«Bisogna bloccare la produzione per due settimane»

Fca e Sevel annunciano uno stop. Per i rappresentanti sindacali non basta: «Siamo seriamente preoccupati, il rischio è troppo alto. Non si possono rispettare le indicazioni contenute nel decreto. Anche noi abbiamo una famiglia da tutelare. Chiediamo misure più drastiche.»

«Bisogna bloccare la produzione per due settimane»
Image by Michal Jarmoluk from Pixabay

Il decreto “Io resto a casa” parla chiaro: «le regole sono uguali su tutto il territorio nazionale e sono efficaci dalla data del 10 marzo e sino al 3 aprile. Non sono più previste zone rosse. Le limitazioni che erano previste nel precedente dpcm sono cessate. Ormai, con il dpcm del 9 marzo, le regole sono uguali per tutti». Proprio per tutti? Ed ancora si legge nel decreto: «Sull’intero territorio nazionale è vietata ogni forma di assembramento di persone». Ecco il punto.

 

E come funziona per gli operai che lavorano nella fabbriche? Come è possibile contenere l’espansione del virus? «Le grandi e medie imprese – denuncia l’Usb Abruzzo e Molise – non sono in grado di rispettare le indicazioni previste dai decreti». Come si sta affrontando il problema? «Chiediamo il blocco della produzione per 20 giorni, da coprire con gli ammortizzatori sociali». Diverse aziende, tra cui la Sevel e la Fca, hanno annunciato lo stop della produzione. Può bastare? E quali sono le risposte della politica nazionale e regionale? Non sono ancora pervenute. «La proposta di fermata per consentire una ripartenza in sicurezza per i lavoratori è il punto centrale della richiesta della Fiom, condivisa con le altre organizzazioni sindacali, che Fca ha accettato», dichiarano in una nota congiunta Francesca Re David, segretaria generale Fiom-Cgil e Michele De Palma, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile automotive. «Lo stabilimento di Pomigliano si è già fermato oggi, viste le criticità emerse ieri». Basterà fermarsi per qualche giorno?

 

«Vietano gli assembramenti - afferma Andrea Di Paolo, del Sindacato operaio auto organizzati della Fiat di Termoli – però, nello stesso tempo, si creano assembramenti dentro la fabbrica, dove ci sono 2500 persone ed è inevitabile il contatto, come ad esempio sulle catene di montaggio. Poi ci assembriamo nelle mense, in più ci sono gli operai che arrivano da fuori con i pullman. Nel decreto si pensa alle scuole e a tutto il resto, però questo problema non è stato affrontato. Le attività produttive non sono state toccate, meglio non toccare il privato, in questo caso la Fiat. Il problema sta venendo fuori perché lo abbiamo denunciato». Il rischio di contagio è serio: «ogni turno di lavoro è composto da 500 operai». Ma si sono registrati casi all’interno dell’azienda di Termoli? «Quattro o cinque operai che stanno in quarantena. Hanno lavorato normalmente, a contatto con altri operai». Ma qual è la richiesta dei rappresentanti degli operai? «Abbiamo presentato le nostre richieste alla Fiat e al presidente della Regione Molise Toma, che fa sempre scena muta. Abbiamo chiesto un incontro, abbiamo inviato una missiva, ma nessuno ha risposto. Tutti gli altri devono stare a casa e gli operai devono andare a lavorare? Anche noi abbiamo famiglia e corriamo seri rischi. Produciamo motori, cambi, che non sono beni di prima necessità. Ora basta con le chiacchiere».

 

In tarda mattinata la Fiat di Termoli ha deciso per una chiusura parziale. Ma cosa significa? Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Tarantino, segretario regionale della Fiom Molise: «Per quanto riguarda Termoli la chiusura è parziale, fermeranno i reparti del motore “8 valvole” (giovedì e venerdì), motore “16 valvole” (due turni giovedì) e il cambio “m40” (giovedì e venerdì), mentre il motore “t4” continuerà a produrre, insieme al cambio “c520” e “c525”. La scelta dell’azienda è andare verso la sanificazione delle varie zone e, quindi, programmare delle azioni precauzionali. Ma va in contraddizione, perché lascia una parte di lavoratori all’interno a lavorare. Una parte sta a casa e un’altra parte, che si occuperà di produzioni che vanno all’estero, continuerà a lavorare». La chiusura parziale è prevista per giovedì 12 e venerdì 13 marzo. «Dalla settimana prossima tutto dovrebbe rientrare, a ameno che non ci sarà un decreto o un’altra decisione di Fca. Questa soluzione non ci soddisfa, perché tutti i lavoratori sono uguali. Andava fermato tutto lo stabilimento in attesa di una programmazione seria. Capisco le esigenze aziendali, ma la salute viene prima di tutto. Ci potrebbe essere un picco all’improvviso e nel Molise non sappiamo nemmeno com’è la situazione, perché la Regione, forse, non dice tutto rispetto ai tamponi e alle varie problematiche». Quanti saranno i lavoratori che dovranno produrre questo motore e questo cambio? «Circa 300 sul motore “t4”, sul cambio altri 300, quindi 600 persone. L’azienda, dall’incontro avuto, ha ribadito che le distanze ci sono e prenderanno le dovute precauzioni con mascherine e igienizzanti. Vista la situazione è meglio essere cauti in questo momento».

Che significa “la Regione Molise non dice tutto”? «Basta vedere la chiusura dell’ospedale di Termoli, dove ci sono 100 mila abitanti e un nucleo industriale con 5mila addetti circa e non si fa nulla per aprire un pronto soccorso e una rianimazione, in previsione di qualche picco di questo virus che potrebbe colpire cittadini e lavoratori. È da sprovveduti non programmare un’apertura a Larino e va contro i principi e conto la prevenzione. Lo stabilimento va fermato, come fatto negli altri stabilimenti». Ci sarà un azione più forte della Fiom? «Dobbiamo valutare con i delegati e i lavoratori».

 

La stessa situazione si vive e viene denunciata da altri lavoratori e rappresentanti sindacali in altri stabilimenti. Abbiamo raccolto anche la testimonianza di Romeo Pasquarelli, dipendente della Sevel di Val di Sangro e componente dell’esecutivo regionale dell’Usb: «Se si sviluppa un focolaio all’interno dell’azienda si ramifica il virus in tutti i paesi. Dobbiamo considerare che nella Val di Sangro, non solo in Sevel ma anche in altre aziende, ci sono situazioni in cui molte persone arrivano dalla Campania, dalla Puglia, dal Molise. La situazione è molto preoccupante dal punto di vista sanitario, anche perché andremo ad ingorgare il sistema sanitario e sappiamo benissimo in che condizioni abbiamo la sanità abruzzese e molisana. Le nostre richieste sono state inviate ai presidenti di Regione, ai prefetti, alle Asl. È quasi impossibile riuscire a rispettare il decreto».

Ma perché è “quasi impossibile” rispettarlo? «Solo come dipendenti diretti della Sevel siamo 6mila, ma dobbiamo considerare che all’interno lavorano anche aziende esterne che coinvolgono tante altre persone. Possiamo dire che la cifra si aggira intorno alle 7mila persone. Durante le lavorazioni, sulle catene di montaggio, è quasi impossibile lavorare a distanza. Alcune lavorazioni si eseguono uno accanto all’altro, non c’è una distanza di sicurezza. hai la pausa ogni due ore e mezza e lavarsi le mani diventa complicato. Il rischio è altissimo». Cosa chiedete? «Chiediamo il blocco della produzione per almeno due settimane. Sembra assurdo dire alle persone di restare a casa e poi si muovono per andare a lavorare, salgono su autobus dove la misura del metro di distanza non garantisce la propagazione del virus. Ognuno torna a casa, ha una famiglia, ha dei parenti. Ci sono anziani, persone con problemi a cui il virus potrebbe generare situazioni gravissime. Questa è la nostra preoccupazione».

Perché questo decreto non è stato esteso a tutti? «Per una questione economica, l’impatto sull’economia sarà devastante. Bloccare tutto significa creare situazioni difficili. Ma più tardi si prendono provvedimenti seri, come è stato fatto in Cina, e più il rischio si allarga. E le conseguenze possono essere ancora più gravi». Ma chi sta rispondendo a queste richieste? Bisogna aggiungere che c’è stata la presa di posizione di Sevel, uno stop per qualche giorno. Può bastare? «Risposte da nessuno. Sì, questa mattina Sevel e le aziende collegate hanno annunciato uno stop produttivo da domani a lunedì mattina, cercheranno di organizzarsi per garantire la distanza tra i lavoratori, tenendo a casa il 30% del personale. Crediamo che i governi regionali e nazionale debbano prendere misure più drastiche».