Il magistrato assassinato per il dovere

Dopo la Colombia l’Italia è il Paese con il più alto numero di magistrati assassinati. Tra questi Emilio Alessandrini, assassinato da un commando di Prima Linea il 29 gennaio 1979

Il magistrato assassinato per il dovere
Concessa gentilmente dalla famiglia Alessandrini

«Sarà per il rigore che dimostra nelle sue inchieste, Alessandrini è il prototipo del magistrato di cui tutti si possono fidare» così Walter Tobagi ricordò il giudice Emilio Alessandrini il giorno successivo al suo omicidio. Sostituto procuratore a Milano dal 1968 Alessandrini ha seguito il processo per la strage di Piazza Fontana e le indagini sul terrorismo politico e sulla strategia della tensione, arrivando ad imbattersi nei servizi segreti deviati del Servizio Informazioni Difesa.

Fu assassinato da un commando di Prima Linea il 29 gennaio 1979 poco dopo aver accompagnato il figlio Marco a scuola. E proprio alle parole di Marco Alessandrini, oggi avvocato a Pescara, abbiamo affidato il ricordo di Emilio e una riflessione sugli anni Settanta e il confronto con gli attuali.

Lei era giovanissimo quando fu assassinato suo padre. Spesso nel ricordare grandi figure come Emilio Alessandrini si tende a trascurare l’aspetto personale e privato. Le chiedo un ricordo di quei giorni e di quello che suo padre ha trasmesso a lei e alla sua famiglia.

Mi vengono in mente le parole di un grande giornalista che ho molto amato, Enzo Biagi: "non si impara mai la scienza dell’addio". Il senso di vuoto permane sempre davanti ad un fatto che ha sconvolto la vita di tutta la nostra famiglia. Ma è necessario andare avanti e non volgere sempre lo sguardo indietro cercando di non dimenticare le nostre radici. Una peculiarità dell’ultimo decennio è quello di ricordare, e spesso mi è stato chiesto, la figura di Emilio Alessandrini. Il terrorismo è stato una materia tabù per almeno 30 anni, abbiamo assistito ad un assordante silenzio che oggi è stato sostituito da un paradigma memoriale, un eccesso di memoriali.

Secondo lei perché c’è stata questa lunghissima rimozione e oggi questa riscoperta, una sorta di risciacquatura delle coscienze che forse si sono sentite in colpa per l’assordante silenzio precedente?

Il terrorismo è stato considerato per troppo tempo solo un’emergenza giudiziaria, oggi l’approccio è ormai storico. La mancanza di memoria storica è un dato visibile nella nostra quotidianità, oggi più che mai. Lo dimostrano i social network dove trovano spazio ricostruzioni molto superficiali dell’attualità e ancor di più della storia.

Ci sono state in quegli anni forze oscure che hanno agito contro la democrazia e le istituzioni, in parte di suoi rappresentanti deviati e infedeli. Negli anni Settanta ci sono stati molti fatti di sangue apparentemente slegati tra loro. L’assassinio di suo padre come si inserisce in quel contesto storico e nella deriva violenta della politica di quegli anni?

Mio padre ha pagato la follia ideologica di quegli anni in cui tanti magistrati, forze dell’ordine, giornalisti, sindacalisti, operai, medici e persone che si sono ritrovate nel posto sbagliato al momento sbagliato. In questo contesto si inseriscono gli omicidi politici, come quello di mio padre, e lo stragismo indiscriminato di cui massimo esempio è stata Piazza Fontana. Una strage di cui dopo cinquant’anni non abbiamo un colpevole in sede giudiziaria, anche se la sentenza definitiva permette di documentare le responsabilità della destra neofascista e di pezzi dei servizi segreti deviati. Escluso l’omicidio di Aldo Moro sugli altri omicidi politici ormai è stato accertato tutto, l’anno scorso si è cercato di legare l’omicidio di mio padre alla P2 ma non è assolutamente vero. L’Italia è superata solo dalla Colombia nel numero di magistrati assassinati: oltre mio padre furono assassinati molti altri magistrati tra cui Galli, Minervini, Giacumbi e Amato nel 1980 in poche settimane. I volantini di rivendicazione dell’epoca fa paura rileggerli oggi per il senso di intossicazione ideologica. Oggi è difficile spiegare alle nuove generazioni cosa sono stati quegli anni: così come adesso i giovani trascorrono i fine settimana nelle vie dello shopping allora si incontravano per scontri violenti, portando anche alla morte di tanti. Gli anni settanta non sono stati, va rimarcato, solo gli anni del terrorismo ma un caleidoscopio complesso di conquiste di importanti diritti civili e di sperimentazione musicale e culturale.

Gli uomini delle istituzioni assassinati sono spesso visti in maniera asettica e semplicatoria, come se non avessero idee, ideali e sentimenti. Non è ovviamente così. Alla lettura degli insegnamenti e degli ideali di suo padre oggi cosa può essere trasmesso e letto in questo nostro tempo?

Una risposta può venire dalle parole di una magistrata con la schiena dritta che conobbi alcuni anni fa, con cui è nato un bel rapporto di amicizia, Alessandra Dolci, procuratore aggiunto a Milano nella Direzione Distrettuale Antimafia. Alcuni anni fa fu premiata a Pescara e disse «a me piace tanto il mio mestiere di magistrato e sono sorpresa che mi paghino per farlo», parole molto simili a quelle che diceva mio padre. Ci sono tante persone che in tanti ambiti fanno con passione ed impegno il loro lavoro, come ha fatto Emilio Alessandrini.