Chi sta tutelando i lavoratori?

Il Governo non interviene, le Aziende non riescono a rispettare le norme basilari per evitare il rischio di contagio: 30mila sono gli operai coinvolti tra Abruzzo e Molise. Che senso ha mantenere gli stabilimenti aperti?

Chi sta tutelando i lavoratori?

Proclamato lo stato di agitazione. In un documento, firmato dalla Fiom Abruzzo e Molise, si continuano a porre le problematiche legate alla sicurezza dei lavoratori nelle fabbriche e nelle aziende che hanno deciso di continuare la produzione. E in questa fase di emergenza non si tratta, sicuramente, di beni di prima necessità. «Il decreto della presidenza del Consiglio – si legge nella nota - ha proclamato il blocco di molte attività eccetto quelle essenziali. Lo stesso decreto lascia il libero arbitrio alle aziende produttive sulle chiusure per gestire l’emergenza da Coronavirus. Una scelta inconcepibile che mette a rischio decine di migliaia di Lavoratori e propri familiari. Alcune aziende responsabilmente gestiscono la situazione fermando le attività, altre, prese dalla confusione, adottano misure nella speranza che possano salvare le attività e la salute dei Lavoratori, altre ancora lasciano al caso la gestione della sicurezza e continuano a lavorare come se nulla fosse. Ci sono tantissime aziende non sindacalizzate dalle quali nessuno avrà mai nessun riscontro». Sono giorni che i lavoratori chiedono di essere tutelati. Ma, sino ad oggi, gli interessi di pochi stanno prevalendo sugli interessi di molti. Che senso ha produrre beni, soprattutto in questo momento, superflui? Conviene rischiare l’epidemia tra migliaia di lavoratori? Bastano le misure prese dalle singole Aziende? Per capire meglio cosa sta accadendo abbiamo raccolto la testimonianza di Alfredo Fegatelli, segretario Fiom Abruzzo e Molise. «C’è un problema legato, in modo particolare, al fatto che il decreto non considera alcune questioni».

 

Quali questioni?

«Ad esempio le promiscuità che si possono avere per andare a lavoro. Questo è un problema serio, soprattutto in Abruzzo e Molise. La seconda cosa è che nelle aziende, in ogni, caso esistono delle aree dove la promiscuità rimarrà sempre: le aree break, oppure le mense, gli spogliatoi. Questi saranno i punti dove ci sarà, sicuramente, più difficoltà nel gestire questa situazione».

 

Siete preparati ad affrontare questo tipo di emergenza?

«Siamo in presenza di un evento straordinario. Le nostre Rsa, soprattutto i nostri Rls che hanno fatto dei corsi di formazione, non sono stati formati per poter fare un’analisi della situazione. Quindi, anche se le aziende dovessero ottemperare, come molte aziende stanno cercando di fare, noi non siamo in grado di poter avere una cognizione chiara di quello che stanno facendo, perché non abbiamo le competenze per poterlo svolgere. Questa cosa dovrebbe essere svolta dalle autorità competenti».

 

Facciamo un esempio, se è possibile.

«Quando c’è stato il terremoto a L’Aquila ho fatto riaprire tutte le aziende, quelle che potevano, entro un mese. Mi sono recato presso ciascuna azienda, con i vigili del fuoco che dicevano se la singola azienda poteva aprire. Alla fine due sole aziende sono state chiuse, le altre o lavoravano parzialmente o lavoravano a pieno regime, perché dichiarate agibili. Certo, la situazione è più semplice, perché è visiva. Il virus, invece, è una cosa che tu non vedi. In ogni caso deve essere un’autorità competente a dire se in quella azienda si può lavorare e se sono rispettate le norme».

 

Sono state coinvolte le autorità competenti?

«Le stiamo coinvolgendo. Ovviamente, noi faremo un’operazione: se le aziende non provvederanno a stare chiuse sino al 22 marzo, attiveremo immediatamente una serie di azioni da mettere in campo».

 

Che tipo di azioni?

«Chiedere alle aziende la chiusura per sanificare, mettere in sicurezza e riorganizzare tutti i luoghi di lavoro».

 

Se non lo faranno?

«Chiederemo alla Asl, ai carabinieri, alle prefetture, alle Regioni di andare a fare le verifiche all’interno delle aziende. Solo loro sono i titolari per dirci se esistono o non esistono le condizioni per poter lavorare».

 

Quanti lavoratori sono coinvolti tra Abruzzo e Molise?

«Stiamo parlando quasi di 30mila persone. Solo nella Val di Sangro parliamo di 20mila persone. Ma il problema lo abbiamo nelle aziende dove noi siamo presenti, ma ci sono altre aziende in cui non siamo presenti e non conosciamo il comportamento. Anche lì ci sarà da intervenire in qualche modo».

 

Nella maggior parte dei casi stiamo parlando di aziende che non producono beni di prima necessità. Qual è la ratio, quindi, di questi decreti?

«Questa è la cosa che mi ha lasciato basito rispetto al decreto. Nei fatti dice che le aziende devono rispettare le norme. Se tu Governo hai fatto un decreto così generico poi saranno i lavoratori a dover chiedere di chiudere le proprie aziende. Questa cosa è mortificante. La situazione è stata sbagliata, dal punto di vista del decreto. Credo che avremmo potuto tranquillamente chiudere tutte le aziende che non sono di prima necessità per circa un mese, come succede a ferragosto, in cui non accade assolutamente nulla. Gli imprenditori hanno fatto una valutazione sbagliata: siccome l’epidemia uscirà anche nel resto d’Europa, prima usciamo noi come Italia e prima potremmo riprendere l’attività produttiva».

 

Le aziende, in questo momento, hanno la possibilità di rispettare il decreto?

«Le norme non sono così chiare, questa è la prima cosa. Le aziende sono anche in difficoltà. Quando si parla dei dispositivi di sicurezza, tipo le mascherine, loro hanno difficoltà ad averle. Questo vale pure per i disinfettanti. Ci sono aziende che hanno fatto degli ordini e quando sono arrivati i camion alla frontiera questi mezzi sono stati dirottati verso le unità sanitarie. Questo significa che anche le aziende volenterose, che vogliono fare qualche cosa, sono in forte difficoltà. Per questo c’è la necessità di fare un’operazione di chiusura, anche perché quello che è successo in Cina è stato l’indice per tutti quanti. In venti giorni, in un mese hanno chiuso tutto e ne stanno uscendo fuori e stanno riniziando la loro vita. Noi dobbiamo fare la stessa identica operazione».

 

Dallo stato di agitazione si arriverà allo sciopero?

«Se le aziende, non di prima necessità, non verranno chiuse dal Governo, come stiamo chiedendo, prima di assumere questa responsabilità chiederemo alle aziende di ottemperare alle nostre richieste. Se non accadrà dichiareremo sciopero».                           

 

 

 

Per approfondimenti:

 

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