Gratteri: «La riforma Cartabia è la peggiore che io abbia mai letto»

LE PAROLE DEL MAGISTRATO. Durante la presentazione del suo ultimo libro «Non chiamateli eroi» il Procuratore della Repubblica di Catanzaro è intervenuto, senza peli sulla lingua, anche sulla Schiforma della Giustizia. «È umiliante da italiano sentire dire da chi ci governa che dobbiamo fare la riforma perché altrimenti l’Europa non ci da i soldi. Questo mi scandalizza e mi umilia come italiano.»

Gratteri: «La riforma Cartabia è la peggiore che io abbia mai letto»

PALMI (Reggio Calabria). «Dobbiamo premettere che l’Europa ha chiesto una riforma del processo civile. Intanto per me è umiliante, da italiano, dover sentir dire da chi ci governa che dobbiamo fare la riforma perché altrimenti l’Europa non ci da i soldi. Quindi non dobbiamo fare una riforma perché serve, perché è necessaria farla per il funzionamento del processo». Con queste parole il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, è intervenuto a Palmi, durante la rassegna culturale “Festival dei Tramonti”, organizzata dalla associazione locale Prometeus. La presentazione del suo ultimo libro «Non chiamateli eroi» (scritto insieme al prof. Antonio Nicaso, Mondadori) è stata l’occasione per parlare anche della Schiforma Cartabia. Una riforma da fare – come ha spiegato Gratteri – per avere i soldi dell’Europa. «Questo mi scandalizza e mi umilia come italiano. Ho notato che per le prime settimane il presidente del Consiglio e il ministro della Giustizia di questo Governo non hanno assolutamente fatto cenno della riforma del processo penale. Parlavano solo del processo civile. All’improvviso arriva questa riforma. Ovviamente per me, e come per la stragrande maggioranza dei magistrati o di addetti ai lavori, è la peggiore riforma che io abbia mai letto

 

Improcedibilità

Per il magistrato calabrese il termine indigeribile di questa Schiforma, votata quasi all’unanimità (tranne da Fratelli d’Italia) è l’improcedibilità. «Vuol dire che non si può procedere, che non si può andare avanti. Voi siete in autostrada e dovete fare Napoli-Roma in un’ora e mezza, avete un’ora e mezza per arrivare a Roma. Se impiegate più tempo non potete arrivare a Roma perché io vi ho dato come tempo un’ora e mezza. Mettete il caso in cui a Frosinone c’è un incidente stradale, quindi perdere un’ora o due ore e allora non arrivate più entro un’ora e mezza a Roma. Finito l’incidente si riparte e si arriva a Roma? No, per la riforma Cartabia voi a Roma non potete più arrivare, perché è passata un’ora e mezza. Vi sembra una cosa normale?»

Ma cosa dice la riforma Cartabia? «In appello dovete concludere il processo entro due anni e in Cassazione entro un anno. Già i presidenti delle Corti di appello e i Procuratori generali hanno detto “guardate, in due anni è impossibile concludere il processo in appello”. E se già ti dicono che è impossibile tu continui a proporre questa legge?»

 

Il voto di fiducia

«Questa legge è stata approvata all’unanimità dal Governo, quindi la Cartabia esce dal consiglio dei Ministri e dice “questa riforma va bene così, non ci saranno modifiche, si va con il voto di fiducia”. Dopo due giorni vengo chiamato, assieme a un’altra collega, alla Commissione Giustizia della Camera. Punto per punto spiego le criticità di questa legge e molti parlamentari incominciano a pensare, a ragionare. Ho messo nella loro testa il tarlo del dubbio. Hanno approfondito e hanno detto “questa legge non la voteremo, anche con il voto di fiducia”. Quindi sono stati costretti a fare retromarcia, a discutere nuovamente, creando una sorta di elenco di reati per i quali non c’è il limite dei due anni in appello e di un anno in Cassazione. Sostanzialmente per i processi di mafia e femminicidio. Ma, intanto, i processi piccoli di mafia hanno una priorità perché sono processi con detenuti.»

 

Lo studio

«Secondo uno studio il 50% di processi di condannati in primo grado, siccome l’Appello non si conclude in due anni, muore per strada. Se c’è stata la condanna in primo grado e come se non ci fosse stata perché il giudice poi, in una paginetta, dice che siccome sono trascorsi più di due anni il processo è diventato improcedibile. Non si può procedere, non si va avanti. Fine, morte del processo.»

 

 

Le alternative alla Schiforma Cartabia secondo Gratteri     

«Perché continuiamo a tenere aperti Tribunali che distano quindici chilometri l’uno dall’altro? Perché continuiamo a tenere Corti di Appello che distano l’un l’altro sessanta chilometri? Perché continuiamo a lasciare magistrati fuori ruolo perché sono in giro nei vari ministeri a fare cose diverse rispetto a quelle per cui hanno vinto il concorso? Perché non facciamo rientrare centinaia di magistrati in ruolo a scrivere le sentenze? Perché non facciamo una forte depenalizzazione dei reati bagatellari? Se acceleriamo sulla informatizzazione, se acceleriamo sulle notifiche, se diciamo che ogni cittadino che ha compiuto 18 anni deve avere una posta elettronica certificata e tutte le notifiche le facciamo su questa Pec risparmiamo un sacco di soldi. Ogni giorno in Italia ci sono 4.000 carabinieri che vanno in giro a fare i messi notificatori anziché fare i carabinieri. Potrei stare una settimana ad elencare tutte le cose che si potrebbero modificare in due settimane, massimo un mese. Fare delle riforme sostanziali per alleggerire e per velocizzare il processo.»

 

 

LA CHIESA IN CALABRIA SECONDO IL PROCURATORE DI CATANZARO

Incalzato dall’amico giornalista Francesco Di Leva il magistrato Nicola Gratteri non si è sottratto sui legami tra la ‘ndrangheta e la chiesa locale. «Nei decenni passati la Chiesa in Calabria non era borderline, ma di più. Molti preti camminavano armati, altri sono morti in conflitti a fuoco. Abbiamo avuto preti che sono stati uccisi e avevano in tasca somme di denaro esagerate per quegli anni.»

 

Il Vescovo a cena con il capomafia

«Ogni tanto c’era un vescovo che passava a trovarmi e mi parlava sempre di processi, di persone. E ad un certo punto mi fa: “ma tutti tu arresti? Ma non potresti arrestare di meno?”. Io lo guarda e penso “ma questo è scemo?”.

Al vescovo rispondo: “se potessi, se avessi le prove ne arresterei tre, quattro, dieci in più”. Vorrei una Calabria pulita, libera dal male. E dico: “senta vescovo, mi hanno detto che lei va a cena in questa via da questo capomafia. Sono tre volte che lei va a cena da questo capomafia”.

“Io devo recuperare la pecorella smarrita” mi risponde.

“Ma se lei già va tre volte e la pecorella non torna all’ovile lei sta dando legittimazione a questo mafioso. Non so se ha notato che accanto alla casa del capomafia c’è l’abitazione di un contadino. Perché non va a salutare quella famiglia umile?”

Il vescovo non è più venuto a trovarmi.»

 

 

Gratteri ai politici italiani: «visitate le carceri americane»

Il Procuratore di Catanzaro ha raccontato anche l’incontro avuto dopo l’arresto per traffico di droga di un suo vecchio amico di infanzia, a Miami. «Uno dei ragazzi con il quale giocavo a pallone nella Piana poi è emigrato con la sua famiglia a Torino. Non lo vedevo da tanti anni. Poi nel corso di un’indagine questo nome è uscito per traffico, fermato a Miami con 850 chili di cocaina. Sono andato nel carcere di Miami ad interrogarlo, inviterei tanti politici italiani ad andare a visitare le carceri americane. In queste carceri non entra la luce del sole, le finestre sono larghe venticinque centimetri e larghe dodici, i detenuti stanno nelle celle con le luci accese notte e giorno.»

 

 

ROCCO GATTO, IL MUGNAIO CALABRESE CHE SI È RIBELLATO ALLA ‘NDRANGHETA

«Nella letteratura non si parla dell’antimafia calabrese eppure c’è stata e c’è un’antimafia calabrese. Nel libro raccontiamo diverse storie di personaggi che hanno, nel loro cammino di coerenza e di coraggio, incontrato la ‘ndrangheta».

Rocco Gatto, il garzone di Mammola. «Dopo diversi anni diventa socio del mulino e dopo qualche anno riesce a comprare e a costruire un mulino a Gioiosa Jonica. Una persona fortemente convinta a non piegare la testa. In quegli anni dominava la famiglia Ursino, una famiglia di ‘ndranghetisti molto feroci, molto temuti. Rocco Gatto non pagava il pizzo, anzi denunciava

Erano anni in cui non esisteva ancora una legge sui testimoni di giustizia. «Rocco Gatto denunciava ogni cosa, faceva i nomi dei mafiosi. A un certo punto in un conflitto a fuoco il capitano dei carabinieri uccide il capomafia della famiglia Ursino. La domenica successiva i picciotti, nella giornata dedicata al mercato locale, bloccano tutti gli ambulanti. Si fanno il giro di tutti i negozi e impongono di abbassare le serrande per il capomafia ucciso. Rocco Gatto non abbassa la serranda e denuncia le persone che volevano imporre di abbassare le sue serrande. Questo affronto è troppo forte. Dietro il cespuglio di una campagna tra Mammola e Gioiosa viene ucciso. Questo è stato un grande esempio di un uomo coraggioso che ha fatto anti ‘ndrangheta con i fatti.»

 

 

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