EMERGENZA: l’impegno contro la tratta non si ferma

INTERVISTA a Martina Taricco, operatrice anti tratta della Comunità Papa Giovanni XXIII

EMERGENZA: l’impegno contro la tratta non si ferma
fonte: sito web Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII

L’emergenza sanitaria sta facendo emergere i tanti volti dell’Italia, i migliori con la solidarietà e il sacrificio di tantissime persone ma anche quello delle contraddizioni sociali e delle persone più fragili e deboli. E quello del paese sporco e immondo, fatto di sfruttamento, disuguaglianze, traffici e mafie. Nei mesi scorsi abbiamo cercato di raccontare, tra questi volti, quello della schiavitù sessuale e dei sistemi mafiosi che la sfruttano in Abruzzo riportando anche le testimonianze e le denunce della Comunità Papa Giovanni XXIII. Abbiamo intervistato Martina Taricco della Comunità Papa Giovanni XXIII per documentare la realtà anche in queste settimane di quarantena.

Come sono nate e quali sono le attività anti tratta della Comunità Papa Giovanni XXIII?

«L’attività di contrasto alla tratta della Comunità partì da un’intuizione dal fondatore don Oreste Benzi nel 1989 quando a Rimini accolse le prime ragazze nigeriane dopo l’incontro con una di loro alla stazione. Ragazze vendute in Nigeria e fatte partire verso l’Italia con la falsa promessa di un lavoro e una vita migliore dalla Nigeria e in Italia invece costrette a prostituirsi per pagare il «debito» con gli sfruttatori che le hanno portate in Italia. In 21 città italiane ci sono persone che escono settimanalmente in strada per incontrare le ragazze con l’obiettivo di strapparle dallo sfruttamento, far conoscere i loro diritti e permettergli di costruirsi una vita nuova. Uscire ogni settimana permette di costruire una relazione di fiducia e anche di amicizia con le ragazze costrette in strada. Coltivare queste relazioni con costanza permette di costruire la base per convincerle ad abbandonare la strada e rompere il meccanismo dello sfruttamento. Un meccanismo molto radicato e legato a circuiti mafiosi che partono anche dal loro paese di origine difficili da scardinare. La Comunità Papa Giovanni XXIII è in rete con l’Osservatorio nazionale anti tratta e altre associazioni che lavorano sul campo. Una volta che le ragazze escono da questi circuiti entrano nei programmi di protezione vengono seguite per l’ottenimento dei documenti e in percorsi di integrazione che permettano loro di ricostruirsi in autonomia col tempo una vita personale. Percorsi per i quali è necessario un tempo lungo». 

Da qui è nata la campagna nazionale "Questo è il mio corpo", quali sono gli obiettivi e come si può sostenerla?

«La campagna è nata in seguito ad altre legislazioni europee, come quella svedese, che prevedono la punibilità del cliente con sanzioni amministrative e la detenzione carceraria. Insieme con altre associazioni la Comunità punta così a colpire i clienti per contrastare la tratta. C’è una petizione sul sito www.questoeilmiocorpo.org dove vengono riportati i dettagli e le motivazioni della campagna. Alla base c’è quello che viene definito il modello nordico, adottato in Svezia ma anche in altri Stati dove è stato rilevato che col tempo la criminalità organizzata è diminuita anche del 75%. Una strada molto più efficace contro le mafie di altri Stati, che periodicamente qualcuno c’è in Italia propone di seguire con la legalizzazione della prostituzione e la riapertura delle case chiuse, dove invece la criminalità è così organizzata e radicata che continua a lucrare sullo sfruttamento. Sono i clienti ad alimentare la schiavitù, finché ci saranno i clienti le ragazze saranno sempre sfruttate. La Comunità ha chiesto al Parlamento italiano di approvare questa legge per fermare lo sfruttamento. Alcuni comuni hanno emanato ordinanze che prevedono sanzioni ma la punibilità penale, aumentando così l’efficacia, può stabilirla solo una legge del Parlamento».

Sul sito della campagna sono indicati i sostenitori istituzionali e non, diversi sono abruzzesi. Un dato che porta a pensare che contro questa terribile piaga sociale ci sia molta sensibilità dalle nostre parti ma anche che è molto presente e quali attività portate avanti per contrastarla?

«Noi abbiamo un focus su Pescara e  Montesilvano e in parte su Francavilla, dove ogni settimana usciamo in strada per incontrare le ragazze. Sul territorio sono presenti anche Caritas e On The Road. A Pescara c’è una prevalenza di donne provenienti dall’est Europa, Romania e Bulgaria, a Montesilvano sono soprattutto ragazze africane, quasi esclusivamente nigeriane, e nell’ultimo anno sono aumentate le presenze di transessuali soprattutto originarie della Colombia. E’ una situazione da sempre molto in cambiamento, anche per questo è stato istituito un osservatorio permanente contro la tratta, con le altre associazioni ci stiamo interrogando anche durante i due incontri annuali di tutte le unità di strada per dialogare, fare un punto sulla situazione e organizzare dei monitoraggi insieme. Negli ultimi tempi abbiamo percepito la diminuzione delle presenze in strada, le ragazze sicuramente non sono sparite e quindi il nostro timore è che si prostituiscono negli appartamenti. Diventa così molto più complicato raggiungere le ragazze e contattarle. Quando raccontiamo negli incontri pubblici le storie delle ragazze, come arrivano in Italia e cosa subiscono possiamo farlo perché sono loro a raccontarcelo, andando in strada cerchiamo di dare voce a queste ragazze. Storie di ferite che rimangono loro addosso dei drammi che subiscono. Per le transessuali c’è anche un altro discorso che sorge: quello della difficoltà di vivere la loro vita sessuale in quanto desiderano essere donne ma sono nate in un corpo di uomo, una sofferenza che le ha devastate e distrutte. Nella loro vita l’unica alternativa che hanno avuto è quella di cadere nel circuito dello sfruttamento».

E questo riporta al tema delle case chiuse che molti vorrebbero riaprire. L’aumento dello sfruttamento della prostituzione negli appartamenti dimostra che riaprendo le case chiuse, come ha già accennato, la tratta non verrebbe assolutamente scalfita?

«Chiariamo ancora una volta un primo aspetto: ci sono casi come quello tedesco dove è presente un consolidato sistema di sfruttamento, soprattutto di ragazze immigrate. È facile nell’opinione pubblica parlare di riaperture e legalizzazioni parlando delle vite degli altri, quando negli incontri mi viene posta la domanda rispondo sempre, se deve essere considerato un lavoro legalizzato un padre accetterebbe che sua figlia gli dica che non trovandone un altro sceglie di vendere il proprio corpo?»

L’attività di contrasto alla tratta in questo periodo di quarantena è cambiato, non è possibile proseguire come prima, come cercate di proseguire? A livello nazionale la Comunità ha denunciato già nelle scorse settimane che lo sfruttamento della prostituzione non si è fermato, quali segnalazioni ci sono nel territorio?

«Al momento da quel che sappiamo, anche grazie ai monitoraggi che sono stati autorizzati, presenze di ragazze non ci sono. Le ragazze con cui entriamo in contatto hanno un numero di telefono al quale ci possono sempre contattare ed è accaduto anche in questi giorni, ci sono ragazze che ci hanno chiamato per problemi economici e mettendoci in rete con altre associazioni e i servizi sociali abbiamo potuto aiutarle. In altre parti d’Italia sappiamo che le ragazze non vanno in strada perché le sfruttatrici stesse hanno paura di possibili contagi. Cerchiamo con altre modalità quindi di continuare, nella prima fase dell’emergenza ci siamo impegnati a cercare di far capire anche a loro cosa fosse questo nuovo virus facendo girare a livello nazionale un decalogo in varie lingue così da far comprendere la portata di quel che sta accadendo. La seconda fase è stata quella di far fronte alle esigenze e alle difficoltà delle ragazze, in rete con le altre associazioni e le istituzioni».

Troppo spesso abbiamo notizie e segnalazioni di come i cosiddetti clienti si disinteressano totalmente dei rischi per la salute delle ragazze sfruttate, quali nuovi rischi può comportare questa nuova emergenza sanitaria anche pensando a quando la quarantena si concluderà?

«A partire dalle fasi 2 e 3 questo sarà un aspetto da tenere in considerazione, nei coordinamenti con le altre associazioni. Quando tra qualche mese la situazione sarà probabilmente rientrata ci possono essere nuovi casi e le ragazze in strada vivono una situazione di particolare fragilità. Penso ad un cliente portatore del virus asintomatico che metterebbe a rischio la loro salute, contagiare le ragazze da cui si potrebbe trasmettere ad altri clienti. Al momento non ci sono direttive, quando sarà possibile anche noi dovremo uscire con mascherine e guanti e, almeno in un primo periodo, non sarà possibile avvicinarsi alle ragazze come prima. Tutto è ancora in costruzione ma è certo che le ragazze sono le più fragili e andranno tutelate.