Fame di pelle di Mino Dentizzi

Pubblichiamo questo stupendo articolo del Dottor Mino Dentizzi che, con la sua sensibilità umana e la sua competenza scientifica , ci offre una riflessione profonda sulle dinamiche psicologiche, scatenate dal Covid 19 , da quel che viene definito "Distanziamento sociale" e che diventa la privazione più disumana.

Fame di pelle di Mino Dentizzi

L'astinenza da contatto fisico ci ha accompagnato per molti mesi ed è ancora fortemente raccomandata per non offrire al coronavirus SARS-CoV-2 possibili occasioni di diffusione, infatti sono tuttora in vigore le norme che prevedono l’obbligo del distanziamento sociale a un metro.

Il coronavirus ci ha scippato tanta parte della nostra umanità e di questo ci siamo accorti tutti: ci è mancato il contatto fisico con le altre persone, ad iniziare da gesti emblematici come i baci, gli abbracci, o anche come una semplice stretta di mano.

Questi lunghi mesi senza abbracci, in cui siamo stati costretti a inibire le coccole, le strette di mano, le cene in compagnia e le altre forme di vicinanza fisica per proteggere noi stessi e gli altri dal COVID-19, quasi sicuramente causerà notevoli conseguenze psicologiche: ricadute sull'umore, dallo stress all'insonnia, fino alla depressione.

Però, per la persona il contatto fisico è una necessità primaria: l'astinenza da tocco altrui ha una denominazione scientifica: skin hunger, ossia, tradotto letteralmente, "fame di pelle”.

Il nostro sistema nervoso è progettato per rendere il tocco un'esperienza piacevole, per aumentare le nostre sensazioni di benessere nei contesti sociali. Tale modalità è presente soltanto negli animali sociali che hanno bisogno di stare insieme per ottimizzare le probabilità di sopravvivere.

Il Covid-19 ha provocato una sorta di sfiducia nei confronti di qualsiasi pelle che non sia la nostra e, poiché la nostra pelle ci dà il mondo e ci offre anche gli altri, questa assenza di contatto ci ha privato di qualcosa di più che non la semplice possibilità di stringere la mano ad un’altra persona.

La pelle ha fame di pelle, dunque, non di plastica. Vogliamo illuderci che sfiorare gli schermi, i touch screen di smartphone e tablet possa sostituire il calore umano.

Il contatto fisico è indispensabile alla vita di tutti, allo sviluppo dei neonati, alla memoria dei malati di Alzheimer, al rafforzamento del sistema immunitario, alla guarigione.

Il contatto fisico è un bisogno biologico primaria: è la ragione per cui i neonati sono appoggiati al petto nudo dei genitori, e una delle prime privazioni percepite da chi è costretto a stare per lunghi periodi in isolamento carcerario. Il contatto fisico alla nascita è il senso più sviluppato affinché si possano avere sia esperienze positive del proprio corpo e, allo stesso tempo sviluppare sicurezze di sé e fiducia negli altri.

Il grande filosofo Immanuel Kant nella Antropologia (1798) riconobbe nella mano, nelle dita, nella punta delle dita, gli organi senza i quali il concetto non sarebbe afferrabile, ovvero pensabile.

E non fu Aristotele a definire il tatto il principe dei sensi?

Non a caso quando qualcuno ci interessa, ci attrae, e gli rivolgiamo in nostro pensiero, diciamo ci ha “toccato” il cuore!

Il non potere avere contatti fisici ha modificato anche l’atto medico, la cura e l’assistenza delle persone fragili. Il volere proteggere non solo se stessi, ma anche il corpo dell’altro o dell’altra impone la distanza, l’assenza di relazione corporea e dunque della cura così come l’abbiamo sempre vissuta. Chi cura è inclinato sul più debole, ma con la cura del corpo in tempo di Coronavirus questo è proibito perché toccando l’altro il virus può circolare.

Il non toccarsi, però, può favorire lo sviluppo e il rafforzamento di altri modi di comunicare sentimenti, con lo sguardo, con il sorriso, con l'attenzione, con l'ascolto. Il non avere contatto fisico potrebbe forse scatenare emozioni più reali.