«Costi quel che costi»

AMBROSOLI: L'EROE BORGHESE UCCISO DAI POTERI FORTI. «Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi».

«Costi quel che costi»
ph gruppolaico.it

LA STRUGGENTE LETTERA ALLA MOGLIE

Anna carissima,

è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica.

Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto.

È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il paese.

Ricordi i giorni dell'UMI, le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant'anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito.

Con l'incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato - ne ho la piena coscienza - solo nell'interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie.

Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo.

Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [... ]

Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa.

Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell'altro... 

Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi [...]

Giorgio

Giorgio Ambrosoli nasce il 17 ottobre del 1933 a Milano: la madre è Piera Agostoni, il padre è Riccardo Ambrosoli, avvocato impiegato presso la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde nell'ufficio legale.

Frequenta il liceo classico "Manzoni" della sua città; poco dopo, si avvicina a un gruppo di studenti monarchici, che lo inducono a militare nell'Unione monarchica italiana.

Nel 1952 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza; si laurea nel 1958 alla Statale con una tesi sul Consiglio Superiore della Magistratura e l'esame da procuratore (in diritto costituzionale). 

All'inizio degli anni Sessanta si sposa con Anna Lori. Dal 1964 si specializza in ambito fallimentare, e in particolare nelle liquidazioni coatte amministrative; per questo viene scelto per cooperare con i commissari liquidatori che si occupano della Società Finanziaria Italiana.

La Banca Privata Italiana

Nel 1968 diventa padre di Francesca, mentre l'anno successivo nasce Filippo; nel 1971, arriva il terzo figlio, Umberto.

Nel settembre del 1974 Ambrosoli viene nominato dal Governatore della Banda d'Italia, Guido Carli, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, che il "banchiere" siciliano Michele Sindona aveva portato a rischiare il crack finanziario: compito dell'avvocato è quello di analizzare la situazione economica derivante dagli intrecci tra finanza, politica, criminalità organizzata siciliana e massoneria. 

Giorgio Ambrosoli riceve una relazione sulle condizioni della banca da Giovanbattista Fignon, direttore centrale del Banco di Roma a cui era stato assegnato il compito di garantire un prestito a Sindona e che era diventato amministratore delegato e vicepresidente della Banca Privata Italiana, che riuniva gli istituti di credito del banchiere siciliano.

Le indagini di Ambrosoli

La relazione di Fignon è tutt'altro che rassicurante, vista la gravità della situazione, e ricostruisce le numerose operazioni che avevano contribuito alla nascita e all'espansione del sistema societario di Sindona. Nominato quindi commissario liquidatore, Ambrosoli riceve l'incarico di dirigere la banca, e ha l'opportunità di scoprire e analizzare da vicino le intricate operazioni intessute dal finanziare di Patti, a partire dalla Fasco, la società controllante che rappresenta l'interfaccia tra le attività nascoste e quelle conosciute del gruppo.

L'avvocato lombardo si accorge delle numerose e gravi irregolarità commesse da Sindona, e soprattutto delle molte falsità che compaiono nelle scritturazioni contabili; si rende conto, inoltre, delle connivenze e dei tradimenti compiuti da vari pubblici ufficiali.

La resistenza alla corruzione

Ambrosoli inizia a subire tentativi di corruzione e pressioni che mirano a indurlo ad avallare documenti che testimonino la buona fede di Sindona, in modo da evitargli qualsiasi coinvolgimento sia civile che penale. Ambrosoli, pur essendo conscio dei rischi a cui sta andando incontro, non cede: nel febbraio del 1975, in una lettera indirizzata alla moglie Anna, le comunica di essere in procinto di effettuare il deposito dello stato passivo della Banca Privata Italiana, spiegandole di non avere timori nonostante i problemi che tale atto causerà a molte persone.

Il coinvolgimento dell'Fbi americana

Durante le sue indagini, l'avvocato scopre anche le responsabilità del criminale Sindona verso la Franklin National Bank, un istituto statunitense che versa in pessime condizioni economiche: per questo motivo le indagini non coinvolgono unicamente la magistratura italiana, ma addirittura l'Fbi.

Nuove minacce

Oltre ai tentativi di corruzione, deve fare i conti con vere e proprie minacce esplicite: ciò non lo distoglie, in ogni caso, dall'intenzione di riconoscere la responsabilità penale di Sindona e di liquidare la banca. Avvalendosi del supporto politico di Ugo La Malfa e di Silvio Novembre (un maresciallo della Guardia di Finanza) come guardia del corpo, però non ottiene alcuna protezione dallo Stato, a dispetto delle minacce di morte ricevute.

Ambrosoli ha anche il sostegno del governatore di Bankitalia Paolo Baffi e del capo dell'Ufficio Vigilanza Mario Sarcinelli, ma entrambi nella primavera del 1979 vengono incriminati per interesse privato in atti d'ufficio e favoreggiamento personale nell'ambito della vicenda Banco Ambrosiano (Roberto Calvi). 

Giorgio Ambrosoli riceve numerose telefonate anonime di carattere intimidatorio da parte di un interlocutore dal forte accento siciliano, che gli ordina, in maniera sempre più esplicita, di ritrattare la testimonianza che aveva fornito ai giudici statunitensi che stavano indagando sul fallimento del Banco Ambrosiano (nel 1997, in occasione del processo a Giulio Andreotti, sarà rivelato che l'autore di quelle telefonate, che includevano anche minacce di morte, era il massone Giacomo Vitale, cognato del boss di mafia Stefano Bontate).

Minacce ad Ambrosoli - Registrazioni Telefoniche

L'omicidio di Giorgio Ambrosoli

Nonostante il clima di tensione sempre più rischioso, Giorgio Ambrosoli continua a condurre la propria inchiesta, pur osteggiato da pressioni politiche evidenti. 

La sera dell'11 luglio del 1979, mentre sta tornando a casa dopo avere passato qualche ora in compagnia degli amici, l'avvocato milanese viene avvicinato da uno sconosciuto davanti al portone di casa: l'uomo (William Joseph Aricò, un malavitoso americano pagato 115mila dollari da Sindona), dopo essersi scusato, gli spara quattro colpi 357 Magnum, che lo uccidono.

Ai funerali non parteciperà nessuna autorità pubblica. 

 

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