Ventiquattro anni di complicità con mafie e torturatori

QUINTA PARTE. I pescatori di Mazara del Vallo liberati hanno testimoniato la realtà criminale disumana dei centri di detenzione in Libia, centri gestiti da boss e milizie mafiosi e sostenuti da fondi e mezzi europei ed italiani. Europa e Italia che tacciono, esattamente come ventiquattro anni fa cercarono di rendere invisibile la strage di Natale. E il complesso affaristico-mafioso denunciato allora da Dino Frisullo.

Ventiquattro anni di complicità con mafie e torturatori
Dino Frisullo

«L’inchiesta – sulla strage di Natale del 1996 che abbiamo già ricordato nei giorni scorsi - proseguì stancamente, senza risalire la catena assassina oltre gli ultimi esecutori, senza discendere nel mare di Sicilia», per anni il naufragio e tutto quel che accade fu persino negato la denuncia nel 2001 su Il Manifesto di Dino Frisullo.

In quelle settimane il coraggio e la coscienza civile e umana di un pescatore di Portopalo aveva permesso di recuperare il relitto, nessuno poteva più negare. Una ferita sempre aperta e sanguinante sulla coscienza politica e pubblica dell’Italia di allora, anni di silenzi ed omertà che hanno rappresentato una svolta negativa decisiva ancora oggi. E complicità e connivenza con la holding degli schiavisti, come intitolò un articolo su Narcomafie lo stesso Dino. Grazie soprattutto al suo impegno e alle sue denunce (raccolte, appunto, in due articoli su Narcomafie nel settembre 1997), già allora emerse «la fotografia della catena imprenditorial-criminale, con testa turca, armatori greci e tentacoli protesi dai villaggi del Kurdistan e del subcontinente indiano fino alle coste italiane, che mercifica i fuggitivi dalla miseria dell'India e del Pakistan e dalle guerre del Kurdistan, dello Sri Lanka, del Kashmir». 

Il centro dei traffici – secondo l’inchiesta di Dino Frisullo – era Istanbul, dove la mafia turca era «libera di operare quasi alla luce del sole» godendo «della copertura e della connivenza delle autorità».

Complicità e connivenza, quando non sostegno diretto, che – come ha sottolineato una nota dell’Associazione Antimafie Rita Atria dopo la liberazione dei 18 pescatori di Mazara del Vallo rapiti per oltre cento giorni – avvengono da anni in Libia. Le torture, le detenzioni abusive e contro ogni diritto umano, gli stupri e ogni altra violenza che avvengono nei centri per migranti, da parte della cosiddetta Guardia Costiera Libica e da altri avvengono nel silenzio indifferente, nella complicità e soprattutto grazie a fondi e mezzi italiani ed europei. Sostenendo trafficanti e mafie attive tra la Libia stessa, la Malta dove corruzione e criminalità organizzata hanno un peso determinante ad alto livello e l’Italia. A fine gennaio l'Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione (ASGI) ha presentato un esposto alla Corte dei Conti nei confronti dell'Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo(AICS): l'associazione chiede «di approfondire se la condotta dell’AICS risulti in linea con le sue finalità statutarie e con i suoi obblighi di assicurare il corretto impiego del denaro pubblico, accertando le possibili responsabilità dell’Agenzia», « in alcuni centri le ONG italiane sembrino svolgere interventi a beneficio non tanto dei detenuti quanto delle strutture detentive, con attività volte a preservarne la solidità e l’efficienza: come conseguenza, gli interventi potrebbero avere contribuito a rafforzare la capacità del centro di ospitare, anche in futuro, nuovi prigionieri in condizioni irrimediabilmente inumane». L'esposto, sottolinea l'ASGI, « si fonda sul report “Profili critici delle attività delle ONG italiane nei centri di detenzione in Libia con fondi A.I.C.S.”, pubblicato il 15 luglio 2020, nel quale ASGI analizza una serie di documenti ottenuti dal Ministero degli Esteri e AICS a seguito di richieste di accesso civico»

Dafne Caruana Galizia è stata assassinata dopo che lo ha documentato e denunciato.Ad ottobre di quest’anno un reportage pubblicato da due giornali maltesi, fondato  su informazioni confidenziali raccolte dall’Irpi>(Investigative Reporting Project Italy, consorzio giornalistico internazionale che sta portando avanti le denunce di Dafne Caruana Galizia), ha reso rivelato che i due fratelli maltesi Adrian e Robert Agius (sospettati di essere i fornitori della bomba che ha ucciso la giornalista) avrebbero – come ha riportato l’Ansa - legami con la criminalità organizzata siciliana, libica, romena ed albanese.

Tre anni fa il commissario ONU per i diritti umani, Zeid Raad Hussein, ha definito la politica europea di assistenza alla guardia costiera libica, nell’intercettare e respingere i migranti nel Mediterraneo, disumana. Il 3 febbraio di quell’anno a Malta i governi europei hanno sottoscritto un accordo con la Libia per bloccare le rotte dei migranti. Il Fondo fiduciario dell’Ue per l’Africa, su proposta della Commissione europea, il 12 aprile scorso ha approvato un programma di 90 milioni di euro per «una migliore gestione dei flussi migratori» (parole dell’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Federica Mogherini).

Nelle settimane precedenti l’Italia aveva già firmato un trattato con Al-Serraj. Un trattato secondo il quale l’Italia ha fornito elicotteri e fuoristrada, ha contribuito alla formazione della Guardia Costiera Libica e alla creazione della sorveglianza del Sahara. Denunce simili furono sollevate da un reportage de l’Espresso in collaborazione con l’Unicef: «ci sono guardie costiere che recuperano i migranti in mare e li vendono alle milizie che li trasportano nelle prigioni illegali. I migranti sono i bancomat di questo Paese. L’Europa vede, ne è consapevole, eppure ha preferito spostare il problema sulle nostre spalle anziché farsene carico. Preferisce non vedere i morti», denunciò il reportage. «Fingono di arrestare i migranti clandestini e li tengono nei loro centri, senza cibo e senza acqua, prendono loro i soldi, li sfruttano, abusano delle donne e poi li trasportano nella zona di Garabulli per farli partire con i gommoni, con la complicità di parte della guardia costiera» testimoniò un poliziotto locale riferendosi alla brigata Sharikan, una delle più potenti a Tripoli.

Un video amatoriale pubblicato dal Times pochi giorni prima documentò le violenze sui migranti intercettati in mare e riportati in Libia: si vede addirittura Al Bija frustare alcuni migranti con una corda. I trafficanti che non pagano una quota ad Al Bija vengono fermati dalla Guardia costiera e le loro barche requisite.

L’8 maggio 2018 un rapporto della Procura della Corte dell’Aja ha definito il trattamento dei migranti nei centri riconducibili a Bija «crudele, inumano e degradante».  «Le sue forze – viene riportato – erano state destinatarie di una delle navi che l’Italia ha fornito alla Lybian Coast Guard». Mentre la sua milizia avrebbe  «beneficiato del Programma Ue di addestramento» nell’ambito delle operazioni navali Eunavfor Med e Operazione Sophia.

Il memorandum tacitamente rinnovato nel febbraio scorso è stato firmato negli stessi mesi in cui l’Italia accoglieva Abd al-Rahaman al-Milad detto  Bija, considerato il maggior boss del traffico di esseri umani in Libia. Bija fu ospitato dal governo italiano nel maggio 2017 quando partecipò ad un summit internazionale concordare strategie comuni tra Italia e Libia su come bloccare le partenze dei migranti dall’Africa, per poi essere accompagnato in un tour tra alcuni centri per migranti in Italia e la sede della guardia costiera di Roma. Nancy Porsia già mesi prima della firma del memorandum documentò il ruolo centrale di Bija nel traffico e nella prigionia dei migranti in Libia.

 

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