I Bollettini della Pandemia: utili o fuorvianti? L'opinione del geriatra Mino Dentizzi

IL GERIATRA indica la strada per rendere tracciabile la curva dei contagi tale da garantire la prevenzione degli stessi piuttosto che solo l'enumerazione di essi , come si sta facendo in Italia senza fare un tracciamento epidemiologico concreto estendendo i tamponi sulla popolazione in maniera sistematica e ragionata.

I Bollettini della Pandemia: utili o fuorvianti? L'opinione del geriatra Mino Dentizzi

La drammatica ripresa della pandemia ha interrotto la storia d’amore tra cittadini e istituzioni. La ripresa autunnale, prevedibile e prevista del contagio da coronavirus ha ravvivato le forti perplessità di una larga fetta del Paese sulla capacità della politica e dei suoi uomini di governare situazioni emergenziali che necessitano di soluzioni sistemiche che vadano oltre l’orizzonte temporale immediato. La crisi provocata dall’epidemia è infatti tale che provare ad arginare, oltre che la catastrofe sanitaria, quella economica, richiede la capacità di pensare a lungo termine.

Nove mesi dopo l’inizio della pandemia, ancora combattiamo il virus non guardando obiettivamente quello che succede.

I dati diramati ogni sera nel bollettino giornaliero sulla diffusione del virus sono utili per farsi un’idea approssimativa dell’andamento del contagio nel medio periodo, ma tuttavia sono fuorvianti, per esempio a causa delle differenze regionali nelle regole del tracciamento dei contatti e nella capacità di somministrazione dei tamponi, nei tempi di restituzione dei risultati e nella trasmissione delle informazioni alle autorità sanitarie. I bollettini, poi, non includono informazioni importanti per la lotta al sars-cov-2: dove e come è avvenuto il contagio? Chi sono i contagiati? Che lavoro fanno, che abitudini hanno, qual è il loro stato di salute?

In USA sono stati analizzati, per esempio, anche i dati epidemiologici sulle differenze razziali e sociali, che mostrano la tendenza ad una maggiore rischio di malattia nelle classi svantaggiate. In Usa i cittadini bianchi sono il 60% della popolazione, ma i deceduti hanno rappresentato il 52% del totale. I neri sono il 13% ma i loro morti sono stati il 21%; i latinoamericani sono il 17% e i morti di questo gruppo sono stati il 21% del totale. Questi dati vanno nello stesso senso di altri rilevati in numerosi altri studi; a Londra, per esempio, nelle periferie il tasso di contagio è stato di 5 volte superiore a quello delle zone del centro città.

Noi abbiamo dati epidemiologici simili? In Italia la comunità scientifica li sollecita da mesi, finora senza risultati. Per trovare risposte e soluzioni si ha necessità di analizzare i dati individuali, quelli che vengono definiti “microdati”, resi opportunamente anonimi.

Quando si somministrano i tamponi, e ancora di più nel tracciare i contatti dei pazienti positivi, si ha una grande occasione per raccogliere informazioni. La condivisione di queste informazioni con la comunità scientifica consentirebbe di elaborare strategie mirate per contrastare la diffusione del virus e preservare quanto più possibile l’economia e la vita sociale.

Anzitutto, i dati individuali aiuterebbero a capire dove avviene il contagio.

Davvero la scuola è la principale responsabile della seconda ondata? C’è differenza tra scuola primaria, secondaria e superiore? Gli sport individuali all’aperto sono pericolosi? Dobbiamo controllare meglio bar, ristoranti, supermercati, palestre, ospedali, ambulatori, manifestazioni di piazza, treni, autobus e aerei? Quanti contagi avvengono sul posto di lavoro, e qual è la differenza tra i vari settori?

L'arma più efficace e più potente per contenere gli effetti della pandemia è, infatti, la disponibilità di dati e la capacità di usarli, attraverso modelli matematici, non solo per descrivere, ma anche per prevedere. Effettuare tamponi soltanto ai pazienti che mostrano sintomi o a coloro che sono entrati in contatto con persone infette, fornisce una rappresentazione distorta di quale percentuale della popolazione abbia contratto il virus. Ritenere che la battaglia al covid-19 si vinca solo con la effettuazione di tamponi è rincorrere il problema, non prevenirlo.

Un quadro reale dello state delle cose non lo sapremo mai finché non costruiremo un sistema centralizzato di raccolta e distribuzione dei dati imperniato sugli esiti del tracciamento dei contatti. Per farlo, sarebbe stato necessario potenziare drasticamente la nostra capacità di fare i test e di tracciare i casi. Molte regioni, invece, sono rimaste indietro, al punto che appena iniziata la seconda ondata il sistema di tracciamento è saltato.

Le scelte di sanità pubblica devono fondarsi su una analisi rigorosa dei dati, non su aneddoti, le intuizioni e esperienze personali di politici e amministratori o, peggio, sulle emozioni dell’opinione pubblica.