Pantani, 20 anni dopo: il Pirata è stato ucciso?

MISTERI ITALIANI. Noi non ci siamo mai accontentati della «verità» ufficiale, quella che viene fornita dal Potere. Noi non abbiamo mai creduto alla verità di comodo. Noi non abbiamo mai accettato una sentenza lacunosa. Noi non abbiamo condiviso il modo utilizzato per le indagini. Noi ci siamo sempre posizionati dalla parte di Marco Pantani.

Pantani, 20 anni dopo: il Pirata è stato ucciso?

"Ho tanta tristezza: ho conosciuto Marco a Cuba. Tutti abbiamo colpa di quello che è successo. Quando vinceva erano tutti vicino a lui, ed è morto solo.

Noi abbiamo tutti colpa, te, io, lei...

Era tanto che non lo sentivo, ma ci eravamo ripromessi di vederci in Italia. Pantani aveva bisogno della gente che ieri non c'era, questo è brutto per noi".

Diego Armando Maradona

«Risultanze relative alla morte dello sportivo Marco Pantani e eventuali elementi connessi alla criminalità organizzata che determinarono la squalifica nel 1999». Questo è il titolo della relazione della commissione parlamentare Antimafia, approvata nel dicembre del 2022. Quarantotto pagine, un lavoro di indagine che parte dai fatti del 1999 e arrivano alla tragica morte di Pantani. Non mancano le titubanze di una Commissione nei confronti degli inquirenti senza dimenticare le questioni legate al controllo antidoping, dato fondamentale per comprendere ed immaginare l'ipotetico "disegno criminale" utilizzato per eliminare dalla scena sportiva l'indiscusso campione.  

La morte del Pirata, squalificato a Madonna di Campiglio (5 giugno 1999) con un titolo sul petto strappato con la forza (era l'ultima tappa prima della passerella finale), resta - dopo 20 anni - ancora un mistero. O, forse, no.

«Le analisi compiute - si legge nella relazione della commissione - rilevarono valori irregolari esclusivamente con riferimento a Marco Pantani: venne accertato un tasso di ematocrito pari al 53%, poi ridotto, al secondo controllo, al 52% (a fronte di un valore massimo consentito, in base al regolamento della Federazione mondiale, pari al 50%) e venne riscontrata una quantità di piastrine pari a 109 mila per microlitro, valore quest’ultimo particolarmente anomalo – come si argomenterà di seguito – sia in assoluto, sia in relazione ai valori rilevati al ciclista in occasione degli altri controlli effettuati nel corso del medesimo evento sportivo. Le «controanalisi» effettuate presso il laboratorio dell’ospedale in­ caricato dei controlli, sul campione di sangue prelevato al corridore confermarono il superamento del valore « soglia » del tasso di ematocrito».

Ovviamente (nel Paese senza vergogna) non poteva mancare l'immediato processo accusatorio mediatico distruttivo nei confronti del Campione con la bandana. 

Tante sono le domande che ancora restano senza una riposta chiara.

Quale legame esiste tra il ciclismo e il crimine organizzato?

Le scommesse clandestine hanno bloccato la carriere del ciclista più forte del mondo?

Cosa aveva capito o visto Marco Pantani?

E' stato giusto indirizzare in quel modo le indagini?

Come sono state fatte le indagini?

Cosa nasconde la morte del corridore?

Si è suicidato? O è stato ammazzato?

La scena del crimine si può legare ad un massacro?

Molte analogie sembrano portare verso una precisa direzione. Due fatti (Pantani e Manca) sembrano essere molto simili. E ci riferiamo alle circostanze della morte: stesso modus operandi, stessa tecnica, stesse accuse, stessa diffamazione.  

Clicca qui per approfondire la vicenda di Attilio Manca

Noi non ci siamo mai accontentati della "verità" ufficiale, quella che viene fornita dal Potere. Noi non abbiamo mai creduto alla verità di comodo. Noi non abbiamo mai accettato una sentenza lacunosa. Noi non abbiamo condiviso le modalità utilizzate (o meglio, non utilizzate) per le indagini.

Noi ci siamo sempre posizionati dalla parte di Marco Pantani. E' una storia sbagliata, direbbe il poeta. E' sicuramente una storia strana, che puzza di deviato. Servizi?

 

Perchè una commissione parlamentare antimafia si è occupata della vicenda di uno sportivo trovato morto in una camera d'albergo? 

Ufficialmente si tratta di un suicidio. Lo hanno fatto passare, come è già accaduto per Manca, come un tossico melanconico e depresso. E la camorra? Cosa c'entra la schifosa organizzazione criminale? E le scommesse clandestine?

Marco Pantani doveva perdere il Giro (già vinto) per volere della schifosa camorra che aveva scommesso contro di lui?

I controlli antidoping e la squalifica

«Già dal primo momento - si legge nella Relazione -, non mancavano le ragioni che avrebbero dovuto suggerire un maggiore approfondimento in tal senso».

I dubbi vengono sollevati in un documento ufficiale. «In primo luogo, sarebbe stato ovvio chiedersi quale interesse all’uso di sostanze 'dopanti' potesse avere un corridore che a due tappe dalla conclusione del Giro, una delle quali nettamente a lui favorevole, aveva già un vantaggio di circa sei minuti sugli inseguitori. In secondo luogo, doveva rilevarsi l’anomalia dell’accertamento atteso che, la sera precedente, Marco Pantani aveva effettuato un autocontrollo dell’ematocrito, avvalendosi di uno strumento portatile in uso a tutti i ciclisti, alla presenza del suo preparatore atletico, Fabrizio Borra, e del medico della squadra, Roberto Rempi. Era stato in quell’occasione rilevato un valore pari al 48%, in linea con tutti i controlli effettuati dal ciclista nel corso della sua storia sportiva, ivi inclusi i due controlli ufficiali già espletati nelle precedenti tappe dall’inizio di quel Giro d’Italia».

E allora cosa è successo? Perchè i valori, inspiegabilmente, cambiano qualche ora dopo. «Resta altresì ancora oggi privo di una valida spiegazione scientifica l’esito, riscontrato solo poche ore dopo l’effettuazione delle analisi che decretarono la sospensione di Pantani dalla competizione, del nuovo controllo cui si sottopose l’atleta presso il laboratorio dell’Ospedale di Imola (accreditato U.C.I.), dal quale risultò un livello di ematocrito inferiore al limite consentito del 50% e segnatamente pari, nelle due misurazioni di rito, al 48,1% e al 47,6%. Del pari scientificamente non spiegabile il dato, anch’esso di rilievo fondamentale, che allo stesso controllo il numero di piastrine presenti nel sangue di Pantani fosse pari, rispettivamente, a 161.000 e 151.000 per microlitro, ben più alto dunque di quello riscontrato nel primo esame ematico e perfettamente in linea con i dati storicamente riscontrati nel ciclista in tutti i controlli eseguiti prima del 5 giugno del 1999 a Madonna di Campiglio».

"Qualcuno" ha voluto cambiare le carte in tavola? La scelta di sbatterlo fuori dal Giro, a pochi "metri" dal traguardo finale, è stata studiata a tavolino?

"Qualcuno" ha cambiato le provette, come è stato sostenuto in una conversazione telefonica intercettata?

Il processo mediatico

«La Gazzetta dello Sport», 6 giugno 1999, titolava in prima pagina a caratteri cubitali: «PANTANI, PERCHÉ?»

Mario Sconcerti: «La prima cosa da dire è che non c’è possibilità di errore. Gli esami vengono fatti più volte e quando danno sempre lo stesso risultato confermano che c’è stato doping. Io credo all’inutilità del doping per Pantani, nel senso che non è certo il doping a farlo andare più forte di tutti i corridori del mondo, ma non credo nella sua innocenza di oggi».

«La Repubblica», del 6 giugno 1999: «Terremoto al Giro: fermato Pantani. Altro che trionfo annunciato, Marco Pantani è fuori, fermato stamattina, prima della ventunesima e penultima tappa, dai medici della Unione ciclistica internazionale. Una bufera, ciclismo sotto choc, una giornata che difficilmente verrà dimenticata: dopo i controlli effettuati all’alba su dieci corridori, l’unico che aveva valori dell’ematocrito troppo alti è stato proprio Pantani: 52 per cento contro il 50 per cento, che è il massimo consentito dai regolamenti internazionali. Stop immediato, in arrivo un fermo di 15 giorni, obbligo di sottoporsi ad altri esami; per protesta ritirata tutta la squadra della Mercatone Uno. La maglia rosa è d’ufficio passata al secondo della classifica, Paolo Savoldelli, che però ha rifiutato di indossarla («Per me Pantani è pulito») e così la tappa è partita senza un leader. Via, fuori, una cosa clamorosa [....] A casa, Pantani, numero uno del ciclismo italiano che aveva letteralmente dominato il Giro e si avviava a vincerlo in un autentico trionfo popolare. Lui, Pantani, è distrutto, smarrito. Si difende dalle ombre del doping che inevitabilmente sono state avanzate, attacca, sparge sospetti, parla di complotto, fa capire che potrebbe anche decidere di lasciare il ciclismo. Ha saputo della decisione dell’U.C.I. nel suo albergo e per la rabbia ha spaccato uno specchio, con un pugno». Le parole del ciclista raccolte dalla stampa: «Dopo una lezione di questo tipo, anche a malincuore, devo dire che, se succede questo ad uno sportivo come me che ha dato tanto a questo sport, c’è da pensare, riflettere [...] C’è qualcosa sicuramente di strano. Lezioni di questo tipo ti fanno pensare anche di smettere. No, non capisco, sono frastornato, deluso: questo era il terzo controllo dall’inizio del Giro, gli altri erano a posto, oggi invece questa sorpresa. Ripartire stavolta sarà dura, durissima: io ce l’ho fatta dopo i gravissimi incidenti che ho subito, vedremo. Pretendo soltanto un po' di rispetto».

Una condanna senza appello per Pantani.

Le dichiarazioni di Vallansasca e di altri collaboratori

Ecco la parte devastante. La commissione antimafia raccoglie le esternazioni e le denunce di alcuni esponenti legati alla criminalità. Il peso di queste parole deve far riflettere. «Vallanzasca - si legge nel documento - dichiarò che nel giugno del 1999, sei o sette giorni prima della tappa di Madonna di Campiglio del Giro d’Italia, era stato avvicinato da un altro detenuto che asseriva di volergli fare un regalo consistente in una scommessa che non poteva perdere: il detenuto in questione si era detto certo del fatto che Marco Pantani non avrebbe vinto la gara e non sarebbe giunto a Milano e lo aveva invitato a scommettere una grossa cifra su tale evenienza, dichiarandosi disponibile ad anticipare e consegnare per suo conto la somma di cinque milioni di lire a persona di sua conoscenza».

E ancora: «La mattina del 5 giugno, lo stesso detenuto, con la sua inflessione campana, gli aveva detto «Renà hai visto? A Marco l’hanno fatto fuori... ò doping! Hai visto che avevo ragione io?». Nel rendere le sommarie informazioni ai Carabinieri di Forlì Renato Vallanzasca, fornì una descrizione delle fattezze fisiche del soggetto in questione, dichiarando però di non ricordarne il nome. In data 23 ottobre 2014 venne assunto a sommarie informazioni Rosario Tolomelli il quale confermò di essere stato detenuto unitamente a Vallanzasca nel giugno 1999 presso il carcere di Novara senza però fornire alcuna informazione rilevante ai fini delle indagini».

Già questo dato è particolarmente fondamentale per comprendere quello che, probabilmente, si nasconde dietro a determinate attività sportive. Gli affari del crimine organizzato - in questo caso della camorra - penetrano anche queste manifestazioni. Come già accaduto in passato, in altri sport.

Due conversazioni intercettate - intercorse dopo l’escussione di Rosario Tolomelli - sono state riprese nella Relazione. La prima tra Tolomelli e alcuni amici; la seconda con la figlia.

TOLOMELLI: «Ha detto c’è qualcos’altro, io faccio il nome di uno che si è venduto»

FERRANTE: «chi è?»

TOLOMELLI: «Adesso butto benzina sopra una persona che si è venduta, statt zitt, al carabiniere gli è venuto in mente che stava Augusto LA TORRE con noi quando successe il fatto di Pantani»

FERRANTE: «uhm»

TOLOMELLI: «questo Augusto [...] .inc»

FERRANTE: «sii»

TOLOMELLI: «quello è pentito a mille per mille, dico volete fare uno scambio di favori? Fatemi togliere il mandato di cattura di Arezzo io vi do il nome della persona di questo fatto, faccio finta Bru!»

FERRANTE: «tanto facile che è stato lui»

TOLOMELLI: «quello lui è stato, ma tu hai capito... inc [...] [...] omississ[...]»

FERRANTE: «eh [...] . Vedi tu quello ha imbrogliato il coso»

Conversazione telefonica con la figlia. 

A.: «ma che ci azzecca Vallanzasca con questo Pantani po?»

ROSARIO: «Che Vallanzasca poche sere fa ha fatto»

A.: «Eh!»

ROSARIO: «dichiarazioni [...].»

A.: «una dichiarazione eh.'.'.' »

ROSARIO: «dicendo che un camorrista di grosso calibro gli avrebbe detto, guarda che il giro d’Italia, non lo vince Pantani non arriva alla fine [...]»

A.: «ah ah ok»

ROSARIO: «altrimenti qua sbancano tutto quanto perché si sono giocati tutti quanti su di lui [...]!»

A.: «ah ok»

ROSARIO: «quindi praticamente la camorra ha fatto perdere il giro a Pantani»

A.: «ha fatto deviare stu[...] Giro a Pantani»

ROSARIO: «cambiando le provette e facendolo risultare dopato!»

A.: «Madonna mia!»

ROSARIO: «questa cosa ci tiene a saperla anche la Mamma! ! ! !»

A.: «ma è vera questa cosa?»

ROSARIO: «SI ! ! !»

A.: «ah ah ah ok ! ! ! !»

ROSARIO: «SI!»

Risentito dagli inquirenti il "grillo parlante" conferma la sua versione dei fatti: «Confermo che quel giorno, dopo che venni da voi sentito, parlai sia con mia figlia che con altri miei amici, ai quali riferii dei fatti di Marco Pantani, confermandogli che ero a conoscenza che fu fatto fuori dalla camorra dal Giro d’Italia del 1999», aggiungendo: «Gagliardi Angelo fu quello che mi aveva detto i fatti di Pantani. So che Gagliardi era un affiliato del clan La Torre. Era particolarmente legato a La Torre Augusto. So che il Gagliardi, al contrario di Augusto, non si è mai pentito. Lui aveva confidenza con Vallanzasca. Non ho mai detto nulla a Vallanzasca dei fatti relativi a Pantani».

Ma chi è Augusto La Torre? Già capo dell’omonimo clan di Mon­dragone dall’inizio degli anni '80, collaboratore di giustizia dal 2003. Tra i più temuti della sua area criminale. Sulla vicenda Pantani è stato sentito dai carabinieri di Forlì. Avrebbe ammesso di essere a conoscenza del fatto che clan camorristici del napoletano gestivano le scommesse clandestine ed avevano architettato l’esclusione dal Giro d’Italia di Marco Pantani. «Riferì di essere stato più volte condotto nel carcere di Secondigliano, presso il reparto T1 e T2 (ossia le sezioni ove si trovavano i detenuti sottoposti al regime previsto dall’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario) e di aver avuto modo di parlare, in tempi diversi, con Francesco Bidognetti (capo del clan dei Casalesi), Angelo Moccia (capo del clan Moccia di Afragola) e Luigi Vollero (capo del clan di Portici, detto «il Califfo»). Costoro gli avevano detto che l’esclusione di Marco Pantani dal «Giro d’Italia» era stata voluta dai clan operanti a Napoli».

Ecco le parole dell'ex boss: «Conoscendo le amicizie dei predetti, do per scontato che l’alleanza di Secondigliano, ovvero i Mallardo di Giugliano in Campania possano aver organizzato il tutto.

I suddetti tre mi dissero che il banco, se Pantani vinceva, saltava e la camorra avrebbe dovuto pagare diversi miliardi in scommesse clandestine e rischiava la bancarotta, come quando si verificò con Maradona e con il Napoli negli anni '80.

Gli stessi non mi sembra che furono più precisi nel riferirmi i fatti di Pantani. Non credo che erano direttamente coinvolti nel giro delle scommesse clandestine sul giro».

La Torre ricorda «le frasi che erano del tipo: “sono rimasto deluso da Pantani perché anche lui è dopato perché anche lui ha preso la bumbazza” e di rimando, uno dei tre, non ricordo chi con precisione: “ma quale bumbazza e bumbazza, l’hanno fatto fuori perché sennò buttava in mezzo la via quelli che gestivano le scommesse”».

E aggiunge: «Non sono a conoscenza di come hanno fatto per i dati di Pantani per farlo risultare positivo. Il clan intervenuto ha avvicinato sicuramente chi era addetto ai controlli e li hanno corrotti. Posso immaginare che si sono serviti di persone napoletane, anche non facenti parte direttamente della camorra e che potevano avere dei contatti professionali con i dottori. Escludo nella maniera più assoluta che i medici siano stati minacciati; si tratta unicamente di corruzione».

Dopo le indagini l'archiviazione, come richiesto dal pubblico ministero.

La morte del Pirata (14 febbraio 2004)

Nella Relazione viene sottolineato anche un dato devastante, legato all'intervento del 118. I primi ad entrare nella stanza - la sera del 14 febbraio 2004 - del residence Le Rose di Rimini. «Sono stati per la prima volta sentiti a distanza di oltre 10 anni dal fatto e solo in sede di indagini difensive e che, solamente grazie, e successivamente, a queste ultime, siano stati sentiti dagli inquirenti». 

Lapidarie le parole del Procuratore di Rimini: «non erano emersi concreti elementi indiziari idonei a essere utilizzati in procedimenti giudiziari, ma solo possibilità astratte che possono essere ipotizzate in letteratura e in articoli di cronaca giornalistica».

Non sembra dello stesso avviso la commissione parlamentare Antimafia che si è occupata della morte violenta di Marco Pantani. «Sono numerosi e significativi gli spunti investigativi offerti dalle dichiarazioni degli operatori del 118 che furono, invece, trascurati nelle indagini svolte».

Ecco i passaggi più rilevanti delle dichia­razioni rese nel corso dell’audizione svolta davanti al IV Comitato. Audizione del 19 gennaio 2022 dell'infermiere Anselmo Torri (la sera del 14 febbraio 2004 componeva l’equipaggio dell’ambulanza del 118): «veniamo allertati dalla nostra centrale operativa, che al tempo era a Rimini, e ci diedero il servizio, ci dissero di interve­ nire. In un primo momento le parole furono queste: “C’è Pantani che ha fatto un casino, è tutto sporco di sangue, andate in codice giallo”. Però, da lì a un minuto, due minuti, cambiarono il codice a rosso. Di solito questo avviene quando si approfondisce l’intervista che viene fatta, non so però con quale persona».

L'infermiere resta colpito dal grande disordine della stanza e da un lenzuolo legato ad una ringhiera: «C’era un lenzuolo bianco attaccato alla ringhiera, scusate non ho spiegato bene, legato alla ringhiera poi calava dalla ringhiera... l’anoma­lia, secondo me, l’idea che ho avuto io, se uno si vuole impiccare ha legato il lenzuolo troppo in basso».

Ed ecco il suo punto di vista, legato alla sua esperienza diretta: «Io per 10 anni ho pensato quello che abbiamo pensato tutti in questa stanza, c’era una verità che era scritta “morte per overdose di cocaina ingerita nella bottiglia, eccetera”. Io per 10 anni ho pensato quello che ha pensato tutto il resto del Paese, per quello che ci hanno raccontato. Quei segni che io vedevo sul volto, per tutto questo tempo ho pensato che Pantani se li fosse fatti andando a sbattere contro la balaustra perché ci raccontavano di un’overdose di cocaina, che probabilmente lui si fosse sentito male di sopra e nel tentativo di alzarsi per andare a chiamare qualcuno, a dare l’allarme perché si sentiva male, si è alzato, si è attorcigliato attorno al lenzuolo ed è andato a sbattere contro la balaustra, magari ad angolo, facendosi alcuni segni sul volto. Io non ho mai pensato alla colluttazione inizialmente, quando ho visto il video della scientifica mi son fatto due domande però faccio fatica a dirlo io se sono segni di colluttazione oppure no, si può pensare, però».

«Smettela di indagare, fate la fine di Marco...»

Maurizio Onofri, marito di una nipote della madre di Marco Pantani, ha affermato di non essere mai stato sentito dagli inquirenti. Ha cercato di indagare sulla morte del cugino, ricevendo minacce: «Nel frattempo, succede che, dopo la morte di Marco, io comincio a indagare sulla morte di Marco. Comincio a indagare come pian piano farà poi la sua mamma. E il poliziotto T., un giorno di primavera, prima che aprissimo l’albergo (era presente anche mia moglie), viene a casa mia e ci dice: “Smettete di indagare perché avete rotto le palle”. Testuali parole: “Fate la fine di Marco. Dì a tua zia che fate tutti la fine di Marco”».

La Commissione parla apertamente di «numerosi elementi dubbi che sono emersi nel corso dell’istruttoria», tali da meritare un attento approfondimento. «Le ipotesi fondate su quegli elementi non possono essere ridotte a mere possibilità astratte oggetto di discussione in servizi televisivi o su articoli stampa. Tantomeno si può condividere l’altra affermazione dell’Autorità giu­diziaria di Rimini, ovvero che determinate affermazioni siano state indotte dall’intento di ingenerare nell’opinione pubblica l’idea di una condotta non esemplare da parte della polizia giudiziaria intervenuta la sera del decesso del campione».

Una critica è rivolta proprio a chi avrebbe dovuto indagare seriamente. «In realtà, diverse sono le scelte e i comportamenti posti in essere dagli inquirenti che appaiono discutibili».

Elenchiamo - a titolo esemplificativo - gli elementi citati dalla Commissione:

- la frettolosa conclusione che la morte di Marco Pantani fosse accidentale o addirittura conseguenza di un suicidio.

Si legge nella sentenza di primo grado: «Ritiene il giudicante che la morte di cui si tratta sia stata cagionata proprio dalla sostanza stupefacente ceduta a Marco Pantani il 9.2.2004 da Ciro Veneruso e Fabio Miradossa, con il concorso di Carlino Fabio. A questa conclusione è d’obbligo pervenire alla luce di alcune considerazioni: dopo il 9.2.2004 Marco Pantani non è mai stato visto uscire dal Residence Le Rose; dopo Ciro Veneruso la sera del 9.2.2004, nessuno ha più chiesto di poter salire nell’appartamento di Pantani... ».

La Commissione non appare d'accordo: «Tale affermazione non può ritenersi dirimente alla luce dello stato dei luoghi, come descritto dagli auditi e visibile dalle fotografie acquisite, elementi dai quali risulta che era possibile un accesso alle camere dell’hotel anche da un’area non sorvegliata dal personale della reception. Non condivisibile appare, poi, la scelta, conseguente a quella frettolosa conclusione, di non rilevare le impronte digitali nel luogo del rinvenimento del cadavere, del tutto inspiegabile in considerazione della copiosa presenza di sangue (visibile dalle numerose fotografie della polizia scientifica), di cui si sarebbe dovuta verificare, inoltre, l’appartenenza. Ciò ancor più ove, come emerge dagli atti d’indagine dell’epoca, fossero effettivamente pre­ senti nella stanza di Pantani tracce di cocaina e, sotto il suo corpo, un «bolo» della medesima sostanza. Tutte queste circostanze avrebbero imposto accertamenti volti a verificare l’eventuale presenza nella stanza di Pantani di altre persone, spacciatori e/o terzi consumatori».

- non risulta giustificabile il fatto che l’accesso al luogo del rinvenimento venne consentito, prima che venissero effettuati i doverosi rilievi della polizia scientifica, non solo a personale della polizia, ma anche a persone ad essa estranee.

- per dieci anni nessuno ha ritenuto di sentire i soccorritori del 118, tra i primi ad essere intervenuti sul posto.

«Molteplici sono gli elementi, oltre a quelli sinora sinteticamente rappresentati, che la Commissione avrebbe voluto approfondire e che rimangono tutt’oggi senza soddisfacente risposta. L’inchiesta condotta dal IV Comitato ha fatto affiorare singolari e significative circostanze che rendono possibili altre ipotesi sulla morte del campione, anche considerando un eventuale ruolo della criminalità organizzata e di quegli ambienti ai quali purtroppo egli si rivolgeva a causa della dipendenza di cui era vittima».

Riproponiamo la nostra stessa domanda, formulata anche nella Relazione della commissione parlamentare Antimafia: è davvero certo che Marco Pantani sia morto per assunzione volontaria o accidentale di dosi letali di cocaina, connessa all’assunzione anche di psicofarmaci?

«La Procura di Rimini ha riaperto le indagini; auspichiamo che anche per quanto riguarda i fatti di Madonna di Campiglio si voglia e si possa andare in fondo, qualunque sia lo scenario che verrà a dipanarsi e chiunque sia coinvolto. Perché la Giustizia sia, come nelle immagini che la rappresentano, una dea bendata capace di assolvere al suo compito, chiunque abbia di fronte».

 

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WordNews.it, 2022 (Per approfondimenti CLICCA sul link a sinistra)

 

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