La lotta alla mafia in Europa

La sentenza di un Tribunale tedesco che respinge la richiesta di Maria Falcone di inibire al proprietario di un ristorante l'utilizzo del nome di Giovanni Falcone lascia sconcertati per la superficialità con cui spesso, all'estero, la percezione del fenomeno mafioso sia totalmente sballata.

La lotta alla mafia in Europa
L'immagine di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino utilizzata come parte del design di un ristorante tedesco

Ci sarà pure un giudice a Berlino, si diceva. Il mugnaio dell'opera di Bertold Brecht, che lottava contro i soprusi e lo strapotere dell'imperatore, alla fine lo ha trovato. Ma un giudice c'è pure a Francoforte sul Meno. Questo però, più o meno consapevolmente, ha infilato un grosso coltello nel buco sanguinante della nostra memoria, allargandolo ancor di più.

La vicenda è ormai su tutti gli organi di informazione. Un ristoratore tedesco, Constantin Ulbrich, tempo fa decise di chiamare il suo locale “Falcone e Borsellino”. Due nomi finiti sul neon di un ristorante che sforna hamburger e patatine. E magari gli italianissimi, immancabili “pizza e spaghetti”. Ci deve essere stata qualche crepa, qualche fessura incrinata nella percezione della realtà in cui si è intrufolato lo spiffero di una spudorata mancanza di sensibilità. Come se si potesse addentare un panino mentre scorrono le immagini delle autostrade divelte, dei palazzi saltati in aria, delle strade lastricate di sangue di un'Italia che si è trovata tra le mani il più alto numero di morti ammazzati nel contrasto alla criminalità organizzata.

La foto dei due giudici, quella famosa in bianco e nero dove sorridono e si sussurrano qualcosa all'orecchio, campeggia all'ingresso del locale accanto alle immagini di Marlon Brando e delle pellicole hollywoodiane sulla mafia. Con qualche foro nelle pareti per rendere meglio l'atmosfera. Come se fosse un gioco, bene e male gettati assieme nel calderone. Strumenti di intrattenimento, per quel senso comune un po' ammaccato e immiserito dalla totale perdita di sensibilità e passione civile.

La cosa fa già schifo così, ma non c'è mai fondo che non si possa ulteriormente raschiare. E infatti, in tutta questa vicenda, l'elemento che sconcerta e che fa più impressione sono le motivazioni della sentenza con cui un Tribunale tedesco ha respinto la legittima richiesta di Maria Falcone di inibire al proprietario del locale l'utilizzo di un nome, quel nome, come insegna del suo locale. Per la giustizia tedesca, Falcone “ha operato principalmente in Italia, mentre in Germania è noto solo a una cerchia ristretta di addetti ai lavori e non alla gente comune che frequenta la pizzeria”.

Secondo Giancarlo Caselli, “la decisione è anche ingiusta. L’uso per scopi commerciali del brand mafia è contrario alla moralità e all’ordine pubblico. Violano i principi fondamentali della convivenza civile e democratica coloro che, per avvantaggiarsi nell’esercizio di un’attività economica, impiegano insegne o immagini che evocano organizzazioni criminali che – ovunque nel mondo – hanno disseminato terrore con atteggiamenti di intimidazione, violenza fisica e psicologica per raggiungere i propri obiettivi”, come affermato nel 2018 dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.

Ma al di là della controversia giudiziaria, è il problema culturale alla base che spaventa e che apre una riflessione seria su quanto abbiano effettivamente capito in Europa del contrasto alla mafia.

Le bocciature piovute sull'Italia dalla Corte di Giustizia a proposito del carcere ostativo e del 41 bis la dicono lunga su quanto all'estero la percezione della mafia e della cultura mafiosa sia sorprendentemente ridotta rispetto a quella del nostro Paese. La legislazione europea è ancora troppo tenera nei confronti delle organizzazioni criminali che, invece, hanno penetrato sempre di più il tessuto produttivo, economico e finanziario, di tutti i Paesi europei.

La 'Ndrangheta ha messo radici in Germania, in Belgio, in Spagna, nei Paesi dell'est Europa. I traffici illeciti delle mafie non conoscono confini. Ma aggredire i patrimoni all'estero non è così semplice, perché mentre in Italia si continua a seguire il “metodo Falcone”, in Europa, come ha sottolineato il procuratore Nicola Gratteri nel suo libro Ossigeno illegale, gli europei agiscono sui reati di riciclaggio cercando la prova del reato e non mostrano una “attraverso una verifica di proporzione tra l'entità dei redditi e le ricchezze lecite e illecite e il suo trascorso criminale”. Così come pure la configurazione del reato di associazione mafiosa rischia di disperdersi nella babele di singoli reati slegati tra loro (truffe, traffici illeciti, estorsioni, ecc). Lo stesso Gratteri evidenzia come “la legislazione europea sia butirrosa. E nel burro, il coltello delle mafie continuerà facilmente ad affondare”.

È chiaro che chi non ha toccato con mano la pervasività del sistema mafioso, chi non ha visto i lenzuoli coprire i morti nelle strade, chi non si è visto sventrare un'autostrada sotto gli occhi, non abbia la chiara percezione di cosa sia la mafia e di quanto ci sia costato in termini di vite umane combatterla. È comprensibile (in realtà non lo è) che per loro il mito di Cosa nostra si riduca a uno stereotipo buono per la sceneggiatura di un film e nient'altro.

Ma se i cittadini della Germania non conoscono Giovanni Falcone, portateli a Capaci. Portateli lì dove le bombe hanno aperto crateri e qualcuno dopo ha dovuto riempirli. Portateli nell'ex Germania dell'Est, lì dove le mafie si sono fatte grandi investendo, riciclando e arraffando i fondi europei che sono stati tolti a cittadini comuni. Strappateli via dallo schermo e portateli dove la mafia sia visibile e tangibile. Solo così la memoria non rischia di rimanere strozzata nell'indifferenza e nell'accoccolante ignoranza di gente che riesce a ingozzarsi mentre le ferite sanguinano ancora.

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