«C’è una visione egoistica e moralistica che mostra il peggio della cultura consumistica»

SECONDA PARTE. Prosegue la nostra intervista a don Carmine Miccoli, prete impegnato nel cattolicesimo sociale e per i diritti degli ultimi, sul recente dibattito intorno al contrasto all’omo-lesbo-transfobia e sull’aborto farmacologico.

«C’è una visione egoistica e moralistica che mostra il peggio della cultura consumistica»
don Carmine Miccoli

La discussione parlamentare della proposta per il contrasto all’omo-lesbo-transfobia e la RU486, modalità farmaceutica per l’interruzione di gravidanza farmaceutica, sono stati tra i temi che hanno animato il dibattito politico in questi mesi.

Forte peso in questo dibattito ha avuto il «mondo cattolico», schierato in gran parte su posizioni contrarie alla Ru486 e di critiche al Dl Zan accusato addirittura di minare la libertà d’espressione. Sono emerse tuttavia, in questo contesto, voci più elaborate e non allineate a queste correnti di pensiero, di cui si sono fatti portavoce i vescovi italiani i cui rapporti con il governo italiano hanno avuto un forte momento di conflittualità ad inizio maggio, nel momento in cui si stavano predisponendo i provvedimenti governativi per l’uscita dal lockdown. Ha stupito molti che i vescovi siano usciti con un comunicato (e Avvenire con un editoriale online) subito dopo la conferenza stampa di Conte anche se era domenica sera.

In questa seconda parte dell’intervista a don Carmine Miccoli, prete della diocesi di Lanciano-Ortona da sempre impegnato nell’associazionismo cattolico sociale, per la Pace e per i diritti degli ultimi, abbiamo chiesto di condividere con noi alcune riflessioni su queste tematiche e sulle visione all’interno del «mondo cattolico» italiano, sul moralismo e sull’ostilità incredibilmente presenti ancora oggi nei confronti del mondo lgbtqi+ e di alcune libertà femminili.  

Cosa è realmente successo nelle ore in cui Conte annunciò i provvedimenti per la ripartenza? E in quella situazione come si collocavano le altre confessioni religiose che, a loro volta, hanno visto sinagoghe, moschee, chiese ed altri luoghi di culto chiusi?

«Di certo quella della CEI è stata una di quelle uscite infelici (e purtroppo non la sola) per i toni e i temi … Probabilmente, nelle negoziazioni costanti e anche molto collaborative tra Chiesa italiana e Governo, si è perso il controllo della situazione, cosa che capita quando si guardano le cose solo dal centro e non dalla periferia … Comunque, le altre confessioni religiose hanno anch’esse beneficiato di questa interlocuzione da parte dello Stato, che ha permesso per la prima volta che tutti i culti, anche quelli che non hanno intese ufficiali, potessero avere ascolto e insieme costruire un percorso normativo che garantisse insieme la sicurezza sanitaria e l’esercizio del culto religioso. Nonostante tutto, qualcosa di buono è venuto anche da qui …».

Si era fatto riferimento persino a scontri tra CEI e Papa, alla lotta tra «bergogliani» e tradizionalisti, una questione che torna spesso d’attualità soprattutto su certi temi sociali. Quale situazione si vive oggi? Quale la riflessione che può condividere?

«Non è una novità che una parte della Chiesa (vescovi, preti e fedeli), e non solo in Italia, non si trovi in sintonia col magistero e con la proposta pastorale di Papa Francesco… che è quella ispirata al Vangelo, nella “traduzione” del Concilio Vaticano II e con la guida di un uomo che proviene dal Sud del mondo e guarda al pianeta con lo sguardo del “popolo di Dio” di cui è realmente partecipe. Nel nostro contesto questo “stile” è stato spesso marginale, per luoghi e persone e spesso una lettura faziosa e più preoccupata della propria collocazione “politica” ha impedito alla Chiesa italiana – per dirla con il linguaggio di papa Francesco – di evitare di occupare spazi, anziché favorire processi di crescita a vantaggio di tutta la società italiana e non solo di una parte. Questa situazione può essere un’occasione irripetibile di cambiamento, bisogna coglierla e lasciare che chi cammina col la testa all’indietro non spaventi chi sta cercando strade nuove e buoni compagni di strada».

Possibile che nel 2020 ci sono ancora persone che si definiscono cristiane ma odiano altre culture e popoli, per il proprio orientamento sessuale e simili? Perché nel 2020 resiste ancora il giudicare una ragazza, anche se non soprattutto in caso di stupro, perché “esce la sera da sola” o la lunghezza della gonna e si è sostanzialmente sordi, o addirittura ostili, agli ultimi, agli emarginati e alle persone che subiscono guerre, politiche anti sociali e le tante ingiustizie di questo nostro mondo? Quanto sono realmente diffusi nel mondo cattolico italiano e nel resto del mondo?

«Intanto penso che definire ancora tutta l’Italia un paese “cristiano” o “cattolico” sia un’esagerazione, e non solo in questo primo scorcio del XXI secolo. Molti degli atteggiamenti e dei discorsi di cui parli sono legati ad una visione egoistica della vita in cui, assieme ad un certo “moralismo” anche religioso, si mostra il peggio della cultura consumistica che, a seconda dei casi, esalta la propria libertà anche quando questa fa scempio di quella altrui».

E qui veniamo alla legge contro l’omo-lesbo-transfobia che il Parlamento sta discutendo in queste settimane e contro cui dal mondo cattolico sta venendo una potenza di fuoco imponente. Quale riflessione può condividere su questa legge? Possibile che chi dice di predicare il “vangelo dell’amore” sottovaluti, o addirittura veda in modo favorevole, l’intolleranza, l’odio, l’emarginazione e la violenza contro chi non è maschio, bianco ed eterosessuale?

«Il mondo cattolico non è solo quello che si fa sentire, in via più o meno ufficiale e con tanto di supporto politico interessato, nelle varie manifestazioni a tema fisso di questi ultimi anni; ve ne è una parte significativa che vive da sempre percorsi di accoglienza e inclusione per le persone omosessuali che, come ricorda anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (pubblicato quasi trent’anni fa!), vanno accompagnate con rispetto e delicatezza e verso cui si è chiamati ad evitare ogni ingiusta discriminazione. Se una legge può tutelare chi è più esposto a discriminazioni, non credo sia una legge ingiusta, se non per chi pretende che sia giusta solo la parte del più forte».

Papa Francesco, anche di recente, ha espresso posizioni nei confronti delle persone lgbtq+ di apertura e rispetto: queste posizioni quanto possono essere realmente avanzate? E quanto nei fedeli essere condivise?

«Papa Francesco rimane legato all’impostazione dottrinale classica, ma ha un approccio pastorale attento alla complessità dell’umano, con uno stile proprio anche della sua formazione gesuita. Credo che nelle nostre comunità questo stile sia più raro, e di certo il clima di tensione del Paese non aiuta a far uscire fuori le risorse e gli atteggiamenti migliori che anche la Chiesa in Italia possiede».

Forti polemiche da parte di numerosi settori del cattolicesimo italiano hanno interessato la questione della Ru486 e dell’aborto. Quali le posizioni, e per quali motivi, esistono nel mondo cattolico? La voce più progressista, decisiva negli anni settanta nelle battaglie civili per aborto e divorzio, quale posizione sta assumendo?

«Anche su questo tema, nella Chiesa (e non solo in Italia) ci sono sempre stati due atteggiamenti: se entrambi condannano l’aborto, uno cerca di essere più capace di mediazione con la società e con le situazioni in cui una donna vive questo dramma, l’altro più preoccupato di mantenere un “no” a tutti i costi, e per questo capace di alleanze politiche che sul tema della vita umana hanno altri interessi. Su Avvenire delle scorse settimane, ad esempio, si potevano leggere lettere e riflessioni di entrambi gli orientamenti: credo che sia una bene che ci sia dibattito e dialogo all’interno della Chiesa, magari senza le animosità del passato (o del presente), più orientati insieme a vedere il bene possibile, e non solo il male maggiore».

 

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