggio 2005) che Maciel non avrebbe dovuto affrontare un processo canonico solleva gravi interrogativi sul nuovo papato. Ancora in settembre, otto mesi prima della punizione inflitta da Benedetto XVI, Sodano invita Maciel a Lucca come ospite ufficiale di una prestigiosa conferenza”.

La tesi di Berry e Renner è convincente, osservò il “Boston Globe”: “Maciel ha compiuto abusi sessuali in serie e avrebbe dovuto essere allontanato dalla Chiesa da lungo tempo, ma è rimasto indenne grazie al potere che ha acquisito in Vaticano sotto Giovanni Paolo II”. Morto Wojtyla la Santa Sede, come da prassi consolidata, si affrettò a sminuire le responsabilità del nuovo papa Ratzinger affidando la ricostruzione ufficiale a un comunicato in cui viene valorizzato il suo ruolo di quando era il capo della magistratura vaticana. Nella nota della sala stampa vaticana del 19 maggio 2005 tra le altre cose si legge: “… l’allora prefetto della Congregazione, il cardinale Joseph Ratzinger, ha autorizzato una investigazione delle accuse. Dopo aver sottomesso le risultanze dell’investigazione ad attento studio la Congregazione, sotto la guida del nuovo prefetto, il cardinale William Levada, ha deciso – tenendo conto sia dell’età avanzata del reverendo Maciel che della sua salute cagionevole – di rinunciare ad un processo canonico e di invitare ilpadre a una vita riservata di preghiera e di penitenza, rinunciando a ogni ministero pubblico. L’attuale Pontefice – cioè Joseph Ratzinger [sic!] – ha quindi approvato queste decisioni. E la Santa Sede – conclude la nota – indipendentemente dalla persona del fondatore, riconosce con gratitudine il benemerito apostolato dei Legionari di Cristo e dell’associazione Regnum Christi”. Cinque anni dopo, nel 2010, quando non sarà più possibile sviare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale dallo scandalo planetario di cui per decenni scanditi da violenze e abusi su donne, ragazzi e minori, si erano resi responsabili decine di membri della congregazione, Benedetto XVI si decise a commissariare i Legionari di Cristo. Come sempre agisce la Chiesa in questi casi, per le vittime, era ormai troppo tardi.