Interrompere una partita: può funzionare per fermare il razzismo e la discriminazione?

Poche settimane fa, il portiere del Milan Mike Maignan ha fatto interrompere il match con l’Udinese, lasciando il terreno di gioco dopo aver ricevuto insulti razzisti.

Interrompere una partita: può funzionare per fermare il razzismo e la discriminazione?


 

Affrontare una tematica come quella del razzismo nel 2024 non è angosciante, ma è soltanto la conseguenza logica di una società dove, instancabilmente, l’essere umano non smette mai di mostrare a quanta pochezza morale può arrivare.

Forse non esiste un rimedio a queste becere manifestazioni, se non una lotta senza tregua contro l’ignoranza, ai pregiudizi scontati, alla paura del diverso. Magari a freddo avrà pensato questo Mike Maignan, il portiere del Milan che ha voluto abbandonare il campo di Udine, dopo le tante discriminazioni ricevute attraverso urla, fischi, insulti e pure versi.

L’uscita dal campo del portiere francese ha creato scalpore, proprio perché si tratta di un professionista serio ed esemplare, fattore che fino a pochi anni fa non avrebbe scaturito così tanta indignazione e solidarietà. Facevano più rumore i cori nei confronti di Balotelli, perché uno come lui forniva argomenti a causa dei suoi comportamenti irresponsabili, per giustificare ciò che subiva in campo dagli spalti. Adesso però c'è chi come Maignan, si ribella a tutto questo e mette seriamente in discussione la continuazione di una partita. Ponendo su un altro contesto la questione, viene da farsi una domanda:

chi fa questo durante una partita, è razzista o è ironico?

Anche perché in alcune piattaforme social si è parlato in in difesa di questi tifosi e sono venuti fuori commenti del genere:

“I giocatori avversari si fischiano e si insultano da sempre, adesso siamo nel politicamente corretto e si indignano tutti”.

Questi fenomeni da tastiera sono gli stessi che si accodano a chi commette questi gesti ignobili dentro uno stadio. Commenti in cui si dà a Maignan del vittimista, ma il suo “vittimismo” è l’inquadratura di chi si appella alla

dittatura del politicamente corretto”.

immagine Ansa

La FIGC, nelle vesti del suo presidente Gravina, ha da sempre sollecitato la questione mettendo a confronto le varie parti soprattutto il Ministero dell'Interno, per rivedere i propri poteri e le responsabilità in caso di sospensione temporanea di una partita. Un altro fattore in cui Gravina ha colto nel segno è stato nel decantare l’uscita dal campo di una squadra, che subisce cori razzisti, molto efficace apparentemente, ma nella sostanza poco risolutiva. Un tavolo tecnico in materia potrebbe essere più opportuno, per attutire le strutture regolamentari in vigore oggi. Più delle richieste populiste di non disputare per qualche giornata il campionato di calcio. Questo argomento lascia dentro profonde riflessioni, inquietudine e delle considerazioni oggettive:

perché una passione così, come il tifo contagioso vengono scambiati con comportamenti fuori da ogni logica sportiva?

Il problema è che in Italia, in Europa e negli Stati Uniti, il razzismo lo si respira su tutti i livelli e chi lo nega lo fa per interesse, ma il problema di superficie non si risolve senza toccare il fondo. È da parecchio tempo che assistiamo alla disputa tra “razzisti’ e “buonisti”, forse è arrivato il momento di accorgersi che queste sono persone tristi che cercano di limare questa condizione emotiva avendo ragione in qualcosa. Il razzismo esiste negli stadi o nei palazzetti, perché in primis si trova nelle strade, nelle case, nelle istituzioni.

L’Ufficio per i diritti umani dell’Ocse, che tiene d’occhio il flusso dei crimini d’odio,

negli ultimi 5 anni certifica più di 1000 denunce di media ogni anno su questo ambito nel territorio italiano.

Il problema del razzismo non è solo calcistico: è culturale, è di tutta la società, è un problema della politica, quindi è un problema dell’Italia intera e del suo prossimo avvenire.

immagine di copertina presa da Eurosport.it

 

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