Considerazioni in libertà sulla protesta degli agricoltori
L'OPINIONE. «In un mondo, in una economia legata alla globalizzazione dei mercati, alla dimensione valoriale dell'accumulo di ricchezza e potere, è difficile voler pretendere la compressione degli interessi degli agricoltori, specialmente dei piccoli produttori».
Non sono un esperto di agricoltura ma la protesta in tutta Europa degli agricoltori mi spinge a cercare di comprendere per quali motivi avviene e che caratteristiche potrà assumere.
Sicuramente questi sono contro l'aumento del costo del carburante, ma anche contro la riduzione della dimensione di agricoltura intensiva, sono contro la riduzione del 20%dei fertilizzanti, contro l'obbligo di tenere a riporso il 4% dei terreni, contro l'invasione di prodotti da altri Stati che danneggia la loro economia.
L'agricoltura è una realtà fondamentale per il mantenimento della specie e deve essere trattata con estremo rispetto cercando di comprendere le ragioni di chi è spinto verso la protesta.
Ciò ci dovrebbe portate ad un ragionamento più complesso sull'organizzazione sociale e politica attuale.
In un mondo, in una economia legata alla globalizzazione dei mercati, alla dimensione valoriale dell'accumulo di ricchezza e potere, è difficile voler pretendere la compressione degli interessi degli agricoltori, specialmente dei piccoli produttori.
Tuttavia un mondo a sfruttamento intensivo non può più reggere a lungo e bisogna porsi il problema delle trasformazioni da promuovere per mettere al centro dei sistemi produttivi e di consumo, il mantenimento dell'equilibrio del sistema Terra.
Può avvenire questo in un'economia globalizzata dove i capitali rincorrono i siti a più basso costo di manodopera e materie prime, dove le fonti di distruzione ed inquinamento vengono considerate realtà secondarie rispetto al profitto e dove il valore dell'accumulo giustifica tutto?
Forse è in crisi proprio il modello di economia legata alla globalizzazione e questa protesta, insieme alle altre tensioni nascenti nella società che determinano il moltiplicarsi di conflitti armati ed il rischio di una distruzione di specie, ci dicono che bisogna cambiare strada.
Forse sarebbe il caso di iniziare a pensare ad un superamento di questa globalizzazione fallimentare e tornare a rilocalizzare i mercati. Cercare di rendere i singoli territori sempre più autosufficienti almeno da un punto di produzione alimentare ed energetica. Questo significa avere un primo mercato di prossimità per i riprodotti alimentari, aver cura del territorio in cui si abita, dare i sussidi giusti per in mantenimento di prezzi che non fanno arricchire solo gli intermediari, ecc.
Forse ci sarebbe bisogno di un ragionamento molto più complesso di critica della globalizzazione.
Se questo non dovesse avvenire, anche questa protesta potrebbe degenerare in una visione corporativa che non modificherebbe l'economia globale ma ci spingerebbe sempre più verso ritorni a forme di fascismo e nazismo come si sta già evidenziando in molte società.
Ritorno a pensare che ci sarebbe bisogno di una sinistra che non c'è e che dovrebbe porre anche questi temi.
L.P.