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Afghanistan, anni di pedofilia dilagante

by Alessio Di Florio
22 Settembre 2021
in Approfondimenti
Reading Time: 5 mins read
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L’Afghanistan non è sbucato in queste settimane da un buco nero e, dopo la guerra iniziata nel 2001, nessun paradiso l’ha avvolto. È  terra insanguinata da decenni di guerre, terrorismo, oppressione, occupazione, crimini feroci e disumani. Donne e infanzia sempre tra le maggiori vittime, come in ogni barbarie i più deboli e fragili sono i più colpiti. Centinaia di bambini detenuti per presunto terrorismo, spesso vittime di tortura in carceri gestite dalle forze di sicurezza governative ha denunciato due mesi fa Human Rights Watch.

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«La Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama) ha scoperto che i bambini detenuti in Afghanistan per accuse relative alla guerra avevano maggiori probabilità degli adulti di denunciare la tortura. Quasi il 44% dei bambini intervistati nel 2019-2020 ha fornito resoconti credibili di torture o maltrattamenti, rispetto a circa il 32% di tutti i detenuti – riporta il sito web di Osservatorio Diritti – Interviste casuali dell’Unama durante quel periodo hanno trovato bambini di 10 anni detenuti in strutture militari o di sicurezza. Durante il conflitto in Afghanistan, forze armate e gruppi hanno reclutato migliaia di bambini sia per ruoli di combattimento sia di supporto, in violazione del diritto internazionale. I talebani, l’IS-KP e altri gruppi armati hanno usato i bambini per compiere attacchi suicidi, piazzare ordigni esplosivi e partecipare alle ostilità. Anche le forze di sicurezza afghane hanno reclutato e utilizzato ragazze e ragazzi». Tra gli abusi e le violenze sistematiche contro l’infanzia non manca lo stupro e lo sfruttamento pedofili. Lo ha ricordato di recente il presidente di PeaceLink Alessandro Marescotti. 

«In alcuni paesi del mondo i bambini hanno un prezzo, chi lo paga ne decide anche l’identità. Accade in Afghanistan e loro sono i bacha-bazi – la denuncia già 6 anni fa del portavoce di Unicef Italia Andrea Iacomini – È una pratica atroce, anche se socialmente accettata, perché protetta dallo scudo della tradizione secolare di questo paese. Sono abusi di cui si parla poco, che ancora oggi rappresentano un tabù. I bacha-bazi sono letteralmente i “bambini per gioco”, minori, maschi, costretti a indossare abiti femminili ed essere sfruttati sessualmente da uomini molto più grandi di loro». Nel 2019 il Parlamento Europeo votò una risoluzione in cui si esortava « il governo afghano ad avviare una campagna nazionale per educare la società al divieto del bacha bazi». Rimasta lettera morta mentre i signori della guerra e delle armi hanno continuato ad aumentare i propri affari, anche in tempi di pandemia, sulle sofferenze e le morti atroci del popolo afghano.

Il bacha bazi, la denuncia di Vittoria Paterno di Amistades un anno e mezzo fa, è tornato a crescere esponenzialmente dal 2002, «anche nelle principali città come Kabul e Kandahar». Praticato «da uomini ricchi o signori della guerra» e dalle «forze di polizia afghana». Dopo il 2002 e il nuovo esplodere di questo crimine pedofilo «la complicità del governo – ha sottolineato Vittoria Paterno – divenne, quindi, rapidamente un problema. Secondo quanto riferito, molti funzionari di alto rango risultano coinvolti nei bacha bazi e raramente sono perseguiti dai loro colleghi. La maggior parte delle persone coinvolte hanno pagato tangenti o hanno avuto rapporti con forze dell’ordine, pubblici ministeri o giudici compiacenti, che li hanno effettivamente esentati dall’accusa». Il bacha bazi, denunciò l’analista, è «una forma di schiavitù sessuale contemporanea dei bambini che mette in pericolo la vita di giovani ragazzi vulnerabili. Lasciandoli con poca o nessuna abilità per perseguire una vita significativa».

«I genitori vengono persuasi a consegnare i propri figli in cambio di un esborso finanziario, anche sotto forma di alimenti e terre, con la promessa che riceveranno in cambio lavoro e istruzione. Altri invece vengono rapiti senza possibilità di scelta – riportò nell’articolo pubblicato sul sito di Amistades Vittoria Paterno – Apparentemente i giovani lavorano come ballerini a feste private, in realtà molti di loro sono costretti ad avere rapporti sessuali con i loro padroni.

I ragazzi che si rifiutano di farlo vengono spesso violentati, senza avere alcuna possibilità di denuncia poiché la legge non li proteggerebbe, anzi rischierebbero altre violenze o la loro stessa vita. È accaduto, infatti, che alcuni di essi siano stati condannati a morte per il reato di omosessualità, punito duramente in Afghanistan specialmente nelle aree rurali dove i capi villaggio hanno un potere assoluto». I bambini vengono drogati con oppiacei e subiscono le peggiori torture e violenze che possono anche ucciderli.

Il “Dossier Afghanistan” numero 87 del 21 settembre 2011, realizzato da Rai World e pubblicato sul sito del Ministero degli Affari Esteri, pubblicò un articolo de La Stampa in cui veniva sottolineato che «la povertà endemica di alcune zone dell'Afghanistan sta costringendo molte famiglie in condizioni di miseria a vendere i propri figli per sopravvivere, segnala Radio Free Afghanistan. Associazioni a tutela dei diritti umani hanno riferito che nella provincia settentrionale di Jawzjan – una delle regioni meno sviluppate del  Paese – questo triste fenomeno è in continuo aumento. Un rapporto pubblicato nel 2010 dalla ONG Internazionale 'Save the Children', dedicata all'abolizione del lavoro minorile nel mondo, rivela che circa il  28% di tutti i bambini tra i 5 e i 15 anni residenti a Jawzjan è stato venduto dai propri genitori o tutori».

«Numerose famiglie povere mandano i propri figli ai lavori forzati, li vendono per lo sfruttamento sessuale, o li costringono a matrimoni precoci» denunciava il rapporto di Save The Children.

Il 21 Agosto 2015 (articolo che risulta essere stato aggiornato il 2 maggio dell’anno successivo) Fox News pubblicò la notizia di un militare pluridecorato costretto a lasciare l’esercito dopo essersi scontratato con un comandante della polizia afghana a Kunduz. Alla base dello scontro la scoperta da parte del militare che il comandante aveva rapito e violentato sessualmente un ragazzino di 12 anni e, successivamente, aveva picchiato la madre che aveva scoperto lo stupro.

Lo stesso anno il New York Times definì dilagante il bacha bazi tra l’esercito statunitense e la polizia afghana, l’articolo riportò il caso di un bambino tenuto incatenato al letto e ripetutamente stuprato, trattato come “schiavo sessuale” da un comandante afghano. Il quotidiano ha pubblicato una nuova inchiesta il 23 gennaio 2018 denunciando ancora una volta il dilagare di questi crimini, soprattutto nell’esercito e nella polizia afghana, e le complicità dei militari statunitensi. 

WORDNEWS.IT © Riproduzione vietata

 

 

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Alessio Di Florio

Vicedirettore WordNews.it - È nato ad Atessa (Chieti), nel 1984. Attivista e volontario di varie associazioni e movimenti culturali, ambientalisti, pacifisti e di lotta alle mafie. Collaboratore della redazione abruzzese di Pressenza e di TeleJato.it. Ha collaborato con Adista, Primadanoi, Terre di Frontiera, Unimondo, Libera Informazione, Popoff Quotidiano e SocialPress. Ha curato, per oltre dieci anni, il sito personale del giornalista e regista RAI Stefano Mencherini, dove è stata curata la diffusione e la pubblicizzazione del documentario d’inchiesta «Schiavi. Le rotte di nuove forme di sfruttamento», con il quale è stata portata avanti la “Campagna di sensibilizzazione per l’informazione sociale”, in collaborazione con MeltingPot e Articolo21, e per la creazione di un Laboratorio permanente di inchiesta e documentari sociali in RAI, nata per rompere la censura televisiva del documentario d’inchiesta “Mare Nostrum”. Articoli su tematiche sociali e culturali sono stati pubblicati dal mensile Vasto Domani. Per contatti: redazione@wordnews.it

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