Giuseppina Utano, uccisa dalla ‘ndrangheta il 12 dicembre 1975

Giuseppina Utano, di soli tre anni, fu vittima innocente della prima delle due guerre di ‘ndrangheta che hanno insanguinato Reggio Calabria. Si trattò della sanguinaria faida che portò alla nascita di una nuova classe dirigente della criminalità organizzata reggina.

Giuseppina Utano, uccisa dalla ‘ndrangheta il 12 dicembre 1975

Suo padre, Sebastiano Utano, era il guardaspalle del boss di San Giovanni di Sambatello. Prima di essere arrestato per alcuni furti avvenuti nel quartiere Santa Caterina, era stato più volte visto insieme a Mico Tripodo, capobastone della 'ndrangheta e capo dell'omonima cosca che controllava Reggio Calabria e le zone circostanti negli anni cinquanta e sessanta. Dopo aver scontato la pena in carcere, si era trasferito a Sarzana dove aveva lavorato come muratore. Era rientrato a Reggio Calabria da poco più di un mese e, in quel periodo, aiutava saltuariamente il suocero Sebastiano Pangallo.

 

Quel 12 dicembre 1975, Giuseppina era insieme alla madre Domenica Pangallo e al padre Sebastiano. Nella mattinata Utano era stato dimesso dall’ospedale in attesa dei risultati di alcune analisi cui era stato sottoposto perché soffriva di dolori allo stomaco. La figlia e la moglie erano andate a trovarlo poco prima di mezzogiorno e, dopo essere usciti dall’ospedale, erano stati a Scilla, ospiti di un amico. Quella sera stavano rientrando a casa, a Sambatello. A poco più di un chilometro dal centro abitato, all’ingresso della frazione, li attendevano tre killer armati di fucili e pistola, che sbarravano loro la strada con un’auto scura di piccola cilindrata, ferma in mezzo alla carreggiata.

 

I killers iniziarono a sparare appena avvistarono l’auto degli Utano, indirizzando i colpi principalmente al conducente. Ritenevano che al volante dell’auto ci fosse Sebastiano Utano il quale, nonostante gli fosse stata ritirata la patente al momento in cui era stato sottoposto a misura di prevenzione, aveva continuato comunque a guidare la sua auto. I tre killers concentrarono il fuoco sul sedile di guida, non potendo percepire nell’oscurità che quella sera a guidare l’auto non fosse Sebastiano Utano bensì la moglie.
Domenica Pangallo, seppur ferita, riuscì a sfuggire trovando spazio tra l’auto dei killer e il limite destro della carreggiata, mentre i tre continuavano a sparare all’auto in fuga frantumando il lunotto posteriore e centrando in testa la piccola Giuseppina. Malgrado le ferite, la madre ebbe la forza di guidare fino all’abitazione di un conoscente che aveva poi accompagnato la famiglia all’ospedale di Reggio. L’auto crivellata di colpi, lasciata incustodita, sparì in un primo momento e poi successivamente rinvenuta nella vicina frazione di Diminniti. Sebastiano Utano, interrogato in questura, non fornì alcun elemento utile alle indagini, negando di conoscere sia gli assassini sia il movente. All’arrivo in ospedale, la madre, al sesto mese di gravidanza, era stata trasferita per essere curata al Policlinico di Messina, mentre il padre aveva solo una lieve ferita alla spalla sinistra.


Per Giuseppina Utano, invece, non c’era più niente da fare. Al suo arrivo all’ospedale la bimba di appena tre anni era già morta, giustiziata dai killer che avevano sparato per uccidere il padre, senza alcuno scrupolo, pur sapendo che la moglie e la figlia erano in macchina con lui.