«Armida» di Elvira Delmonaco Roll

Ritorna la recensione letteraria di “Occhio all’autore” con un libro che parla del Molise, del piccolo borgo di Pietracupa con la sua Morgia che sovrasta la splendida architettura delle case e delle strade e impone la sua maestosità come a difesa del territorio.

«Armida»  di Elvira Delmonaco Roll

Ho finito di leggere a notte fonda l'ultimo romanzo della mia amica scrittrice di origini pietracupesi, Elvira Delmonaco Roll dal titolo “Armida”.
Un libro che porta in sé la ferocia della bellezza della vita che può imbastardirsi fino a perdere anche l'angolo più oscuro della vita, se così si può chiamare ancora. E’ quella della protagonista Armida, di cui si traccia un ritratto psicologico che innesta le sue radici sulla forza ancestrale del vissuto, scavato nelle notti di solitudine, quelle di una moltitudine di uomini e donne, rivestiti dal volto brutale della solitudine, della disperazione, del mancato riconoscimento sociale ed umano.

Un mondo che si traduce nella finta “normalità” che trova spazio nello stereotipo della verticalizzazione familiare dei ruoli, allora definiti fissi e irremovibili.

Il ruolo della donna secondario e marginale, venduta e sfruttata, amata e odiata da un uomo che rivendica continuamente il suo insano possesso, per affermare la sua superiorità, proveniente dalla gerarchia sociale consolidata dalla notte dei tempi.

Angoscia, superstizione, ignoranza fanno da contorno alla linea terribilmente marcata della follia che accompagnerà i passi della giovane donna che vive in simbiosi con un’altra figura femminile molto interessante, Leontina. Sua parente è scampata all’essere definita “reietta” per una scelta d’amore spregiudicata e che trova la sua salvezza in un matrimonio felice, allontanandosi dal paese natale.

Sarà proprio lei, sfidando la sorte nel periodo buio della Grande guerra, costretta a ritornare dal Belgio,  a salvare Armida dal suo rassegnato dolore in quella casa  dove serpeggia il disprezzo, la malversazione e la piena disumanizzazione.
Dal come potevamo essere si passa a quello che siamo diventate, un viaggio di due donne, complici nella freschezza della gioventù generosa e poco avara per passare alla dura condizione determinata dall'ingrata sorte che falcia la speranza di essere felici in un mondo di frustrazione e disperazione.

Donne maltrattate che gridano vendetta ancora oggi in un mondo che è segnato dall'incuria dei sentimenti fissati nell'insano senso di possesso. 
La radice del male oggi come allora per tutte le Armide del mondo, l'essere donna. 

Un ritratto psicologico e antropologico della società rurale del primo Novecento attraverso un linguaggio asciutto e una prosa che incanta. 
Un libro che mi ha fatto vivere, come tutti i libri che
sanno cullare, la piacevolezza dell'abbandono alla realtà altra che solo un buon libro sa fare.